LA CAMORRA DEI SUPERMERCATI. Quello strano incontro tra Ciccio ‘e Brezza e Filippo Capaldo al Crai di S.NICOLA. Il capuano “fa il massiccio”, ma i suoi racconti non ci convincono e spieghiamo il perchè

3 Febbraio 2021 - 14:13

Sarebbe andato lì in quanto chiamato da Filippo Capaldo. Chiese a Paolo Siciliano di prendersi la sua mozzarella e si stupì, nonostante fosse, come dice lui, un personaggio di spicco del gruppo di Michele Zagaria, del ruolo che lo stesso Capaldo, che tutti, fuori e dentro alla camorra, già conoscevano come erede designato, svolgeva in quel contesto

 

CASAPESENNA (Gianluigi Guarino) Da un pò di tempo noi di CasertaCe ci poniamo delle domande sulla veridicità, ben altra cosa rispetto alla loro verosimiglianza, delle dichiarazioni rese da un collaboratore di giustizia di nuovo conio, che di nome fa Francesco Zagaria ed è ancor più conosciuto con il suo soprannome di Ciccio ‘e Brezza, nel quale Brezza sta per la contrada molto estesa che inaugura la piana dei Mazzoni e suddivide i suoi territori tra il comune di Capua e quello di Santa Maria La Fossa.

Da 7, 8 anni scriviamo di camorra partendo sempre e comunque dalle ordinanze, dagli atti giudiziari. Per cui, se qualche colpo di megalomania se lo concede Ciccio ‘e Brezza, siate indulgenti anche con CasertaCe se ci rotoliamo un attimo nella medesima umana debolezza,  perchè nel caso nostro, questa provoca sicuramente un impatto meno importante e meno pericolose sulle vicende di cui Francesco Zagaria parla e che comportano conseguenze ben più insidiose per la vita e la libertà di diverse persone.

Perchè parliamo di megalomania? Già in altre tracce dei suoi interrogatori avevamo colto qualche passaggio auto celebrativo. Nell’ultimo atto giudiziario in ordine di tempo che stiamo sviscerando in questi giorni, cioè l’ordinanza che ha portato all’arresto tra gli altri di Filippo Capaldo, nipote di Michele Zagaria nonchè suo erede designato, e dell’imprenditore dei supermercati Paolo Siciliano, la sensazione, vissuta nella lettura di alcuni verbali di interrogatorio, è diventata, naturalmente nel perimetro del nostro punto di vista, un qualcosa di più.

Ma andiamo con ordine e leggete queste due frasi estrapolate dagli stralci che pubblichiamo nella loro versione integrale, in calce a questo articolo: “Non credo di essere un immodesto se ritengo che Filippo Capaldo non potesse disporre di me in qusta maniera, dati i miei trascorsi con il clan.” E ancora: “Filippo Caplado moi aveva fare una brutta figura nei confronti di……. e di Franco Sparago, emtrnabi legati a me, facendomi apparire come mero esecutore di suoi ordini”.

Allora, se le indicazioni cronologiche dell’ordinanza sono reali, questo avveniva tra l’anno 2014 e il 2015, tra la scarcerazione di Filippo Capaldo e il suo nuovo arresto avvenuto il primo ottobre 2015. Dentro a questo intervallo temporale, Francesco Zagaria, avvrebbe incontrato, all’interno degli uffici del Crai in via Ponteselice a Caserta, Filippo Capaldo. Un incontro, racconta Ciccio ‘e Brezza, avvenuto “dopo diversi anni“; un incontro fraterno, sancito da un abbraccio.

Francesco Zagaria, detto Ciccio ‘e Brezza, sostiene dunque che la sua posizione all’interno del clan, la stima, evidentemente criminale che Michele Zagaria nutriva nei suoi confronti, non giustificavano una sudditanza che Filippo Capaldo voleva imporgli quando gli avrebbe addirittura chiesto di sparare ad un figlio dei Bianco di Casal di Principe, famiglia storicamente legata al gruppo Schiavone, da Sandokan in poi, in quanto il figliolo dei Bianco avrebbe schiaffeggiato Francesco Mario Capaldo, fratello di Filippo. 

