I CASALESI e gli appalti d’oro con le aziende di Stato. L’abitazione di CASAL DI PRINCIPE, in via Genova, di Vincenzo Schiavone ‘o trick era il deposito di Paperone. La moglie Tiziana Baldi preleva dai cassetti prima 25mila euro, e poi…

24 Luglio 2022 - 19:31

I due episodi vengono descritti dentro a passi dell’ordinanza in cui si coglie il grande sforzo della Dda, a nostro avviso anche eccessivo rispetto a quelle che appaiono delle evidenze indiscutibili, di dimostrare che ‘o monaciello e ‘o trick comandavano tutto in TEC srl, in ITEP srl e in GSC

 

CASAL DI PRINCIPE(g.g.) Gli avvocati difensori di Nicola Schiavone monaciello, del fratello Vincenzo e degli altri indagati nell’inchiesta Dda di cui ci stiamo occuapndo da due mesi e mezzo, non si possono certo lamentare. Intanto sono stati, diciamo così, fortunati nel momento in cui sono trascorsi più di tre anni tra la giornata del 3 aprile 2019, quando decine e deccine di carabinieri perquisirono le abitazioni e gli uffici di questa autentica holding degli appalti truccati che aveva aperto una sorta di partnership consolidata tra soggetti vicini al clan dei casalesi e le principali aziende di stato, e il momento in cui, cioè il 3 maggio scorso, un gip del tribunale di Napoli ha dato il via libera agli arresti e alle altre misure cautelari, peraltro nettamente depotenziate da questi lunghi e, per molti versi incomprensibili, a meno che non ci vogliamo mettere a fare pure noi i complottisti e gli esegeti dei poteri forti che si muoverebbero anche negli apparati dello stato, tre anni, aggravati tra le altre cose da una clamorosa fuga di notizie che non può non essere partita dai luoghi in cui l’indagine si svolgeva e che ha permesso, sin dal gennaio 2019, a Nicola Schiavone, cioè al boss di tutti quanti questi mega affari, di conoscere molti dettagli dell’indagine svolta dalla Dda e dai carabinieri del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Caserta.

Oltre a quella che possiamo definire fortuna, i vari avvocati difensori Umberto Del Basso De Caro, Esposito Fariello, Montone e compagnia hanno a che fare con un’ordinanza che sembra costretta continuamente ad alzare l’asticella della dimostrazione di quella che appare un’evidenza, magari apparendo tale rispetto ai parametri e agli obiettivi valutativi di un giornale, ma riteniamo, noi che di ordinanze ne abbiamo lette decine e decine e di pagine centinaia di migliaia, sia “ottima ed abbondante” affinchè la pubblica accusa possa portare in giudizio un’imputazione solida di intestazione fittizia di beni, di corruzione edi altri reati assortiti, al di là della possibilità, che al cospetto dei giudici del Riesame è apparsa piuttosto remota, di condannare i due Schiavone e diversi altri imputati anche per le aggravanti di camorra.

La parte da noi scelta oggi è infatti un esercizio continuo finalizzato a ragionare in modo da rendere logico, incontestabile, il fatto che Nicola Schiavone fosse il dominus di tutte le società coinvolte negli affari sporchi. E’ come se la Dda e il gip facessero gli avvocati del diavolo di loro stessi, proponendo sempre nuovi esempi, nuove intercettazioni da cui appare chiaro che gli ordini, tutti gli ordini sulle strategie e anche sulle azioni meno rilevanti di queste imprese, li dava Nicola Schiavone e, per quanto riguarda i cantieri, il fratello Vincenzo detto ‘o trick.

Su un punto insiste il gip, avallando evidentemente la tesi della Dda: questi ordini vengono impartiti da Nicola Schiavone anche ai vari Leo Caldieri e Luca Caporaso, cioè le persone più utilizzate come prestanomi. E’ chiaro che i magistrati dell’Antimafia abbiamo dovuto fronteggiare la mossa astuta del monaciello, dell’ex pupillo di Francesco Schiavone Sandokan, di farsi assumere dalla TEC srl, una delle società fulcro dell’organizzazione, con un contratto da direttore generale.

Nell’idea, stabilmente perseguita, di evitare che le strutture proprietarie della TEC fossero ascritte a lui, Nicola Schiavone ritiene, in qualche modo, di aver messo così in sicurezza anche i contenuti delle intercettazioni telefoniche. Perchè ci sta che un direttore generale, a cui la proprietà, a cui l’amministratore unico, il Cda attribuscono pieni poteri, eroghi ordini operativi. Ma non ci sta che questi ordini e lì forse o monaciello si è distratto, lui li formuli, qualche volta con durezza e perentorietà anche nei confronti di quelli che dovrebbero essere i suoi datori di lavoro, cioè gli amministratori, cioè Caporaso, cioè Leo Caldieri.

C’è un’intercettazione in cui monaciello, come si suol dire, si “fa afferrare per pazzo”, per un ammanco di 30mila euro su un conto corrente che ne conteneva 64mila. Il problema è che l’ammanco era frutto di operazioni, realizzate con la carta di credito aziendale a disposizione di Luca Caporaso che sulla carta era amministratore in quel momento.

