La rivelazione del pentito: “Volevamo ammazzare un personaggio importante”. L’omissis, Balivo e la guerra strisciante tra Schiavone e Zagaria

6 Novembre 2019 - 13:06

AVERSA/TRENTOLA DUCENTA – Sapete perchè Salvatore Orabona, ad avviso di chi, come noi, ha toccato ultimamente la cifra di 70mila pagine di ordinanze, sentenze, misure di prevenzione relative al clan dei casalesi, è uno dei collaboratori di giustizia più utili alla ricostruzione reale dei fatti, così come questi si sono sviluppati negli anni dentro ed attorno al citato clan dei casalesi? Perchè al di la di una filologia di qualità, legata alla chiarezza della sua esposizione, alla precisione dei dettagli, ci sono delle cose che, per noi che abbiamo letto tantissimo, rappresentano una sorta di riscontro cardinale, una sorta di prova regina di quello che abbiamo appreso da tanti altri studi e analisi.

Esiste una lunga teoria di fatti che abbiamo appreso a partire dall’ordinanza Jambo in poi. Perchè nell’ordinanza Jambo, si cominciano ad intuire i motivi per cui Nicola Schiavone cominciò a mal sopportare Michele Zagaria, aprendo con lui una sorta di contenzioso criminale che solo perchè esistevano ed erano indiscutibili, le regole scolpite nella pietra di fondazione del clan da Francesco Schiavone Sandokan, non sfociò in fatti di violenza.

Zagaria ha avuto una visione iper-imprenditoriale della camorra. Ad un certo punto, si è mosso con modalità diverse da quelle storiche attuate dal clan. Lo schema è diventato più sfumato, le estorsioni agli imprenditori sono divenute qualcosa di meno leggibile da parte di Nicola Schiavone e degli altri boss, perchè questi ultimi non riuscivano a stabilire ad un certo punto dove iniziava il rapporto di sottomissione da cui scaturivano le estorsioni e dove finivano le relazioni di tipo imprenditoriale che facevano assurgere, come abbiamo letto e scritto più volte negli ultimi giorni, commentando la sentenza di confisca dei beni di Luigi Cassandra,

soci conclamati al punto che i fedelissimi di Zagaria, cioè i Garofalo, i Massimiliano Caterino, che si recavano nelle cucine del Night & Day, per prendere in consegna le buste gonfie di danaro che Cassandra mandava a Casapesenna, erano perfettamente consapevoli, perchè lo dicono, del fatto che quella consegna non rappresentava il pagamento di una tangente estorsiva, ma semplicemente una forma, seppur rudimentale, diciamo molto pragmatica, di ripartizione degli utili societari.

Diciamocela tutta: Michele Zagaria faceva tanti soldi, forse troppi e si muoveva in grande autonomia. Questo cominciò a disturbare Nicola Schiavone e la bibliografia delle ordinanze, dense di dichiarazioni dei pentiti, a partire da quelle rese dallo stesso Schiavone junior, descrive anche i momenti ad alto rischio allorquando il giovane Nicola Schiavone ha raccontato di essere stato tentato dallo scatenare una vera e propria guerra che poi, per i motivi appena menzionati, non si è mai verificata.

E torniamo ad Orabona. Questo esponente del clan dei casalesi si era formato nel “vivaio” trentolese attorno al primo boss pentito del clan cioè Dario De Simone e a Francesco Biondino. Questo gli aveva dato anche la capacità di maneggiare bene il territorio. Negli ultimi anni, prima di essere catturato aveva puntato tutto su due persone, fornendo loro la responsabilità delle azioni militari: Pietro Falcone e Gaetano De Biase.

Sabato scorso (CLICCA QUI PER LEGGERE L’ARTICOLO) di Falcone e De Biase abbiamo scritto molto, commentando un lungo interrogatorio a cui si è sottoposto a suo tempo Andrea Pezone, titolare del bar “La Fonte del Dolce” di Aversa. Facevano il lavoro sporco. Furono loro infatti a sparare 9 colpi di pistola facendo circa 10mila euro di danni, contro le serrande del citato bar pasticceria, in un attentato intimidatorio mai denunciato per paura, da Pezone e di cui quest’ultimo ha raccontato solo nel summenzionato interrogatorio.

Falcone e De Biase erano gli esattori ufficiali di Salvatore Orabona e attraverso questi di Nicola Schiavone. Si muovevano tra Aversa e quell’autentica mattone-city che è stata e forse è ancora Trentola Ducenta. Quando andavano però nei cantieri trentolesi, incrociavano anche qualche rifiuto. O meglio, molti imprenditori pagarono per un breve lasso di tempo, ma dopo 6 o 7 mesi non vollero versare più un solo euro a Falcone e a De Biase, cioè agli esattori di Salvatore Orabona e Nicola Schiavone.

Ed è proprio Orabona a spiegare bene come andarono le cose. Fu Gaetano Balivo, non un pinco pallino qualsiasi, a dire ai suoi colleghi imprenditori di non pagare più a Falcone e De Biase. Che poi significava non pagare a Salvatore Orabona e Nicola Schiavone.

Gaetano Balivo parlava in nome e per conto di Michele Zagaria. Per cui, Salvatore Orabona dovette prendere atto di questa situazione. In un primo tempo, però, il codice tipico di comportamento del clan lo portò, non sappiamo se avendo parlato o meno con Nicola Schiavone, ha progettato, in conseguenza di ciò, l’omicidio di un signor omissis.

Eh sì, perchè le ordinanze sul più bello, per motivi giustamente prevalenti di indagine ti negano il finale, la notizia più importante. Chi era la persona che Salvatore Orabona aveva deciso di far uccidere per il problema degli imprenditori di Aversa e di Trentola che si erano ammutinati a lui e a Nicola Schiavone in quanto istruiti da Gaetano Balivo, in questo caso in nome e per conto di Michele Zagaria?

Questo omicidio non venne fatto. E a pensarci bene, ciò è sovrapponibile esattamente alla guerra che Nicola Schiavone aveva in testa di scatenare e che poi per il famoso codice inviolabile di Francesco Schiavone, non scatenò.

 

QUI SOTTO LO STRALCIO DELL’ORDINANZA