La Domenica di don Franco: “La religione si rinnova quando il centro della religiosità non si pone nel tempio, nei preti e nei riti, ma nella misericordia…”

16 Agosto 2020 - 08:57

16 agosto 2020 – XX domenica del Tempo ordinario

UNA MADRE, QUANDO PREGA, È ONNIPOTENTE!

gruppo biblico ebraico-cristiano השרשים הקדושים

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Prima lettura: Condurrò gli stranieri sul mio monte santo (Is 56,1). Seconda lettura: Sono irrevocabili i doni e la chiamata di Dio per Israele (Rm 11,13). Terza lettura: Donna, grande è la tua fede (Mt15,21).

Una madre, quando prega, è onnipotente!   Il Vangelo di questa domenica ha come personaggio centrale una madre, che con la forza dell’amore ottiene il trionfo delle ragioni del cuore. La donna è una cananea, secondo Matteo; Marco precisa che è “greca, di origine sirofenicia”. In ogni caso è una pagana, secondo gli ebrei. Questa madre ha una figlia molto malata; ha saputo che Gesù è nei paraggi, e va a trovarlo. Ma Gesù non le bada, anzi, mostra un certo fastidio; anche gli apostoli non ne possono più: “Esaudiscila, non vedi come ci grida dietro?”. Una seccatrice! Ma Gesù sembra irremovibile: “Sono stato mandato solo alle pecore perdute di Israele”. Gesù parla da ebreo, e considera gli ebrei come dei “figli”, e i pagani come dei “cani”, cioè infedeli. Gesù però attenua il tradizionale disprezzo verso gli infedeli chiamandoli non “cani” ma “cagnolini”, scoprendo così le sue carte. La donna se ne accorge. Anche se non aveva studiato i sofisti, Socrate, l’organon aristotelico, la donna sfrutta l’apertura della battuta stessa di Gesù: “Il

pane ai figli, sì, ma le briciole ai cagnolini!”. “Donna, la tua fede è grande. Tua figlia è guarita!”. Davvero quella madre dimostrò che se Dio è onnipotente, la preghiera può essere “onnipotentissima”!

Pregare significa morire e risorgere   Essere cristiani significa partecipare alla morte e risurrezione di Gesù; in ogni sacramento moriamo e risorgiamo. Facciamo un esempio: una mamma viene in Chiesa a pregare perché il suo bambino è malato, e sa che deve morire; viene in Chiesa a Dire a Gesù che il suo bambino non può, non deve morire, perché non glielo perdonerebbe mai. Se questa donna resta a pregare, si attaccherà a Colui che prega, e si distaccherà da ciò che domanda. Quando si alzerà, sarà stupita lei stessa delle parole che usciranno dalle sue labbra: “Signore, ve lo affido, ho più fiducia in voi che in me. Sapete meglio di me quello che è bene per mio figlio. Sta meglio tra le vostre mani”. Cosa è successo? E’ morta ed è risuscitata. Nella preghiera, quella vera, si partecipa alla morte e risurrezione di Gesù: si muore a ciò che preghiamo, e si risorge a Colui che preghiamo! Nel Vangelo, Gesù comincia sempre rifiutando le preghiere, fa morire! Gesù non dà mai meno e nulla che non sia degno di Dio. Ci esaudisce sempre, anche deludendoci! Anche la Madonna ebbe un rifiuto a Cana, anche le sorelle di Lazzaro ebbero un rifiuto a Betania, anche Cristo vide rifiutata la sua preghiera nel Getsemani, anche Paolo ebbe un rifiuto a essere liberato dalla spina nella carne. Noi, invece, usiamo sacramenti e preghiere come tranquillanti o come transazioni commerciali: un miracolo in cambio di un ex voto.

Con i santi è ancora più tragicomico: abbiamo tutta una lista di santi del “pronto-soccorso”. Abbiamo un preciso elenco di santi e di sante contro ogni genere di malattia e di pericolo: dal mal di gola agli oggetti perduti, dai problemi di cuore ai depositi di esplosivi, dalla paura degli esami alle questioni di cuore; anche per i casi impossibili abbiamo una santa taumaturga! Naturalmente paghiamo il disturbo, non vogliamo nulla gratis: “do ut des”. Dio dev’essere costernato da questa mentalità sacro-mercantile! Come dobbiamo pregare? Bastano poche parole, ma pregate a lungo. Maria, come un lungo rosario, “meditava” in cuor suo le parole ascoltate da Gesù. Gesù per una notte intera ha detto solo: “Padre, non la mia, ma la tua volontà sia fatta!”. A noi quanto tempo sarà necessario? Per morire e risuscitare, occorre tempo. Facciamo silenzio, deserto, vuoto, attorno e dentro noi. Lasciamoci lievitare come pane, morire dolcemente come seme nel terreno.

