Il bullo “sbullizzato” De Luca, dopo averle buscate al Tar, va ad orecchie basse dal governo e chiede la chiusura delle scuole dal 9 al 22 dicembre

24 Novembre 2021 - 19:29

Il vicepresidente l’ha formalizzato oggi, durante la riunione della conferenza Stato-Regioni. Le veline di agenzie parlano di un mese, noi abbiamo titolato sull’intervallo che va dal 9 dicembre al 22, dato che dal 23 al 7 gennaio le scuole rimarranno chiuse a prescindere in tutta Italia

 

CASERTA (G.G.) – Vincenzo De luca, che farebbe bene, invece di continuare a far danni nel perimetro della grande questione Covid in Campania, a pensare alle gravissime vicende giudiziarie a pensare alle gravissime vicende giudiziarie che coinvolgono lui e la sua corte salernitana, ha spedito il suo fedelissimo Fulvio Bonavitacola, vicepresidente della giunta e in parte eminenza grigia, elemento compensatore dei furori pseudo-picareschi del governatore, alla riunione odierna della conferenza Stato-Regioni.

E figuriamoci se il guappo di via Santa Lucia poteva presenziare ad un evento in cui lui, che si considera l’uomo più intelligente del mondo, prendeva atto che con il governo Draghi la pacchia è finita e non può più assumere decisioni gravissime riguardanti soprattutto il mondo della scuola, smaccatamente esorbitanti dalle competenze in materia che la Costituzione italiana attribuisce in via esclusiva al governo nazionale.
E allora ha preferito che andasse Bonavitacola.
Così è accaduto e per la prima volta dopo quasi due anni leggiamo delle agenzie, le quali informano della sommessa richiesta, formulata dalla Regione Campania al governo nazionale, di valutare l’ipotesi di chiudere le scuole per un mese, a partire dal 9 dicembre, fino alla ripresa post-festiva.
Per carità, se ne può anche discutere perché questo rientra nel sentiero di quello che una Regione può fare quando affronta temi su cui non ha poteri e competenze esclusive, e a pensarci bene neppure complementari.
D’altronde, la perseveranza di un avvocato amministrativista casertano, cioè Luigi Adinolfi, che a suo tempo ha presentato un ricorso al Tar contro le chiusure delle scuole decretate monocraticamente da De Luca, che questo giornale ha sempre contestato in punto di diritto, ha avuto piena soddisfazione, nei giorni scorsi, quando i giudici amministrativi napoletani, che avevano respinto a suo tempo la sospensiva, non osando bloccare l’editto deluchiano, hanno sancito senza se e senza ma l’illegittimità di quella decisione, cioè della chiusura delle scuole con una sterminata adozione del sistema della didattica a distanza.
Certo, si tratta di una sentenza che arriva in ritardo, visto che non si può più rimediare a quegli atti patentemente illegali, noi usiamo questo aggettivo e non ci limitiamo all’illegittimità sancita dal Tar, firmati da De Luca.
Assodato questo, però, la sentenza e il suo portato giurisprudenziale restano.
Più di ogni nostro commento può, per spiegare bene su quali basi il Tar ha dato ragione all’avvocato Adinolfi, essere illuminante leggere il seguente stralcio della sentenza:

“(…)Gli atti impugnati, come già anticipato negli arresti cautelari, monocratico e collegiale, inter partes, sono illegittimi. A tale conclusione deve pervenirsi considerando sinteticamente, in accoglimento dei motivi sollevati, e ribadendo, con gli arresti cautelari inter partes, che la disposta sospensione delle attività didattiche in presenza per la Regione Campania, in via generalizzata, nei periodi considerati nelle ordinanze restrittive, non ha tenuto conto della regolamentazione per “fasce” di rischio contenuta nella normativa statale, che aveva già operato, ex ante, il bilanciamento tra diritto alla salute e diritto all’istruzione, nel senso di sacrificare il secondo al primo nei casi di maggior rischio (regioni “rosse”) e, in via progressivamente più restrittiva, in relazione all’aumentare dell’età dei discenti (dunque curando, ove possibile, il mantenimento della didattica in presenza per gli alunni più piccoli), e che avrebbe imposto, per la deroga, una motivazione stringente e rafforzata che avesse dato conto degli elementi di fatto, diversi o sopravvenuti rispetto a quelli considerati dal Governo nazionale, che, quali indici di aggravato rischio, giustificassero il regime più restrittivo, con adeguata ponderazione delle situazioni soggettive contrapposte e dunque della compressione dei diritti dei minori nelle more indotta.

Tutte considerazioni già poste a fondamento degli arresti cautelari e che devono, in questa sede, ribadirsi (…)”