La rivelazione: il CLAN DEI CASALESI entrò ed uscì dal TOTO NERO. Lo faceva “il vigile” Giuseppe Iovine, lo racconta ora suo fratello pentito

2 Gennaio 2020 - 12:04

SAN CIPRIANO D’AVERSA – Di Giuseppe Iovine, fratello di Antonio Iovine o’ninno, tanto si è scritto. In un’epoca in cui il clan dei casalesi era tutto a San Cipriano e nei comuni vicini, nell’epoca in cui la funzione pubblica, amministrativa cioè i comuni erano completamente al servizio dei boss, capitò anche che il fratello di uno dei capi del clan dei casalesi, diventasse vigile urbano.

Giuseppe Iovine, com’è noto, ma come se è ancora incredibile ricordare, indossò la divisa di un servitore dello stato mentre il fratello tramava omicidi e gestiva le attività criminali della camorra.

Poi Giuseppe Iovine assunse il ruolo di protagonista all’indomani dell’arresto del suo congiunto, avvenuto nel novembre 2010. Cercò di sostituirlo; organizzò una rete di estorsione, ma fu arrestato nel 2012. Insomma, personaggio arcinoto. Ma dai racconti di camorra, soprattutto quando questi sono fatti da pentiti di prima fascia, qual è stato e qual è ancora oggi, proprio Antonio Iovine, affiorano delle sorprese: Giuseppe Iovine, non sappiamo se quando ancora era vigile o meno, aveva costituito una attività criminale finalizzata a gestire nella città di Aversa e nell’agro aversano i proventi del toto nero, evidentemente ancora in voga nonostante l’avvento delle scommesse sportive legalizzate.

Toto nero è una parola che evoca grandi eventi della cronaca nazionale, a partire da quello del 1980 quando calciatori di grido, quali Bruno Giordano, Manfredonia ed altri, furono addirittura arrestati, da polizia e carabinieri che entrarono, in una famosa domenica pomeriggio, nell’area degli spogliatoi di molti stadi italiani per eseguire i provvedimenti firmati dai magistrati.

Una storia notissima, che condusse a una serie di squalifiche clamorose, tra cui quella a due anni di un forse non colpevole Paolo Rossi, il quale ritornò in campo due mesi prima di quei mondiali del 1982 che avrebbe contribuito a far vincere all’Italia con la storica sequenza di sole reti che gli garantirono il titolo di capocannoniere e, per quell’anno, anche il pallone d’oro.

Ecco perchè se leggiamo la parola toto nero in un’ordinanza, la cosa ci stimola. Si chiamava Ciro “Fellarust” ed era colui con il quale Giuseppe Iovine, stando al racconto di Antonio Iovine, si era associato per gestire il toto nero dal quartier generale localizzato nella città di Aversa.

Michele Zagaria fece finta di appoggiare l’iniziativa, imponendo però il versamento di una quota percentuale al clan. In realtà, fosse dipeso solo da lui, quel Ciro “Fellarust” lo aavrebbe ammazzato. Questo disse ad Antonio Iovine, al cui disse di parlare immediatamente col fratello Giuseppe affinchè si sfilasse da quell’affare. Questo avvenne. Antonio Iovine chiese a Michele Zagaria di garantire a suo fratello Giuseppe Iovine, una sorta di piccolo risarcimento. Il concetto di piccola cifra, ai tempi d’oro del clan dei casalesi, era molto relativo.

Michele Zagaria versò infatti, 100mila euro in più tranches a Giuseppe Iovine, il quale si tolse da quel giro.

 

QUI SOTTO LO STRALCIO DELL’ORDINANZA