CASERTA. UNO SCANDALO DIETRO L’ALTRO. Vi spieghiamo punto per punto perché 21 mesi su 27 di proroga ad Ecocar rappresentano un enorme DANNO ERARIALE

30 Aprile 2020 - 17:46

Il rapporto tra il comune e la società che, in linea teorica (restano aperto il mistero Consorzio Ecocar), raccoglie i rifiuti in città, è regolato dalla Legge Comunitaria del 2005 e non dal Testo Unico del 2016. Per cui…

CASERTA (gianluigi guarino) – Qualcuno ci ha chiesto nelle ultime ore: “Ma è mai possibile che osino fino a tanto? E’ mai possibile che al comune di Caserta si sia arrivati al punto di escludere da una gara d’appalto un’impresa in quanto questa non avrebbe il requisito di affidabilità e quello di solvibilità rispetto agli stipendi da pagare ai dipendenti e la stessa azienda finisce per beneficiare di questa stessa decisione, apparentemente contraria ai suoi interessi, in quanto, seppur in un caos di ragioni sociali modificate, è titolare da 27 mesi di una proroga di un contratto stipulato nell’ultimo scorcio dell’anno 2012, partito nel febbraio 2013 e scaduto irrimediabilmente nello stesso mese del 2018, dopo un quinquennio?”.

Al nostro lettore rispondiamo: “Osano e come se osano”. Al comune di Caserta si sentono degli intoccabili e così anche quelli di Ecocar che i guai li hanno passati in Sicilia, in parte nel Lazio ma non certo nel nostro capoluogo. Per cui, adesso si va letteralmente a ruota libera perché hanno capito che qualsiasi articolo di CasertaCe, benché dettagliato, correttamente argomentato, totalmente documentato, non produrrà alcuna conseguenza negativa e disgregante per quel formidabile meccanismo di granitica compromissione amministrativa, di cui, per anni, è stato tutore Carmine

Sorbo, dirigente comunale, sostituito dopo essere andato in pensione dal suo gemello siamese Franco Biondi. Ma la circostanza che questo sistema goda di un’impunità di fatto visto che nessuno in questi anni abbia potuto confutare uno e uno solo delle centinaia e centinaia di articoli da noi pubblicati, non significa che CasertaCe possa alzare bandiera bianca. Noi viviamo per informare i nostri lettori ai quali proponiamo articoli su fatti che, dopo aver raccontato e dimostrato in maniera certosina, commentiamo con l’espressione doviziosa del nostro punto di vista.

Altro giro, altra corsa, dunque: oggi vi spieghiamo il sistema Ecocar-Biondi-Marino-PeppeZampellaPorchetta, impegnando la postazione che ci permette di valutarlo da un altro angolo visuale.

Partiamo dalla normativa fondamentale: essendo l’appalto da 50 e passa milioni di euro datato anno 2012, come scritto prima e un altro miliardo di volte in precedenza, è sottoposto alla disciplina erogata dall’art. 23 della Legge Comunitaria n. 62 del 18 aprile 2005, la quale stabilisce che la proroga cosiddetta “tecnica” può durare al massimo 6 mesi dalla scadenza del contratto. Attenzione, questa è la norma rimasta in vigore fino all’avvento del Testo Unico del 2016 a cui probabilmente (poi nei prossimi giorni controlleremo le narrative di una delle tante determina firmate) si aggrappa il signor Franco Biondi quando snocciola una proroga dietro l’altra a favore di Ecocar, al punto da essere al tempo record di 27 mesi (CLICCA QUI PER LEGGERE). E’ materia pacifica in ogni giurisprudenza amministrativa e contabile che la legge Comunitaria resta in vigore per i contratti stipulati prima del T.U. del 2016. Siccome le proroghe Ecocar non sono altro che una propaggine, una protesi del contratto nato a fine 2012, la disciplina da applicare è quella della legge europea del 2005 e non quella del Testo Unico che, in pratica, come succede sempre in Italia, in questa Italia criminogena, ha allentato la presa e ha aperto la strada ad un numero di proroghe più alto rispetto all’unica prevista dalla 62 del 2005. Ma andiamo per ordine.

Trascorso, dunque, il termine che chiude l’efficacia della prima proroga, quella “tecnica”, questa cambia letteralmente pelle, a partire dal primo giorno successivo ai 6 mesi. Non è più una “proroga tecnica” ma giuridicamente, ai sensi della legge comunitaria, diventa una “proroga di fatto“. La mutazione genetica non è un mero giochetto di parole, ma produce effetti concreti. Da quell’istante, trascorsa di un solo secondo la mezzanotte che fa superare il sesto mese, non si applicano più i prezzi e le condizioni del contratto frutto dell’aggiudicazione originaria della gara d’appalto. Ma altri prezzi significativamente più bassi e altre condizioni significativamente meno favorevoli per gli interessi dell’impresa.