Avete mai visto un dipendente che prende, seppur metaforicamente, a calci nel sedere il suo datore di lavoro perchè questi spende soldi o male utilizza la carta di credito aziendale? A dire il vero, se ad un direttore generale, tu puoi anche dare, più o meno provvisoriamente, una carta di credito aziendale, non sta nè in cielo, nè in terra che questi possa guardare gli estratti conto, visto che questa è prerogativa dei proprietari dell’impresa e dell’organo amministrativo.

Abbiamo citato questo esempio, che riteniamo forse il più efficace tra i tanti registrati e pubblicati nelll’ordinanza e di cui, per non appesantire ulteriormente gli articoli, anche perchè non mettono e non tolgono nulla rispetto a questa stabile tensione dell’autorità giudiaziaria inquirente, nel voler dimostrare che fosse Nicola Schiavone monaciello il vero dominus di TEC, del Consorzio GSC, dove effettivamente Schiavone compariva, ma la cui proprietà era nelle mani delle sue teste di legno visto che la TEC possedeva l’80% delle quote o anche della ITEP.

Vogliamo invece sottolineare qualche scena a margine che serve a capire quale fosse il tenore di vita delle famiglie dei due fratelli, in questo caso specifico, di Vincenzo ‘o trick. Manco se i due fossero stati dei geni dell’imprenditoria, manco se fossero stati percorsi da competenze ed intuito in grado di riempirli di meritocrazia, i germani gestivano somme impressionanti. E gli spiccioli in contanti li tenevano nelle proprie case tranquillamente. Molto efficace, allo scopo di capire quale sia stata la potenza economica dei due Schiavone e per convincersi che le loro fortune, non possono essere estranee ad una condizione economica, ad una base di investimento costruite ai tempi in cui il clan dei casalesi dominava la scena, è la doppia trasferta di Tiziana Baldi, moglie di Vincenzo Schiavone, nella sua casa localizzata in via Genova a Casal di Principe.

La prima volta per prelevare una sommetta, ben 25mila euro in contanti, da utilizzare per pagare probabilmente a chi le aveva fittato l’immobile napoletano di via Michelangelo da Caravaggio ma anche per pagare le tasse al  figlio Oreste Schiavone, iscritto alla Luiss, università romana di proprietá di Confindustria, ad ulteriore dimostrazione che forse questa  degli anni in corso è l’ultima possibilità, l’ultima chiamata per individuare almeno parte dei tesori di camorra riciclati, visto che dopo sarà pressochè impossibile perchè grazie a questi soldi e alla  matrice criminale da cui questi si sono mano mano materializzati, i figli, i nipoti vanno a frequentare le migliori università, quelle in cui si paga un botto e che magari il figlio di una famiglia normale, perbene, non può frequentare semplicemente perchè mamma e papà non hanno deciso di fare i camorristi.

La seconda traferta è quella del 23 dicembre 2018. stavolta Tiziana Baldi viaggia con la figlia Amelia Schiavone. Non è precisata la somma che sempre dalla casa di via Genova a Casale viene presa. Ma deve essere molto ingente, se è vero com’è vero che la figlia, quasi richiama la madre sui rischi e sulla pericolosità di portare con sè tutti quei soldi. E’ chiaro che tanto contante non veniva accumulato casualmente, ma, secondo gli inquienti, era la conseguenza voluta della sequela di assunzioni fittizie di mogli, parenti, congiunti, figli degli Schiavone, dei Leo Caldieri, dei Caporaso, insomma tutta la compagnia, compreso l’incapiente De Girolamo.

A fare da sfondo a queste vicende ci sono spesso e volentieri le conversazioni captate nell’auto condotta da Vincenzo Bove, cioè lo storico autista e in qualche modo factotum di Nicola Schiavone. Parlando con il cognato dei due fratelli, cioè Ubaldo Loico, oltre ad evidenziarsi con assoluta chiarezza il ruolo di comando svolto da Nicola e Vincenzo Schiavone, viene fuori anche il nome di Mario Luca Fiocco, nipote del Fiocco di Sparanise, storicamente e complicatamente legato agli affari degli Schiavone. Mario Luca Fiocco non abita a Sparanise, bensì nella vicina Francolise. Già da giovanissimo, a 21 anni, nel 1989, entra a far parte delle imprese degli Schiavone.

Di lui parla anche un altro Nicola Schiavone, cioè il figlio di Francesco, che lo identifica quale persona di riferimento. Se fino ad ora la sua figura non è stata evidenziata, è perchè il meccanismo principale che l’indagine e l’ordinanza mirano a smascherare è quello delle strutture aziendali, del passaggio di cariche dei patrimoni e dei prestanome.

Ma c’è anche un’altra area di contenuto: quella dei cantieri. E nei cantieri, il dominus Vincenzo Schiavone si fida quasi solamente di Luca Mario Fiocco. Vedremo se nel seguito incroceremo ancora questo personaggio di cui fino ad oggi non avevamo ancora scritto.

 

QUI SOTTO LO STRALCIO DELL’ORDINANZA