COVID. Contratto per fornitura mascherine “saltato”, imprenditore casertano accusato di appropriazione indebita: ASSOLTO
8 Maggio 2025 - 10:31

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La Corte di Cassazione annulla senza rinvio la sentenza di condanna a carico di un imprenditore casertano imputato per il reato di appropriazione indebita. Si chiude definitivamente, con una pronuncia irrevocabile della Suprema Corte di Cassazione, la lunga vicenda giudiziaria che ha visto coinvolto un imprenditore casertano accusato del reato di appropriazione indebita. La Cassazione ha infatti annullato senza rinvio la sentenza di condanna emessa nei suoi confronti, riconoscendo la fondatezza delle tesi difensive sostenute dall’avvocato Pasquale Acconcia.
I fatti risalgono al periodo della pandemia, in un momento di forte domanda di dispositivi di protezione individuale. L’imprenditore, legale rappresentante di una società attiva nella fornitura di mascherine, aveva sottoscritto un contratto con una cliente, la quale aveva versato un acconto di 169.000 euro in previsione della fornitura. Tuttavia, il contratto non fu mai eseguito integralmente. L’imprenditore restituì soltanto 69.000 euro, trattenendo la restante somma. Da qui la querela per appropriazione indebita, fondata sulla presunta illegittimità della trattenuta.
Il procedimento penale si concluse inizialmente con una condanna in primo grado, poi confermata in appello. La difesa ha però fatto ricorso alla Corte di Cassazione, sollevando tra le altre eccezioni quella relativa all’errata qualificazione giuridica dei fatti. Secondo il legale, non si trattava di appropriazione indebita, bensì di un possibile inadempimento contrattuale, riconducibile alla sfera civilistica e non penale. In particolare, è stato sostenuto che il denaro versato come anticipo, in assenza di un vincolo di destinazione specifico, fosse entrato legittimamente nel patrimonio dell’imprenditore, perdendo quindi il requisito dell’altruità necessario a configurare il reato.
La Suprema Corte ha accolto questo orientamento, riconoscendo che la somma versata non era soggetta a uno scopo vincolato e che, di conseguenza, non poteva parlarsi di appropriazione indebita. Ha quindi annullato la sentenza della Corte d’Appello senza rinvio, revocando anche le statuizioni civili a carico dell’imprenditore.
Con questa decisione, la Cassazione ha confermato un principio consolidato nella giurisprudenza: il reato di appropriazione indebita non si configura in presenza di rapporti contrattuali in cui il denaro ricevuto a titolo di acconto non sia vincolato a un uso specifico e resti, per sua natura, nella disponibilità di chi lo riceve. L’imprenditore è stato così prosciolto con formula piena: il fatto non sussiste.