Questo accade anche in forza dell’applicazione del combinato disposto tra la citata legge comunitaria, l’articolo 191, commi 1 e 4 del decreto legislativo 267 del 1 agosto 2000, meglio conosciuto come Testo Unico degli Enti Locali, e l’articolo 194, comma 1, lettera e dello stesso Tuel. Siccome noi nutriamo rispetto per tutte le persone fisiche e/o giuridiche oggetto dei nostri articoli, queste norme le andremo a leggere, così nessuno potrà dire che noi le interpretiamo liberamente.

Partiamo dall’articolo 191, comma 1: definisce la cornice, il principio generale che impone agli enti locali di formalizzare un impegno contabile, per intenderci, un impegno di spesa, solo se esiste nel bilancio di previsione, con indicazione chiara e precisa della copertura finanziaria. Questo contenuto va relazionato al comma 4 dello stesso articolo: “Nel caso in cui vi è stata l’acquisizione di beni e servizi in violazione dell’obbligo indicato nei commi 1 (nel nostro caso è il comma 1, quello relativo alle spese non prese dal bilancio di previsione), 2 e 3, il rapporto obbligatorio intercorre, ai fini della controprestazione e per la parte non riconoscibile ai sensi dell’articolo 194, comma 1, lettera e), tra il privato fornitore e l’amministratore, funzionario o dipendente che hanno consentito la fornitura. Per le esecuzioni reiterate o continuative detto effetto si estende a coloro che hanno reso possibili le singole prestazioni“.

In parole povere, ma proprio poverissime: se l’impresa è fuori dalla previsione fondamentale che impone all’ente locale di vincolare ogni singola spesa all’utilizzo esclusivo dei capitoli del Bilancio di Previsione, ovviamente con adeguata copertura finanziaria, la stessa impresa, entrata nella Fase Due (termine di moda in questi giorni) della “proroga di fatto”, volendo ottenere anche solo i soldi che gli spettano nella versione decurtata, così come previsto dalla legge comunitaria, dovrà necessariamente attendere il riconoscimento di quelle cifre come debito fuori bilancio da parte del consiglio comunale. In breve, riferendoci al caso di Caserta, a nostro avviso, tutto si può fare eccetto quello che fa Biondi, cioè delle determine di proroga sic et simpliciter, con gli stessi patti, stessi prezzi e condizioni del contratto originario che, ripetiamo, secondo la legge comunitaria, sono reiterabili solo nei sei mesi della prima proroga.

Ma Biondi fa di più. Collegandosi probabilmente a quel Testo Unico, a cui non può collegarsi, imputa gli importi corrisposti, in regime di proroga, ad Ecocar, allo stesso capitolo di bilancio utilizzato al momento del contratto, rientrando illegittimamente in quella cornice generale definita nell’articolo 191, comma 1.

L’imprenditore, nel nostro caso avrebbe dovuto essere questa la condizione di Ecocar, non può, dunque, più aver rapporto con l’ente perché, dal sesto mese e un secondo, si muove fuori dal perimetro della “proroga tecnica”, che può abbracciare solo 180 giorni (poco più o poco meno).

Se il rapporto sussiste “di fatto”, non potrà avere i soldi definiti negli importi del contratto originario. E quelli che dovrà incassare, non essendo più possibile legarli al presupposto degli stessi patti, prezzi e condizioni, né all’imputabilità a capitoli di Bilancio di previsione, rappresenteranno debiti fuori bilancio che, per legge, come spiega l’articolo 194, comma 1, lettera e, dev’essere riconosciuto dal consiglio comunale (CLICCATE E LEGGETE PER CREDERE).

Se questo non accade, l’imprenditore avrà solo una strada: non gli resterà altro da fare se non rivalersi personalmente nei confronti di chi ha consentito che il meccanismo si attuasse al di fuori delle previsioni dei primi 3 commi (ribadiamo, ci interessa solo primo) dell’articolo 191 del Tuel.

