Due anni fa ci lasciava Shackleford, per Marcelletti semplicemente “il centro più forte mai visto in Italia”

27 Gennaio 2019 - 13:59

CASERTA (Ruben Romitelli) – Nella stagione 1990/1991 la Caserta sportiva raggiunse l’apice del suo successo: Juvecaserta campione d’Italia e Casertana in Serie B. Tanti gli uomini che contribuirono a far le fortune delle due società, molti i giocatori che fecero parte di quelle incredibili squadre, uno solo quello che, oltre ad incantare sul campo, riusciva anche a far tendenza al di fuori del rettangolo di gioco, un antesignano degli ‘influencer’ di oggi: Charles Shackleford.
Capitava così che quel taglio di capelli sbarazzino e vivace, ‘a spazzola’, rasato ai lati, fosse per i giovani della città un must da seguire, con buon piacere dei barbieri casertani.
Ma lui, il ‘signore degli anelli’, per tutti semplicemente Shack, non arrivò all’ombra della Reggia per caso. Ed in pochi sanno che Shaquille O’Neal si è attribuito il soprannome di ‘Shaq’ per assonanza proprio perché fan dell’altro ‘Shack’.
“All’epoca non c’erano gli scout come oggi, e noi allenatori andavamo ogni estate a guardare le Summer League per crearci un nostro database dal quale attingere informazioni”, esordisce Franco Marcelletti, coach che fu capace di rinunciare ad Oscar pur di far fare alla propria squadra quell’ulteriore salto di qualità per poter vincere.
“Andavo negli States dal 1986, le società ci mandavano lì per visionare giocatori che sarebbero potuti tornare utili anche in chiave futura e per prendere contatti con gli agenti sul posto. Quando lasciammo andare Oscar l’idea era di prendere un pivot americano. In quell’anno in Italia arrivarono tantissimi campioni dall’NBA, da Darren

Daye a Jay Vincent fino a Clemon Johnson, ed anche noi non volevamo essere da meno. Io e Giancarlo Sarti iniziammo perciò a selezionare i vari profili, fino a che un giorno lui fu contattato dall’agente Di Fazio. Successivamente Giancarlo mi chiamò e mi disse «Franco ma tu lo conosci Shackleford? Me l’hanno proposto…».
Io lo conoscevo bene per averlo visto giocare l’anno precedente, e si era messo in luce. Shack aveva giocato al college a North Carolina State, allenato da un santone del basket NCAA come Jim Valvano. Mi colpì il suo essere totalmente ambidestro, cui aggiungeva un’ottima propensione per il rimbalzo ed una tecnica eccellente. Credo fu offerto anche ad altre squadre, ma alla fine lo prendemmo noi, anche se già allora non aveva una reputazione cristallina. Ma nella vita se non rischi non vinci mai”.
Già sin dal college, infatti, Shack ha avuto problemi a causa di alcune sue non edificanti frequentazioni.
“Veniva da un quartiere molto povero di Kinston, cittadina del North Carolina nella quale poi è tornato a vivere una volta smesso di giocare. Quando ti arrivano grosse quantità di soldi, in quei luoghi, vieni avvicinato da più persone, non tutte buone, e lui ha commesso degli errori frutto della sua ingenuità e della sua genuinità. Non è mai stato cattivo, a volte semplicemente si è fidato delle persone non giuste, ma lui era un buono. Posso dire che nel periodo in cui stette con noi fu professionalmente ineccepibile. Non ci ha mai dato un problema sul piano disciplinare. Io lo posso descrivere come un bravo ragazzo che nella vita ha commesso delle sciocchezze, che ha oltretutto pagato a caro prezzo”.
Per le sue qualità tecniche ed atletiche non credo sia un’eresia affermare che sia stato il più forte centro mai visto in Italia.
“Lo credo anche io, e fu fondamentale per la vittoria dello scudetto. È un campione che ha lasciato il segno sia per sostanza che per spettacolarità. Ci fece fare un enorme salto di qualità per poter battere Pesaro ai quarti, Bologna in semifinale e Milano in finale. Lui sapeva di essere un fuoriclasse, ma nonostante ciò non era uno che giocava da solo. Si inseriva sempre all’interno del sistema ed è per questo che i compagni gli volevano bene e lo apprezzavano. Mike D’Antoni lo temeva tremendamente e, nelle ultime due gare della finale, mandò puntualmente Pittis a raddoppiarlo. Ma Shack era anche un fantastico passatore, sia per visione di gioco che per tecnica di passaggio, e riuscì a trovare sempre libero Dell’Agnello, che infatti non a caso segnò 29 punti in gara-4 e 30 punti in gara-5. Bravo Sandro a farsi trovare pronto, ma bravo Charles a capire che quello poteva essere trasformato in un vantaggio. Fu lì che battemmo Milano”.
Tutti lo descrivono come un ragazzo esuberante e goliardico. C’è poi il famoso episodio in cui fu costretto a giocare con le scarpe basse perché aveva portato due sinistre con sé. Oltre a questo ci racconta qualche altra chicca?
“Charles si inserì bene fin da subito nel contesto casertano. Gentile, Esposito e Dell’Agnello erano soliti fare scherzi durante il ritiro, e lui non ci mise molto a ‘vendicarsi’: tirava decine e decine di palloncini d’acqua. Nel periodo di capodanno impazzì per i fuochi d’artificio e ne sparava in quantità industriali. Un’altra volta, per rispondere a non so quale scherzo, andò a far la doccia per primo dopo l’allenamento e poi scappò via a casa. Andandosene chiuse tutti nello spogliatoio e portò la chiave con sé. Dovemmo buttare giù la porta per far uscire tutti”.
È difficile trovare in Europa oggi un giocatore come lui.
“Di atleti con le sue caratteristiche ce ne sono pochi. Non ha avuto fortuna in carriera, anche perché in NBA non fu capito a dovere e non fu utilizzato sfruttando quelle che erano le sue migliori qualità. Caratterialmente era uno tosto, che si accendeva nelle sfide importanti, che si esaltava quando la posta in gioco era alta non tirandosi mai indietro. Sono tanti i giocatori che invece, pur essendo forti, si sciolgono come neve al sole quando il livello sale. Ma non lui, non Shack”.
Si può dire che la sua scelta in estate fu il primo tassello dello scudetto?
“Con il senno del poi tutte le ipotesi sono più semplici da fare, ma è ovvio che senza di lui sarebbe stata un’altra storia. Il nostro sogno era affiancargli Elden Campbell (QUI le sue statistiche di 15 anni di NBA, di cui 9 ai Lakers, ndr). Era stato scelto al draft dai Lakers, ma allora c’era un mercato libero ed i giocatori potevano accasarsi dove ritenevano opportuno, mentre oggi quando vieni selezionato hai già un contratto fisso in base al numero della scelta con cui vieni selezionato. Così lo portammo a Caserta e si allenò per una settimana con noi. Gli facemmo un’offerta e, appena a Los Angeles lo seppero, gli fecero subito una controproposta che accettò. Con lui avremmo avuto ancora più talento, anche se probabilmente poi con Tellis Frank diventammo una squadra più coesa e meglio amalgamata”.
Insomma, quando Caserta contendeva giocatori ai Lakers…
“Bei tempi quelli, peccato siano passati”.
Peccato soprattutto che un campione come Charles Shackleford ci abbia prematuramente lasciato.
Continuerà a schiacciare ovunque si trova, tanto è abituato a stare in alto lui che aveva sempre un po’ la testa tra le nuvole e toccava il cielo con i suoi incredibili salti.
Ciao Shack-attack.