IN CARCERE PER DUE ANNI INGIUSTAMENTE. La storia del fioraio casertano condannato come narcotrafficante e poi assolto. Ha aperto una pizzeria.

27 Agosto 2022 - 17:03

SAN NICOLA LA STRADA (g.g) – Come è noto, il programma Quarta Repubblica, che tornerà in onda su Rete 4, dopodomani, Lunedì 29 Agosto, dopo la pausa estiva e con un paio di settimane di anticipo sui tempi canonici, per effetto delle elezioni politiche fissate per il 25 Settembre, ha chiuso il suo ciclo di trasmissione, riguardanti la stagione televisiva 2021/22 con un’altra storia di malagiustizia riguardante un casertano.

Nicola Porro è un giornalista molto attento a questa delicatissima tematica, a cui dedica uno spazio fisso ogni settimana o, al massimo, ogni due, nel corso di una trasmissione, costruita su più segmenti che va in onda dalle 21:30 scavalcando largamente la mezzanotte.

A Giugno scorso, ospite di Nicola Porro è stato il commerciante di Capua Mario Tirozzi, oggi titolare della pizzeria “Apprendista Pizzaiolo”, lungo il Viale Carlo III, nel comune di San Nicola la Strada.

Tirozzi ha raccontato la sua Odissea, la sua lunghissima detenzione cautelare, durata 790 giorni, in pratica due anni e due mesi suddivisi in ben 653 di cella, cioè di detenzione penitenziaria, ed altri 137 trascorsi agli arresti domiciliari.

Inutile dire che la sua vita è stata stravolta da questa esperienza. Mario Tirozzi ha raccontato dell’errore, compiuto dal suo primo avvocato, che ritenne di poterlo difendere anche all’interno di un rito abbreviato. In realtà, non era così, visto che l’imputato aveva bisogno di ricostruire i fatti contestatigli partendo da zero e, dunque, chiedendo la ricostituzione della prova durante il dibattimento. Cosa che avviene, solamente, nel caso in cui il processo viene celebrato con il rito ordinario. Nel caso dell’abbreviato riguardante Tirozzi, invece, il giudice tenne conto come elementi processuali di tutto ciò che era emerso nell’indagine dell’autorità inquirente, senza che questo potesse, con gli strumenti limitati offerti da un rito abbreviato, essere seriamente confutato dal Tirozzi.

Risultato: una pesantissima condanna a 7 anni di reclusione per traffico internazionale di stupefacenti. Un verdetto basato su alcune intercettazioni in cui si parlava di una trasmissione di danaro dall’Italia all’Olanda per l’acquisto di fiori e che, secondo l’accusa, era servita, invece, per finanziare un traffico di droga. Non avendo elementi a discarico concretamente costituibili dentro un dibattimento ordinario, il giudice condannò Tirozzi in quanto, sposando la tesi del PM, ritenne che l’imputato non potesse non sapere quale fosse la destinazione di quei soldi. In realtà Tirozzi aveva parlato solo con un paio di segretarie le quali, per altro, non furono nemmeno indagate dall’autorità giudiziaria.

Con un nuovo avvocato, è riuscito poi a dimostrare la sua innocenza in corte di appello, probabilmente grazie a una riapertura della fase dibattimentale, una cosa che le corti di appello fanno solo raramente. Assoluzione, divenuta, evidentemente, definitiva come si deduce dal fatto che Tirozzi ha avuto accesso ai soldi che lo Stato paga per gli errori compiuti dalla Magistratura e che determinano la cosiddetta “ingiusta detenzione”.

Tutta questa vicenda ha cancellato più di due anni di vita di un imprenditore che oggi non fa più il fioraio, ma ha aperto questo locale in cui ha anche trasfuso la sua esperienza, utilizzandola per costruire una sorta di motivazione all’acquisto e alla consumazione di una pizza : “Sono innocente, vorrei una pizza”.

Fin qui, in sintesi, la vicenda di Mario Tirozzi che ripropone, ancora una volta, il problema dei tempi, nella maggior parte dei casi, inaccettabili, della carcerazione preventiva, che oggi si chiama più carinamente “custodia cautelare”, ma sempre quella è. Uno Stato che non riesce a celebrare in tempi rapidi i suoi processi continua a vivere tra l’incudine e il martello. Tra l’incudine di una custodia cautelare che diventa follemente esecuzione della pena, e il martello di dover assistere, spesso, ad un destino di impunità da parte di indagati e imputati i quali, nel giusto rispetto del garantismo e dei principi di uno Stato di diritto non inquisitorio, non vedono il carcere e non subiscono un solo giorno di arresti domiciliari riuscendo, poi, a farla franca, grazie alla prescrizione o ai tempi tanto estesi di un processo che, magari, parte con un giudice, e arriva con un altro, e con una sentenza definitiva di cassazione datata anche cinque, sei o sette anni, in un contesto temporale che finisce per modificare l’angolo visuale e anche l’attenzione della Magistratura giudicante anche rispetto a fatti comunque avvenuti tanto tempo prima.

Mario Tirozzi si è lamentato dei giornali, dei titoli che gli hanno fatto quando è stato arrestato, e di quelli che non gli hanno fatto quando è stato assolto dalla Corte di Appello.

Gli diciamo: probabilmente Lei non conosce CasertaCe. Ma noi, con la cronaca giudiziaria e con l’analisi di ordinanze, informative e sentenze, ci sappiamo fare. Se Lei ritiene, ci può mandare le motivazioni del verdetto di primo grado e quelle per le quali le Corti di Appello di Napoli l’ha assolta. Per noi sarà un piacere dare il giusto spazio e la giusta visibilità all’epilogo della Sua storia.