E d’altronde, se ci ragioniamo un attimo, il discorso è logico: quelli relativi alle proroghe post 6 mesi non sono soldi che possono essere presi dal bilancio in quanto questa proroga è vietata, non è consentita. La disciplina della norma comunitaria apre la strada al solo riconoscimento di fatto di un diritto dell’imprenditore creditore che potrà soddisfare solo nel momento in cui verrà attuata l’unica procedura consentita per scucire soldi esterni al bilancio, cioè riconoscere un debito fuori da questo. Se poi il consiglio comunale fa orecchie da mercante perché i suoi componenti col cavolo si assumono la responsabilità di rispondere personalmente qualora la Corte dei Conti considerasse questo debito illegittimo, lo stesso diritto patrimoniale potrà essere rivendicato in giudizio chiamando nello stesso non l’ente, ma la persona che ha consentito la proroga di fatto. E se la legge ti consente di fare questo, se la legge riduce il contenzioso alla presenza di un attore che si materializza nella persona giuridica dell’impresa e un convenuto che si materializza nella persona fisica di colui che ha attivato il meccanismo al comune, significa chiaramente che quel meccanismo era illegittimo e non essendo sanato dall’ente, con delibera di consiglio comunale che riconosce il debito fuori bilancio, esce definitivamente dal confronto, dall’interlocuzione amministrativa tra un privato e l’ente pubblico ed entra in una dimensione di diritto civile in cui l’attore è la persona giuridica impresa e il convenuto è il funzionario che hanno permesso la proroga “di fatto”.

Se fosse stata una procedura regolare, non sarebbe stato possibile citare in giudizio il dirigente, il funzionario o anche il sindaco, come persone fisiche che rispondono con il loro patrimonio. Ciò significa che il sindaco, il dirigente o il funzionario sono identificati dalla legge come gli autori del misfatto.

Per cui, tornando alle questioni pratiche, se, come capita quasi sempre, l’imprenditore non vuole fare causa personale all’amministratore, funzionario o dipendente, per non inimicarselo o perché ritiene il patrimonio personale incapiente, ha una sola alternativa: quella di farsi riconoscere il credito quale debito fuori bilancio, ai sensi dell’art. 194, c. 1, lett. e del T.U. Enti Locali. Perché in assenza di questa procedura, o incarta e porta a casa e ci perde grandi cifre, oppure litiga con il dirigente e con il sindaco (se lo può fare) e li porta in tribunale. Non a caso, le imprese private che ancora rispondono alla disciplina della legge comunitaria hanno pochissima voglia di lavorare in proroga, questo perché in un posto dove si applicano le norme in maniera corretta, incassano molti soldi in meno e soprattutto rischiano di impegolarsi in contenziosi giudiziari infiniti.

Questo tipo di articolo va sempre tenuto in pugno, perché qualcuno potrebbe poi dire che uno o più passaggi manchino di argomentazione. Occorre ribadire allora che si sta parlando sempre dell’importo decurtato rispetto a quello contrattuale, quindi rispetto a quello della prima proroga.

Il debito fuori bilancio che in consiglio ci arriva, badate bene, previo parere dei revisori dei conti, non può superare, nella cifra certificata dai consiglieri, l’ingiustificato arricchimento, del Comune,c vuol dire che nessun utile può essere riconosciuto all’imprenditore, che può introitare solo i costi vivi documentati. In poche parole, si ha un abbattimento minimo del 25% del canone e va riconosciuta la spesa per il personale effettivamente sostenuta nel periodo e nessuna utilità può essere riconosciuta all’impresa, che in pratica lavora, nel caso il comune forzi la legge con proroghe di fatto, senza fine di lucro. Si giunge, a volte, ad un abbattimento del canone anche del 50%. Queste cose non le diciamo noi, ma le leggiamo in molte sentenze, che siamo pronti a pubblicarvi nei prossimi giorni. Sentenze che hanno già stabilito tutto ciò di fronte alle azioni legali promosse da alcuni imprenditori titolari di proroghe di fatto.

Conclusione: a nostro avviso, continuare a pagare a prezzo pieno configura l’ipotesi di danno erariale e di abuso, perseguibile da chi di competenza. Basterebbe fare un esposto alla Procura, in particolare a quella della Corte dei Conti che ben conosce la materia.

L’opposizione dove sta? Dove è stata sempre. Cioè nella stanza del sindaco e nella stanza di Biondi ad esercitare la pratica del mendicio con tanto di cappello in mano. Perché se in questa città c’è un’amministrazione comunale vergognosa e una maggioranza che lo è ancor di più, la minoranza, come si suol dire, “scassa la misura“. E ci dispiace che persone come Francesco Apperti l’opposizione l’abbiano fatta ad intermittenza e senza andare mai a fondo delle questioni pesanti e tossiche, come quella relativa al rapporto tra il comune di Caserta ed Ecocar, per l’appunto. Una timidezza che non potrà non essere sottolineata se Apperti, che ora afferma di non volersi ricandidare a sindaco, cambiasse idea.

I revisori dei conti? Qualcosa hanno fatto al tempo dei pluri-Bilanci di Marino ma solo perché avevano il nostro fiato sul nostro collo. E comunque, anche in quel frangente, hanno dimostrato una sudditanza, una volontà di quieto vivere, una convenienza a tutelare lo status quo che gli permette di rimanere in carica e intascare quattrini importanti lavorando alle cose del comune di Caserta non più di 20 ore al mese.

Il segretario comunale? Caliamo un velo di pietoso silenzio.