Gesù ci esaudisce sempre, anche deludendoci!   Quello che subito colpisce in questo brano di Vangelo è la insensibilità, il silenzio, il rifiuto, il disprezzo di Cristo nel colloquio con la donna di Canan. Eppure, dal Vangelo sappiamo che alla fine Gesù esaudisce la preghiera di quella madre. Cerchiamo allora di comprendere! Forse, se Gesù non la esaudisce subito è perché quella madre non è ancora salita abbastanza in alto. Gesù conosce quella donna meglio di tutti, meglio di lei stessa. Sa a quale altezza di fede può arrivare, se la si aiuta. Accontentare in ritardo è un male, esaudire prima è ancor peggio. Quella madre chiedeva solo un favore, per poi tornarsene a casa tranquilla, un miracolo e poi fuggire lontano da Dio. Gesù, invece, voleva che la donna cananea si distaccasse da quello che domandava, per attaccarsi a Colui che pregava. Perciò occorreva del tempo, doveva farla maturare ancora. Ecco perché Gesù dice quella frase così dura: “Non è bene prendere il pane dei figli per gettarlo ai cagnolini”. Poiché quella donna era umile, ha percepito, al di là delle parole, l’intenzione di Gesù: non si trattava di una risposta ma di una domanda, non di un rifiuto ma di una chiamata. “E’ vero, Signore, ma anche i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola del padrone”. Che affettuosa malizia in questa risposta, che afferra l’argomento di Gesù e lo rivolge a suo favore! Questa donna è viva, spirituale, inventiva. Hanno sorriso insieme, Gesù aveva scherzato con lei, sono diventati amici per sempre. Gesù poteva adesso, senza alcun pericolo, concederle quello che chiedeva. Tra amici, i doni non fanno alcun male, ma tra estranei creano obblighi. Gesù non temeva più di perderla, non rischiava più che ella se ne andasse lontana da Lui con il suo tesoro; il suo tesoro era ormai il ricordo di quelle parole, di quel dialogo con Gesù che si era chinato su di lei, l’aveva chiamata e attesa, finché zampillasse in lei quell’essere nuovo che essa stessa ignorava, e da cui tutti e due erano ora abbagliati: “Donna, davvero grande è la tua fede!”.

 Grande è la tua fede. Ti sia fatto come desideri!   E’ bene ricordare che Matteo ha scritto il suo Vangelo per una comunità cristiana di origine giudaica (i giudeo-cristiani), quindi in continua oscillazione tra il richiamo del passato (le tradizioni ebraiche, la legge mosaica, la circoncisione) e il messaggio universalistico di Gesù (“Predicate a tutte le creature”). Anche nel Vangelo di oggi questa oscillazione è ben visibile: da una parte, Gesù dice che il pane non va dato ai cagnolini; dall’altra, Gesù insegna che la salvezza viene solo dalla fede. Anche noi, corriamo lo stesso pericolo e soffriamo la stessa tensione. Noi siamo all’interno di un mondo chiuso, che ritiene di avere elaborato, per tutti i popoli, liturgie e dogmi perfetti, etiche e teologie ideali, che abbiamo imposto ad altri popoli, come condizioni di salvezza. Extra ecclesiam, nulla salus! Tante barriere sono il frutto della nostra “volontà di dominio”, non della “volontà di Dio”. Barriere di razza: la nostra religione è stata confusa con l’Europa, e la croce del Signore con la spada dei conquistadores. Barriere di cultura: abbiamo esportato e imposto la nostra cultura, profondamente estranea alla cultura indigena dei popoli lontani. Barriere di classe: gli sfruttati e gli emarginati hanno odiato la religione, che la vedevano come “instrumentum regni”, troppo legata alle ragion di stato e alle ragion di Chiesa. Anche tra noi, ci sono alcuni che, al pari dei giudeo-cristiani, considerano intoccabili tante tradizioni, e sentono dappertutto odore di eresie e di deviazione; se si va in fondo, essi difendono non la religione ma la propria sistemazione, non gli interessi di Dio ma il proprio benessere! Tra noi ci sono altri che guardano lontano, sono presi da rimorso per le sofferenze compiute contro i “cananei”, cioè contro quelli che sono oltre i confini della nostra Chiesa.

È chiaro, per quello che si racconta in questa narrazione, che Gesù aveva la convinzione che la sua missione era recuperare le “pecore perdute” di Israele. Gesù ha detto questo in un territorio pagano. Quindi, in quel momento Gesù aveva   l’idea   che   era   venuto   a   questo   mondo   per   restaurare   Israele,   per rinnovare la fede, la religiosità, la vita ed i costumi di quel popolo. E’ vero che, alla fine del vangelo, dopo la resurrezione il Risorto che ci presenta Matteo invia i suoi discepoli a “fare discepoli di tutti i popoli” (Mt 28,19). Ma questo risponde a idee molto successive all’anno 70, quando gli ebrei si vedevano dispersi per tutto l’Impero. La cosa più probabile è che la comunità di Matteo era una comunità di cristiani provenienti dal   giudaismo. Questo spiegherebbe   la presentazione da parte di Matteo di un Gesù limitato a rinnovare i figli di Israele. Ebbene, l’elemento notevole è che, per restaurare un popolo tanto profondamente religioso, Gesù non si è dedicato ad attività principalmente religiose. Gesù ha visto che la soluzione per quel popolo stava nel preoccuparsi degli infermi e degli affamati, di quelli che erano oppressi dal denaro e si lasciavano trascinare da desideri di potere. Gesù si è reso conto che la soluzione di una religione corrotta non sta nell’esigere il compimento delle norme religiose e nel rafforzare il potere dei sacerdoti. Gesù ha capito che quello di cui il popolo aveva bisogno era accogliere quelli che soffrono, dar vita a quelli che mancavano di dignità e di rispetto, accompagnare i deboli, umanizzare la convivenza di tutti con tutti, senza respingere gli stranieri, come ha fatto con la donna di questo racconto. Le religioni non si rinnovano con più esigenze religiose, ma con più umanità, più rispetto, più tolleranza, più bontà con tutti. Se non c’è questo, la religione esuberante e pomposa serve solo perché abbiano successo i capi religiosi. Questo è tutto. L’aspetto importante e decisivo non è rinnovare il “fatto religioso”, ma spostare il “fatto religioso”. La religione si rinnova quando il centro della religiosità non si pone nel tempio, nei preti e nei riti, ma nella misericordia, nella bontà e nella solidarietà con le persone che soffrono e si   vedono emarginate ed escluse. I riti non cambiano le persone. La bontà le cambia, è l’unica cosa che le cambia veramente. Buona Vita!