Una richiesta che, in considerazione della famiglia coinvolta offre una modalità caratteriale di Filippo Capaldo fino ad ora sconosciuta visto che un fatto del genere avrebbe potuto scatenare una vera e propria guerra. Rispetto a questo suo presunto proposito, il Capaldo avrebbe incontrato la disponibilità, meramente dialettica, di Francesco Zagaria. In realtà, questi non aveva intenzione di dar riscontro alla direttiva ricevuta, in quanto non gli andava di sparare ad un ragazzo per una questione del genere e comunque lui, come abbiamo scritto prima, si riteneva di un livello criminale tale per legittimazione di Michele Zagaria, da non doversi mettere sotto a Filippo Capaldo come mero esecutore di ordini.

Questa istanza, Filippo Capaldo l’avrebbe trasmessa a Ciccio ‘e Brezza nel periodo che va dalla carcerazione del 2014 all’arresto avvenuto, non molto tempo dopo, precisamente il primo ottobre 2015, quando in carcere finirono anche l’architetto Carmine Nocera e Gesualda Zagaria, sorella nubile di Michele.

Siamo d’accordo su questo? Bene, proseguiamo. Quando arriva al Crai, in un’epoca precedente, come si vedrà, alla richiesta di sparare a un esponente della famiglia Bianco, Francesco Zagaria si reca sul posto perchè il Capaldo glielo aveva mandato a dire da un imprenditore di San Prisco che equivale a quei punti sospensivi che abbiamo trascritto nella dichiarazioni pubblicate sopra, grande amico di Ciccio ‘e Brezza. Insomma, Filippo Capaldo aveva assunto l’iniziativa di chiedere l’incontro.

Francesco Zagaria non chiarisce se i fatti che successivi gli avevano determinato o meno la convinzione che questa istanza di incontro da parte di Filippo fosse o meno legata ad un desiderio, già espresso da Ciccio ‘e Brezza personalmente a Paolo Siciliano, di vendere la mozzarella prodotta nel suo caseificio Agatè nei supermercati marchio Crai o comunque ascrivibili a Paolo Siciliano.

Quando arriva sul posto, Ciccio ‘e Brezza parla della mozzarella proprio a Paolo Siciliano, il quale gli dice di rivolgersi a Filippo, che si trovava lì in uno degli uffici del supermercato. Francesco Zagaria racconta di essere entrato insieme al suo collaboratore Mimmo Farina a cui era intestato il caseificio Agatè, di aver poi, immediatamente abbracciato Filippo Capaldo e di essersi garantito una fornitura di mozzarella a prezzo maggiorato rispetto a quello praticato dal Crai. Circostanza poi verificatasi nei banconi di vendita del Crai di Capua. Un placet che Ciccio ‘e Brezza considera un’attenzione praticatagli dal Capaldo, in forza del legame che li univa.

Dunque, ricapitoliamo: Francesco Zagaria, a quanto lui dice, è un pezzo grosso della fazione di Capa storta, al punto da non considerarsi disponibile ad un rapporto verticale tra chi ordina e tra chi esegue, con Filippo Capaldo. Da pezzo grosso della fazione Zagaria, si reca nel Crai dove gli viene detto che la questione delle mozzarelle la deve trattare con Filippo Capaldo e non con Siciliano.

E ora, proponiamo un’altra frase che noi consideriamo cruciale, estrapolata dalle dichiarazioni di Ciccio ‘e Brezza: Poichè però parlavo con lui (con Filippo Capaldo), mentre pensavo di dovermi rivolgere a Paolo Sicilioano, gli chiesi comemai Paolo Sicilianoci avesse detto di dover parlare con Filippo Capaldo e quest’ultimo mi rispose dicendomi di essere, di fatto, il proprietario del Crai. (…) Seppi qunindi quel giorno che Dilippo Capaldo era diventato il prioprietaro del crai di san Nicola La Straada e che sil uso ruolo di apparante lavoratore era soltanto dfittizio.

riprendiamo il filo: un pezzo da 90 del clan dei casalesi, fazione Zagaria, arriva un giorno al Crai per piazzare la sua mozzarella e apprende, lo dichiara lui, che Filippo Capaldo comanda in quel supermercato, intestato a Paolo Siciliano. Ora, siccome Ciccio ‘e Brezza è la più grande svista che gli inquirenti e anche noi giornalisti abbiamo preso in tutta la storia delle indagini nei confronti del clan più temuto della Campania e non solo, visto che non avevamo capito di trovarci di fronte ad un vero boss, è mai possibile che un camorrista che si auto definisce potente, importante, ignorasse che Filippo Capaldo, sin dai tempi dell’inchiesta Cirio, Parlamalat, Euromilk, datata 2004, era dotato, non avendo Michele Zagaria figli, dei pieni poteri nella gestione di tutti gli affari che il gruppo dell’allora primula rossa realizzava nel settore alimentare, nel quale la famiglia Capaldo entrava, forte di un’esperienza di lavoro nella distribuzione delle bibite, così come racconta l’altro pentito Michele Barone?

