La Domenica di Don Franco: “L’uomo oggi si presenta carico di luci e di ombre, di elementi esaltanti ed opprimenti”

17 Gennaio 2021 - 09:25

17 gennaio 2021 / II Domenica del T.O. (B)

Maestro, dove abiti? Venite e vedrete!

Prima lettura: Parla, Signore, il tuo servo ti ascolta (1Sam 3,3). Seconda lettura: I vostri corpi sono membra di Cristo (1Cor 6,13). Terza lettura: Che cercate? Venite e vedrete (Gv 1,35). 

Prima lettura   Samuele, grande figura dell’Antico Testamento, visse in un tempo di grandi sconvolgimenti politici e religiosi (sec. XII). Da oltre un secolo i filistei, giunti dalle isole dell’Egeo, si erano installati lungo la costa, lungo le fertili pianure di Kenaan, e avevano costretto gli ebrei a ritirarsi verso l’interno, dove la terra è arida. Difficile ricacciare i filistei, perché “ogni tribù ebraica faceva quel che gli pareva meglio” (Gdc 21,25). Fu in questo periodo di confusione che Samuele fu chiamato da Dio a guidare il popolo. Il brano di oggi lo presenta mentre ancora è adolescente, tranquillo, a Silo, nel tempio del Signore. Alcune notazioni:

Una notte fu chiamato: non stava sognando né pregando, ma dormiva. Dopo la quarta chiamata, Samuele si rivolse al sacerdote Eli, che gli indicò l’atteggiamento giusto: “Parla, Signore, il tuo servo ti ascolta!” (1Sam 3,10). Sarebbe

un errore prendere tutto il racconto alla lettera. La frase Dio parlò a … ricorre spesso nella Bibbia e non va presa alla lettera. Dio chiama nel silenzio della coscienza, nelle mediazioni, nella quotidianità della vita. La vocazione di Samuele non fu diversa dalla nostra.

Samuele fino allora non aveva ancora conosciuto il Signore (1Sam 3,7). È strano: questo ragazzo, che aveva trascorso parecchi anni nel tempio di Silo, non conosceva ancora il Signore! Questo giovane “seminarista” viveva sempre nel tempio, eppure non conosceva Dio! Teniamo presente che nella Bibbia conoscere-ידע significa esperienza intima, abbandono convinto … Capita anche a noi di vivere una vita intera in chiesa e non fare mai esperienza di abbandono a Dio. Anche gli abitanti di Nazaret, i familiari di Gesù, non hanno conosciuto Gesù. Si può essere persone religiose e non conoscere Gesù! (Lc 4,22).

Samuele dormiva. Questa voce si fa udire di notte, quando tutto tace. Non è facile riconoscere la voce di Dio: furono necessarie ben quattro chiamate prima che Samuele si rendesse conto che Dio lo chiamava.

Il Signore chiamò: “Samuele!”. Dio chiama per nome. La vocazione per i semiti era contenuta nel nome, perché il nome definiva la persona, la sua missione. A Giuseppe l’angelo disse: “Maria partorirà un figlio e lo chiamerai Gesù (=salvezza), perché egli salverà il suo popolo (Mt 1,21).

 Le scene di chiamata nella Scrittura sono tra le pagine più vive e impressionanti: esse rivelano Dio nella sua maestà e l’uomo nelle sue possibilità di ascolto o di rifiuto. Attraverso le vie misteriose degli eventi umani, Dio chiama l’uomo all’esistenza e gli assegna una missione. Scoprire la propria vocazione significa scoprire quello che Dio vuole da noi, perché l’iniziativa è sempre di Dio: “Parla, il tuo servo ti ascolta!” (I lettura). Nel vangelo abbiamo due quadri paralleli: nel primo riquadro, tre personaggi, il Battista, Giovanni, Andrea; nel secondo riquadro, ancora tre personaggi, Andrea, Pietro, Gesù. In entrambi, un elemento comune, la mediazione: c’è una buona parola, un invito, un amico … che conducono a Gesù, come è anche espresso dai verbi cercare-trovare, seguire-fermarsi. E il volto di Gesù lentamente si svela: Agnello di Dio … Maestro … Messia … Figlio di Dio. Gli uomini possono condurre, ma poi è sempre Dio che decide; questa verità è espressa da due simboli:

