Il sangue dei CASALESI e i nuovi uomini d’onore. La sorprendente tempra camorristica dei Moronese padre e figlio di S.MARIA C.V. Le parole importanti del pentito su Francesco Zagaria

30 Dicembre 2021 - 13:41

Abbiamo scelto oggi lo stralcio contenente u interrogatorio datato 2018 di Massimo Vitolo

 

SANTA MARIA CAPUA VETERE – (g.g.) Sono due i punti interessanti contenuti nello stralcio dell’ordinanza sul duplice omicidio di Sebastiano Caterino e Umberto De Falco che pubblichiamo oggi. si parla delle dichiarazioni rilasciate dal collaboratore Massimo Vitolo, parte attiva della preparazione anche della fase operativa dell’agguato avvenuto il 31 ottobre 2003. Prima di tutto è importante la data in cui Vitolo rilascia queste dichiarazioni: nel 2018

Febbraio 2018 significa circa un anno prima di quel 4 febbraio 2019 allorquando Francesco Zagaria fu arrestato nell’ambito dell’ormai famosa ordinanza che coinvolse anche l’ex sindaco di Capua Carmine Antropoli. In tutta onestà, se fino ad oggi abbiamo mosso più di una perplessità sul fatto che la storia giudiziaria di questo agguato che ha già scritto molte pagine in termine di sentenze definitive, non abbia mai annoverato il nome di Francesco Zagaria saltato fuori all’indomani del suo pentimento sulla confessione da lui resa di aver partecipato come specchiettista a quel duplice omicidio, dobbiamo oggi sottolineare che per la prima volta abbiamo incrociato un verbale di interrogatorio in cui il nome di Francesco Zagaria è stato fatto da un pentito cioè Massimo Vitolo, molto prima dell’arresto del febbraio 2019.

Per cui, noi abbiamo ora l’elemento concreto che ci consente di affermare che c’è stato qualcuno che di Francesco Zagaria ha parlato quando questi era ancora a piede libero. Fino ad oggi non lo avevamo ancora registrato. Oggi, con lo stesso atteggiamento che ci ha indotto a sviluppare e manifestare quelle nostre perplessità, andiamo a riconoscere un elemento che va a corroborare la formulazione delle nuove accuse relative a quell’episodio di sangue.

Il secondo elemento riguarda le caratteristiche della famiglia Moronese. Di questa, si sapeva che appartenesse all’area ausiliaria, subalterna, cadetta della criminalità organizzata. Agostino Moronese viene infatti arrestato nel 2017 perchè coltivava droga.

Di Alessandro Moronese, padre di Agostino, al contrario non troviamo traccia negli archivi, eppure è uomo talmente fidato, talmente a disposizione delle necessità più delicate del clan dei casalesi, non a caso garantito da un pezzo da 90 come Giuseppe Caterino Peppinotto, da assumere un ruolo fondamentale in quell’agguato, perchè dentro alla sua abitazione non ci sono solo le riunioni operative dell’organizzazione dell’omicidio, ma queste avvengono alla presenza dei capi a partire da quell’Antonio Iovine che nel 2003, aveva un rango pari a quello di Nicola Schiavone, di Nicola Panaro nel vertice del clan.

E Antonio Iovine era un super latitante. Se si recava con tranquillità a casa di Moronese, nel centro abitato di Santa Maria, vuol dire che Alessandro e il figlio Agostino erano a loro volta dei camorristi di serie A. E questo sorprende chi ha seguito le trame della criminalità organizzata in connessione a quella di Casal di Principe. l’atteggiamento di padre e figlio, così come è raccontato da Vitolo, non lascia adito a dubbi. Non è che i Moronese non avessero compreso il motivo per cui il capo dei capi del clan dei casalesi trascorressero ore nella sua casa. Conosceva bene dove abitasse Caterino, a pochi metri di distanza da lui. Ma non ha mai proferito parola. Mai una domanda solo tanta assistenza logistica.

I boss e i killer lasciavano le loro armi nel sedile posteriore della 166 in bella vita ma Vitolo non è in grado di stabilire se Alessandro Moronese le avesse viste o meno quelle armi, proprio perchè l’argomento delle motivazioni per cui tutto quello stava succedendo, veniva accuratamente evitato. In controluce, come racconta Antonio Iovine, c’era una sorta di idea ufficiale che i Moronese dovevano avere nelle loro teste e cioè che casa loro servisse a ricevere imprenditori della zona da sottoporre al ricatto estorsivo.

Ma non era così e i Moronese lo sapevano bene.