LA NOTA. Pur di mettere una foto su Facebook nel reparto della piccola Ilaria, manco la mascherina è riuscito a mettere

18 Febbraio 2020 - 21:09

MARCIANISE – Antonello Velardi, pur accusando significativi deficit culturali, non è tanto stupido da non capire che l’esposizione del dolore, di una vicenda umana che dovrebbe essere intimissima, appartiene a quegli atteggiamenti da sempre presenti all’interno delle strutture sociali, oggi cresciuti esponenzialmente con l’avvento dei social.

Lo sa bene e sa bene che il compito di chi si ritiene classe dirigente, avanguardia, ma anche “medio-guardia” e retroguardia culturale, sarebbe quello di moderare, di mediare le emozioni epidermiche che i furboni che ci fanno i soldi, stile De Filippi/D’Urso, definiscono come autentiche.

Cavolo, non è preparato, in un’Italia in cui, per dirla alla Chezzo Zalone, “studiare non conta un cazzo”, ma non è neppure tonto.
Tutt’altro.

Sa bene che partire di notte da Napoli o da casa sua per accorrere in un ospedale dove finalmente è arrivato il cuore nuovo per una ragazzina di Marcianise, che merita di vivere e non solo di sopravvivere, è buono e bello se l’azione si sviluppa con riservatezza e senza clamore mediatico.
Sa bene che questo è l’unico modo per dimostrare l’adesione a un sentimento intimo, la solidarietà silenziosa, presente ma non invadente rispetto ad una famiglia che vede finalmente un raggio di sole attraversare le feritoie delle finestre chiuse che serbano un grande dolore.

La riservatezza, soprattutto quando in ballo c’è un uomo pubblico, è dunque l’unica garanzia, l’unico marchio Doc, sull’autenticità del sentimento.
È un argomento che abbiamo affrontato già altre volte. In questa circostanza abbiamo voluto, però, delimitare il perimetro della cognizione e soprattutto della consapevolezza di Velardi rispetto a ciò che sta facendo anche in questa circostanza rispetto a una vicenda dolorosa.
Immancabile, infatti, è stato il post con il quale l’ex sindaco ha raccontato per filo e per segno la notte trascorsa al capezzale di Ilaria, giocando a carte con lei, quasi a voler dimostrare l’importanza salvifica e decisiva di questa sua diretta partecipazione alle fasi pre-operatorie.
Attenzione, concentratevi: il problema non è che Velardi l’abbia fatto, cioè che sia partito per raggiungere l’ospedale Monaldi; il problema non è rappresentato dall’aver portato un eventuale conforto alla ragazzina e alla sua famiglia.
Il problema è che abbia fatto di questa sua presenza l’ennesimo show mediatico, togliendo, dunque, autenticità a una pulsione sentimentale, che se è genuina, non ti permette neppure di pensarci a raccontare te stesso ancor più della persona sofferente, che diventa quasi un comprimario nella vicenda.
Qual è la differenza con gli articoli scritti in passato.
Con la tesi del super ego, tendevamo in qualche modo a deresponsabilizzare Velardi, fornendo alle situazioni un elemento che in qualche modo richiamava piccole patologie psicologiche e dunque una pur parzialissima incapacità di intendere e di volere. Stavolta, invece, siamo partiti dalle consapevolezze che il Velardi uomo, il Velardi giornalista, il Velardi ex sindaco, ha sulla scala dei valori e sulle insidie che il melodramma popolare esprime oggi nell’epoca dell’amplificazione dei pensieri e delle immagini nel teatro globale del web può produrre.

Insomma, non c’è neppure l’attenuante generica del super ego.
Era così concentrato a realizzarsi come protagonista di questa vicenda intima, riservata, da non essersi neppure impegnato a indossare correttamente la mascherina di ordinanza, come dimostra la buffa foto da lui stesso postata.

Abbiamo detto la nostra con il vantaggio, per la nostra salute, di non attenderci niente di che nella comprensione e nella trasformazione di questi concetti in carne buona da dibattito. Proprio perché, infatti, il popolo è sempre più bue, uno come Velardi, con piena consapevolezza, ritiene, con giusta ma desolante ragione, che operazioni come queste premino e non danneggino, come sarebbe giusto, chi le attua.