lo sguardo: l’evangelista Giovanni è attento all’uso dei verbi; in questo brano usa ἐμβλέψας = fissare attentamente, oltre l’epidermide, nel cuore;

il nome nuovo: “Ti chiamerai Pietro!”, come dire: “Sei un uomo nuovo”, con una vocazione e missione diversa. Sempre pescatore, ma di uomini!

Lui deve crescere, io diminuire  Gesù stranamente recluta i primi seguaci nella cerchia di Giovanni. Ma Giovanni non si offende che Gesù raccolga in un campo dove non ha seminato. Un vero credente conosce bene il proprio ruolo strumentale e non finale; deve entrare in scena senza paura al momento giusto, e deve uscire di scena anche al momento giusto, con semplicità, perché “siamo servi”, strumenti nelle mani di Dio. Essere chiamati a lavorare nel suo regno è già un onore per l’uomo. Di questo vangelo, cerchiamo di mettere in evidenza alcune frasi importanti:

▪ “Io non sono il Cristo, è lui che dovete seguire!”. Parole decisive. Il compito di Giovanni è quello di distrarre l’attenzione dalla sua persona e di polarizzarla su Gesù, che si presenta molto discreto e anonimo. Giovanni perde due discepoli, che lo piantano in asso, e seguono il nuovo Maestro. Erano scesi dalla Galilea per imparare qualcosa alla scuola di quell’austero Giovanni, e finiscono per incontrare Gesù. Quelli che vengono nei diversi gruppi, nella giornata di studio, nei ritiri di preghiera … dovrebbero avere, anche loro, la felice sorpresa di incontrare Gesù! Venire per ascoltare il celebre conferenziere e finire per ascoltare il Maestro interiore, Gesù. Così dovrebbe accadere! Pericoloso quel prete che non conduce i fedeli a Gesù! Pericolosi anche quei fedeli che sono attaccati più al prete che a Gesù! Se avete la fede a causa di un prete simpatico, inevitabilmente la perderete a causa di un altro … ed è giusto, perché è una cattiva fede.

▪ “Maestro, dove abiti?”. E’ l’interrogativo di sempre. La Bibbia ci descrive una lunga galleria di ricercatori di Dio: Abramo, Mosè, i Magi, i Discepoli … Anche gli adoratori di idoli vuoti, in qualche modo, esprimono questa ricerca. Sino al secolo scorso, questa domanda aveva due risposte facili e opposte: a) Dio non abita in nessun luogo, non esiste un “dove” di Dio, perché dovunque l’uomo spingesse il suo sguardo, incontrava sempre in qualche modo l’opera delle sue mani; così certi scettici astronauti potevano ridiscendere dallo spazio affermando presuntuosamente di “non avere incontrato Dio”; b) ma vi erano anche alcuni che, con altrettanta presunzione, proclamavano che Dio abitava nella loro chiesa, chiuso nel loro sacro recinto, custode di tutta intera la verità, quasi che “fuori” non potesse esservi salvezza, verità, Dio.

