LA NOTA. L’implacabile declino di Michele Zagaria, l’Archimede del clan dei Casalesi. Ma se mostra di volersi impiccare con l’accappatoio…

28 Ottobre 2018 - 12:17

CASAPESENNA (G.G.) – L’anno 2018 è stato decisamente complicato per Michele Zagaria.

L’impressione che ha dato l’ex Primula Rossa del clan dei Casalesi è quella di un uomo che difficilmente riuscirà a rassegnarsi vivendo pacificamente il proprio destino da “fine pena mai”, così come hanno fatto e stanno facendo gli altri grandi boss del clan Francesco Sandokan Schiavone e Francesco Cicciotto Bidognetti.

Michele Zagaria è un uomo intelligente e dunque, se fosse totalmente lucido, legando ad un piano premeditato la serie di atti e di intemperanze fatte negli ultimi 10 mesi, capirebbe che questi gesti non porteranno ad un miglioramento della sua condizione carceraria e neppure a raggiungere la chimera di una semilibertà.

Uno Zagaria nelle sue piene facoltà saprebbe bene che l’unico modo per alleviare i rigori di carcerato al 41 bis è quello di diventare un collaboratore di giustizia.

Per cui, quando nel gennaio scorso ha mimato il segno dell’auto-impiccagione mostrandolo in videoconferenza durante un processo in corso al Tribunale di Napoli, quando un mese dopo ha tentato o ha finto di tentare il suicidio utilizzando come improbabile strumento di soffocamento il suo accappatoio, quando ha aggredito lo psichiatra che lo visitava, quando ha rotto il vetro di una finestra aggredendo un dipendente del carcere, lui non era più la stessa persona fredda, geometricamente razionale che per 15 anni ha impartito ordini, “fatturato” prima miliardi di lire, poi milioni di euro, riuscendo a conciliare l’attività di capitano dell’imprenditoria camorristica con le necessità di uno zingaro della latitanza.

Insomma, è difficile, come qualcuno ancora prova a fare, prevedere il futuro di Michele Zagaria utilizzando la categoria della sua biografia criminale di uomo che nei momenti importanti non ha mai sotteso la riflessione all’emotività.

Lo Zagaria di oggi è uno che non regge il carcere. Tutto qui.

Quegli atti inconsulti non sono frutto di una strategia, ma si rappresentano come la quotidiana guerra impossibile per rompere nella propria testa un muro inviolabile.

E uno che si comporta così ha perso decisamente la capacità di leggere la realtà del momento per programmarne una migliore.

Probabilmente, Zagaria ha realizzato di essere una persona senza un futuro e di fronte all’unico pertugio seppur strettissimo percorribile, quello del pentimento, si agita convulsamente, come chi davanti a sé non vede più alcuna opzione e si rende conto che la propria intelligenza, le forme di ragionamento che lo hanno reso vincitore nell’arena della criminalità, nelle quattro mura del carcere non servono a nulla.