GUARDA IL VIDEO. La moglie del boss, madre di chi voleva far esplodere la caserma dei carabinieri premiata davanti al Prefetto, al Procuratore della Repubblica e ad alti ufficiali delle forze dell’ordine

16 Dicembre 2019 - 21:45

GRAZZANISE (g.g.) – Figuriamoci se noi di Casertace, che liberali lo siamo sul serio, ci mettiamo a sostenere questi giacobini affermando che la signora Alfonsina Cacciapuoti debba essere messa all’indice, in quanto moglie di Giuseppe Nobile, pluripregiudicato condannato anche nel processo Spartacus e ritenuto braccio destro dello storico capozona, del clan dei Casalesi, Alfonso Cacciapuoti fedelissimo degli Schiavone, Sandokan, Cicciariello e dintorni. Neppure la signora Alfonsina Cacciapuoti, peraltro cucina del capozona Alfonso Cacciapuoti può essere isolata dalla vita sociale in quanto madre di Amerigo Nobile, oggi detenuto, che insieme alla moglie al figlio del già due volte citato Alfonso Cacciapuoti, voleva far saltare in aria la caserma dei carabinieri, all’epoca guidata dal maresciallo Baldo Nero, oggi comandante la stazione di Macerata Campania.

Ma Alfonsina Cacciapuoti è un’altra persona, soggetto di diritto senza macchie giudiziarie. E’ una cittadina normale e sviluppa la sua attività nel volontariato con buona dedizione, conquistandosi delle indiscutibili note di merito.

Ci siamo intesi? Le colpe dei mariti, non ricadono sulle mogli, come quelle dei figli non ricadono sulle madri, come quelle dei cugini non ricadono sulle cugine. Questa si chiama civiltà liberale.

Possiamo partire con la seconda parte del discorso: Alfonsina Cacciapuoti, è stata premiata l’altra sera durante una manifestazione organizzata dalla preside Roberta Di Iorio presso l’istituto comprensivo di Grazzanise che coordina la dirigente scolastica. La Cacciapuoti è stata insignita di questo premio per essersi occupata delle pulizie della casa di un pregiudicato di Grazzanise, attualmente allettato a causa di una seria malattia. Alfonsina Cacciapuoti ha fatto, dunque, lodevolmente quello che toccherebbe di fare ai servizi sociali comunali.

Ricevendo questo premio da una scuola dello Stato italiano, la Cacciapuoti avrebbe dovuto avere il coraggio di parlare della triste vicenda della sua famiglia, non per rigirare il coltello nella piaga, ma semplicemente perché, pur ribadendo l’affetto per il marito o per il figlio, che non può essere messo in discussione, avrebbe dovuto additare come sbagliate, anzi come orribili, le scelte di vita da questi effettuate.

Attenzione, non si tratta di cose private, perché scegliere di fare il camorrista, significa incidere pesantemente, e in maniera nefasta, sul tessuto civile, economico e sociale di una comunità. Giuseppe Nobile, il figlio Amerigo, il cugino Alfonso Cacciapuoti hanno sfregiato la dignità della comunità di Grazzanise, facendo in modo che questa fosse etichettata come un crogiolo di camorristi e per di più pronti addirittura ad ammazzare il maresciallo dei carabinieri solo perché faceva il suo dovere. Questo avrebbe dovuto dire al microfono Alfonsina Cacciapuoti. D’altronde, mai avrà forse la possibilità di trovarsi al cospetto di una platea tanto qualificata, tanto importante. L’altra sera a Grazzanise c’erano il prefetto di Caserta Raffaele Ruberto, il procuratore della Repubblica presso il tribunale di Santa Maria Capua Vetere Maria Antonietta Troncone, l’arcivescovo di Capua Salvatore Visco, il giudice Cesare Sirignano della direzione nazionale antimafia, il capitano Macrì, comandante della compagnia carabinieri di Santa Maria Capua Vetere, la comandante della compagnia di Capua della Guardia di Finanza capitano Minnoia e tanti genitori e tanti alunni dell’istituto comprensivo.

E ha sbagliato la preside Roberta Di Iorio. Non perché ha deciso di dare ad Alfonsina Cacciapuoti il premio di solidarietà sociale 2019, ma non negare la concessione dello stesso ad una pubblica presa di distanza della premiata dalla camorra di Grazzanise e dunque dalle scelte operate dal marito, dal figlio e dal cugino boss.

A proposito c’era anche il commissario straordinario Aldo Aldi e forse questo spiega perché sia potuto accadere un fatto del genere, che lo Stato, rappresentato a così autorevole livello, si sia limitato a fare da comparsa di fronte ad una persona che ha vissuto dentro una famiglia di criminali veri, pericolosissimi e che non ha avuto nemmeno la creanza di portare al cospetto di quella sala le scuse sue e, per interposta persona, quelle del marito, del cugino e del figlio pronto a realizzare un attentato in stile Bagdad contro un presidio di alta difesa della legalità qual è, per simbolo ma anche per concretezza, la caserma dei carabinieri.