DIARIO DI BORDO. Le Autostrade del Mare e il piacere della lentezza

8 Aprile 2019 - 09:00

SALERNO/PALERMO (Maria Concetta Varletta) – Due ore di ritardo sulla partenza hanno tutte le carte per sembrare la cosa peggiore che possa capitarti.
Due lunghissime ore che pensi ti vengano sottratte immeritatamente da una sorte beffarda.
Significa cambiare la tabella di marcia, che un appuntamento salterà e via gli altri, come fossero tessere di una partita a domino alla quale non hai scelto di giocare.
(SPOILER: scoprirò, alla fine del viaggio, che quel tempo che credevo di vita persa si è rivelato essere, invece, di vita guadagnata).
Sono sulla nave Catania della flotta Grimaldi Lines, alle battute iniziali di un viaggio che mi porterà a Palermo in dieci ore. Una voce ha appena annunciato il ritardo di cui sopra.
I primi minuti sono di grande disagio: mi guardo intorno in cerca di una spiegazione, scendo alla reception a chiedere il perché. “Un guasto tecnico“, rispondono, dopodiché mi offrono la colazione per scusarsi e, immagino, ingannare l’attesa.
Mangio il mio croissant seduta al tavolino più esposto alla luce, cerco l’azzurro del mare. Finalmente mi fermo.
Potrei scendere e rinunciare al viaggio, tornare ai ritmi frenetici delle mie giornate e rubricare questa falsa partenza nel capitolo “imprevisti rognosi” del bilancio della mia giornata, anzi del mio weekend.
E invece no. Il mare mi calma, si abbassa il ritmo cardiaco. Mi accorgo che il sole è salito nel cielo e illumina questo nuovo giorno di una luce dorata.
Voglio proprio andarci a Palermo, cavoli, anelo di tornare in Sicilia con la brama assoluta e imperativa dei bambini, che quando desiderano qualcosa non ammettono alternative.
Rimango, ho deciso. Il mio umore cambia.
Mi viene in mente una réclame (di un caffè, forse?) che tante volte ho letto distrattamente alla stazione salendo o scendendo, sempre di corsa, da un treno.
Diceva, più o meno, che l’attesa non è tempo perso, ma tempo regalato.
Mi guardo di nuovo intorno, cerco di scorgere le reazioni al ritardo degli altri passeggeri.
C’è chi ha il muso lungo, certo, (e ce l’avrà per il resto del viaggio), ma anche chi affronta l’imprevisto con l’attitudine di chi ha fatto una conquista: qualche ora di tempo per sé.
Ognuno di noi, nel frattempo, ha guadagnato un posto al sole sul ponte della nave che, non a caso, si chiama “ponte sole”.

Osservo un ragazzo che ascolta musica, le cuffie nelle orecchie e gli occhi chiusi, la testa leggermente reclinata all’indietro per godere dei raggi caldi, perfettamente mitigati dalla brezza marina.

Io mi siedo su una panca, appoggio accanto a me la giacca.

Davanti a noi, illuminata dal sole ancora tiepido del mattino, scorgo una cupola maiolicata che si staglia sul resto delle costruzioni della costa. Sulla sua superficie splendente si riconoscono distintamente il giallo, il blu e il verde che si intrecciano tra di loro. Mi sembra proprio di riconoscerla.

“È quella del Duomo di Vietri sul Mare” esclama il mio fido compagno di viaggio, che ha appena interrogato al riguardo l’oracolo di Google.
Ecco cos’altro ti regala un tempo che è finalmente tuo: il lusso di pensare, di lasciarsi andare ai ricordi.
Ora dispongo di minuti preziosi che posso dedicare ad andare a ritroso a quel pomeriggio di agosto di qualche anno fa, quando quella cupola l’ho vista per la prima volta e visitata insieme al compagno di viaggio, nella nostra prima fuga insieme.

D’altra parte è anche questo il motivo per cui si sceglie di viaggiare percorrendo una “autostrada del mare”: godersi la lentezza del viaggio e tutto quello che ne consegue.