L’homme passe l’homme!   L’uomo oggi si presenta carico di luci e di ombre, di elementi esaltanti ed opprimenti. “Grande mistero è l’uomo!” già aveva esclamato Agostino, profondo conoscitore dell’animo umano. Se questo è l’uomo, mutevole e pragmatico, areligioso e disorientato, libero e schiavo, cosa fare per liberarlo dalla “giara” di pirandelliana memoria? Come farlo uscire dalla rete, che trattiene il suo slancio trascendente? Per rispondere a questi interrogativi, vorrei partire da quell’esperien­za personale e universale che si chiama “autotrascendenza”. L’autotrascendenza è una tensione-insoddisfazione, per cui l’uomo oltrepassa sistematicamente se stesso: “l’homme passe l’homme!”. Se, per esempio. esaminiamo l’attività conoscitiva dell’uomo, vediamo che la sua sete di cercare, di sapere, è inesauribile; la verità raggiunta diventa ipotesi per ulteriori certezze, che risultano sempre “penultime” rispetto a Dio, punto omega dell’individuo e della storia. Lo stesso nell’attività volitiva: non siamo mai soddisfatti di quanto abbiamo compiuto o conquistato. Persino sul nostro corpo umano sono impressi i segni dell’autotra­scendenza: il corpo è “fenomeno” ossia manifestazione di qualcosa che lo supera; il corpo, ad un tempo, vela e rivela l’anima: sul corpo stesso leggiamo la bontà, la pigrizia, la lussuria di un uomo. Il corpo è pieno di coscienza, aperto all’Infinito, teso verso la felicità senza ombre; il corpo trascende la sua corporeità e diviene epifania dello spirito. Ogni uomo scopre che entro il suo orizzonte esiste una regione per il divino, un santuario per una santità ulteriore. Nell’uomo vi è un posto per Dio, nel suo peccato vi è uno spazio per la grazia, nella sua mortalità mette radici il seme dell’immortalità, nel suo finito è contenuto l’Infinito. Questo non può essere ignorato; l’ateo lo potrà dichiarare vuoto, lo gnostico potrà insistere che la sua ricerca non è approdata a nessuna verità; tuttavia queste negazioni presuppongono la scintilla dentro la nostra argilla, il nostro orientamento innato verso Dio. Coscienti o no, siamo “from God to God”. Ritorna sempre attuale la constatazione di Agostino: “Fecisti nos ad Te, Domine, et inquietum est cor nostrum donec requiescat in Te!”.

La fede: un “processo faticoso” non un “tranquillante prodotto”   Significativo è l’episodio del vangelo di questa domenica: alle quattro del pomerig­gio alcuni uomini incontrano Gesù, e stanno con lui per tutto il pomeriggio. L’Eterno appare interno alla nostra cronaca, al tempo del nostro orologio, alle nostre occupazioni quotidiane. Come dire: il regno si costruisce all’interno del rapporti umani; il suo vero luogo teologico è il vivere normale. Se voi provate a rifare la storia della vostra fede, dovrete distinguere due periodi:

▪ quello passivo, in cui avete vissuto la fede come in una specie di utero religioso, che è poi l’ambiente familiare e sociale;

▪ quello attivo, in cui un incontro, una parola, un evento hanno dischiu­so la vostra più intima personalità, provocando un libero assenso.

Qualche volta avrete incontrato qualcuno pieno di fede, forse non parlava in modo affascinante, forse non aveva grande cultura, eppure la sua certezza e la sua fede hanno acceso la vostra certezza e la vostra fede, in una specie di propagazione inafferrabile ad ogni indagine socio-psicologica. A questo punto perdono valore gli “specialisti” dell’annuncio della Parola. Molti pensano che annunciare la fede sia mestiere da preti. Certo, se si tratta di spiegare una dottrina, allora occorrono gli specialisti. Ma se la fede ritrova l’agilità, la mobilità, la vitalità, allora è competente a insegnare solo chi vive la fede. Ci saranno i ricercatori della filologia della Parola di Dio, ma avranno sempre meno senso. Ci vorranno sempre i garanti della fedeltà nella chiesa, ma essi dovranno garantire la fedeltà alla Parola, più che la fedeltà ad una dottrina. Buona vita!

A cura del Gruppo biblico השּׁרשים הקּדשים Le Sante Radici

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