Se uno è un pezzo grosso del gruppo Zagaria, non può chiedersi perchè Filippo stia seduto a quella scrivania, dato che si tratta del capo designato e dato che ogni propria valutazione sul non ritenersi in dovere di mettersi sotto la sua egida, appartiene ad una considerazione virtuale, collegabile ad una o a diverse botte di megalomania e non ad una reale, concreta, camorristicamente pragmatica considerazione delle cose.

Michele Barone parla dei rapporti tra Paolo Siciliano e Filippo Capaldo datandoli diversi anni prima, all’inizio del nuovo millennio, e rivelando che ad una riunione con Pasquale Zagaria, fratello di Michele e mente economica dell’organizzazione, erano arrivati insieme.

Che Paolo Siciliano avesse delle difficoltà economiche che il clan dei casalesi gli aveva risolto, diventando il padrone,  di fatto dei supermercati,  nella persona di Filippo Capaldo, lo sapevamo noi addetti ai lavori, tanti inquirenti che da anni lavoravano sulle attività di Paolo Siciliano, tutta Casapesenna e tutta Capodrise e Marcianise. L’unico che non lo sapeva era Francesco Zagaria, il quale, lo ripetiamo, lo dice lui, era un pezzo da 90 della fazione al punto che riceveva deleghe delicatissime come quella di partecipare agli omicidi di Raffaele Lubrano e Sebastiano Caterino.

Insomma, non sapeva chi fosse il capo del clan a cui apparteneva considerando Filippo Capaldo uno non in grado di dargli degli ordini.

Ecco perchè noi nutriamo dubbi e non ci convince il ragionamento che fa il gip intorno alla richiesta di una Dda che fa il suo lavoro di pubblica accusa. Non può rappresentare l’elemento determinante per asserire che Ciccio ‘e Brezza sia un pentito credibile, il riscontro dei fatti che lui racconta, realizzato dai Ros dei carabinieri. Il problema, infatti, non è costituito da una possibile erogazione di bugie, di balle e di situazioni inventate. No, Francesco Zagaria parla di vicende che effettivamente si sono verificate.

Ma da questo ad affermare che lui abbia svolto un ruolo fondamentale, frutto della sua posizione apicale nel clan, ce ne passa. Perchè quello che dice Ciccio ‘e Brezza può essere valutato e considerato in maniera molto seria come contributo alle indagini, ma non può essere dimenticato che in 20 anni di atti giudiziari, in centinaia di migliaia di pagine scritte dai pubbici ministeri, dai gip e dai tribunali e dalle corti della legittimità, frutto di decine e decine di inchieste e di processi passati in giudicato, non ci sia stato un solo pentito che l’abbia citato, a partire dagli omicidi di Lubrano e Caterino, letteralmente vivisezionati, sia nei documenti di indagine, sia, in maniera ancora più importante, in quelli di processi finiti, a partire dalle dinamiche e dal racconto degli aspetti militari dei medesimi.

Sono le domande che sarebbe utile che un tribunale si ponesse su Francesco Zagaria, fermo restando, ripetiamo, che la pubblica accusa si muove così perchè le dichiarazioni di Ciccio ‘e Brezza vengono considerate credibili un pò sulla parola ed incrociano convinzioni forti, che i pubblici ministeri hanno costruito su persone, fatti e situazioni.

Continueremo ad occuparci della questione che riteniamo molto delicata, ragionando un attimo su un’altra storia che il ras capuano racconta in relazione ad una disputa tra agenzie di pompe funebri. Anche in questo caso, si tratta di fatti realmente successi, mentre nella stessa ricostruzione dei Ros, emergono, a nostro avviso, dubbi sul ruolo che Ciccio ‘e Brezza ha svolto effettivamente per regolare, camorristicamente parlando, la vicenda.

 

QUI SOTTO LO STRALCIO DELL’ORDINANZA