Scegliere le autostrade del mare, dunque, vuol dire concedersi il lusso della lentezza.
E anche il lusso del riposo, perché no. In una cabina con oblò vista mare puoi riposare cullato dalle onde del mare.
Le ore del viaggio diventano occasione di confronto e di scoperta. Ci si può abbandonare a quelle chiacchiere lente, frivole e profonde a fasi alterne, a cui spesso, nella vita di tutti i giorni, si rinuncia in favore di altre e più prosaiche incombenze.
La mia attenzione è improvvisamente catturata da un gruppetto di persone. Uno di loro, coppola in testa, regge una macchina da presa. L’altro tiene tra le mani un taccuino, di quelli classici, su cui prende appunti.
Che poesia, penso, e un po’ lo invidio. Io ho lasciato a casa il mio, ritenendo che fosse più pratico scrivere in digitale, ma la penna che imprime su un foglio il suo segno è tutt’altra cosa.
Li guardo un po’ da lontano, con loro c’è anche una ragazza. Poco dopo li avvicino, non resisto alla curiosità di sapere cosa ci facciano sulla nave.
Credevo di averlo capito, in realtà, pensavo fossero giornalisti come me in “viaggio di lavoro”. Ma non è così, evidentemente le apparenze ingannano.
“Siamo una banda riciclante”, si presentano.
“Una banda…che?” 
Mi raccontano di un’iniziativa bellissima, “Banda Riciclante” appunto, che stanno portando in giro per l’Italia con grande entusiasmo. Si tratta di un progetto formativo, promosso dal Teatro dei Mignoli di Bologna, che si rivolge ai bambini, alle loro famiglie e alle scuole, per educare e informare sui temi dell’ecosostenibilità ambientale, attraverso laboratori multidisciplinari e attività creative.

Il “Rici Tour” della primavera 2019 sta coinvolgendo 10 istituti scolastici di 10 città costiere in tutta Italia.

La tappa di Salerno, mi spiegano, è durata quattro giorni e ha coinvolto studenti e insegnanti dell’Istituto Comprensivo Statale “Gennaro Barra”.
La Banda Riciclante ha impegnato i bambini in tante attività formative, tra le quali la bonifica di un tratto di spiaggia salernitana dove sono andati tutti insieme per raccogliere i rifiuti.
Deduco facilmente che la tappa successiva toccherà la città, dunque una scuola, di Palermo.
E lei, Gino – chiedo all’uomo con la macchina da presa al quale mi ero poco prima presentata – riprende l’impresa con la sua camera?”
“Ginetto”, mi corregge, spiegandomi che è un documentarista di professione. Il suo film sulla Banda Riciclante uscirà l’anno prossimo, non vedo l’ora di vederlo.

Ci salutiamo, avremo modo di scambiare ancora due chiacchiere più tardi.

Una volta arrivata a Palermo, la nave su cui viaggio proseguirà per Tunisi. La maggior parte dei passeggeri è diretta lì, tornano a casa.
Osservo imbarcarsi le loro vetture cariche di fagotti, pezzi di vita italiana che stanno portando con sé in Africa. C’è di tutto: riconosco biciclette da bambini, addirittura un set di poltrone in pelle marrone che forse arrederanno di tutto punto il salone di una casa o faranno la felicità di quei parenti che, (immagino io, forse romanzando un po’ la storia), aspettano un regalo dall’Italia.
Guardo queste persone sistemarsi, ognuno ha il suo involto colorato ed eterogeneo di oggetti e cibarie.

Mi soffermo su una famiglia con cinque bambini, sembrano le bamboline in carne ed ossa di una matrioska: il primo avrà cinque o sei anni, l’ultimo è sistemato in un passeggino.
La mamma, che indossa un bellissimo hijab color rosa confetto, li accudisce con amore, mentre il padre fa la spola tra il tavolo a cui siedono e la catena del self service perché i vassoi da trasportare sono tanti. Ormai è ora di pranzo. Mangiano ognuno per conto proprio, la mamma imbocca solo il piccolino.
Il pomeriggio trascorre dolcemente, decido di schiacciare il mitologico pisolino pomeridiano. Da quanto tempo non lo facevo?
Torno nella sala comune della nave giusto in tempo per assistere alla preghiera della sera.
Al calare dell’ultimo raggio di sole, come la religione musulmana prevede, parte il richiamo della ṣalāt al-maghrib.
L’adhān è scandito dal muezzin che, in una particolare posizione che porta le mani sulle orecchie, intona a tutta voce un richiamo cantilenante e melodico.
Gli uomini si raccolgono. Stendono i tappetini e tolgono le scarpe, rivolgendosi a La Mecca. La preghiera prosegue fino al completo calare del buio.
Il tempo sembra ora srotolarsi più velocemente: si vede terra, siamo quasi arrivati. Il nostro viaggio volge al termine, il loro continuerà ancora per diverse ore fino a Tunisi.
Guardo la nave avvicinarsi alla costa e dentro di me sento un sorprendente senso di pacificazione.
Sono di nuovo sul “ponte sole”, le luci della sera sono sempre più vicine.
Che bello questo viaggio in nave, mi scopro a pensare mentre tocco terra siciliana. La città è davanti a me in tutta la sua prepotente bellezza.
E Palermo, Palermo…che ve la racconto a fare?