LO STRAPOTERE DEL CLAN DEI CASALESI. Tutti ai piedi di Nicola Schiavone. Imprenditori che fatturavano centinaia di milioni di euro dipendevano da monaciello, l’unico in grado di aprire “certe porte”

14 Agosto 2022 - 14:11

Tre segmenti di analisi, il primo riguarda l’ulteriore prova che il direttore dei lavori di un intero lotto appaltato dall’azienda di stato fungeva in pratica da portaborse dell’ex pupillo di Francesco Schiavone Sandokan, la riunione (abortita) con l’impresa mandante, con la subappaltataria non ancora titolare di questo affidamento ma in grado di parlare senza alcun problema con il suo prossimo direttore dei lavori, la spa PSC, quella del presidente Pesce che ha rilasciato dichiarazioni sprezzanti nei confronti di Schiavone, in grado di parlare con chi comandava in Rfi, a partire dal trentolese D’Alessandro, solo per intercessione e alla presenza del casalese trapiantato da Napoli e Roma

 

CASAL DI PRINCIPE – (G.G.)  A dimostrazione di quale fosse lo strapotere esercitato da Nicola Schiavone che influiva in maniera determinante sulle decisioni di altissimi dirigenti di Rete ferroviaria italiana evidentemente finiti sul suo libro paga, c’è da registrare un ulteriore episodio che qualifica il ruolo di Giuseppe Russo. Beninteso, non si tratta di un dirigente apicale, di uno che abita le stanze dei bottoni della sede romana e del ministero delle infrastrutture, ma è pur sempre uno dei direttori dei lavori più attivi nei grandi appalti di Rfi.

E d’altronde, tutto è proporzionato: Nicola Schiavone doveva andare a Roma per parlare con i grossi calibri, tipo Paolo

Grassi, a Napoli, invece, comandava letteralmente lui e pensate un pò faceva partecipare Giuseppe Russo alle riunioni ristrette con le imprese protagoniste del subappalto relativo a tre cantieri del lotto 11.

Ma queste riunioni non si tenevano nell’ufficio istituzionale di Giuseppe Russo, ma dove quando e come decideva Nicola Schiavone, rispetto a cui il dirigente di Rfi diventava una sorta di cagnolino servizievole.

La riunione che doveva svolgersi a Napoli nel club Freccia, quindi all’interno della stazione, alla fine saltò ma tutte le intercettazioni raccontano di un’organizzazione curata solo ed esclusivamente da Nicola Schiavone per mettere intorno allo stesso tavolo, l’impresa mandante di questi contratti applicativi, cioè la Simec dei fratelli Avallone, la destinataria non ancora ufficiale del subappalto cioè CRPS di Gianfranco Poleggi, il proprio fedelissimo di azienda Luca Caporaso con funzioni di preparatore di documenti e, per l’appunto, clamorosamente, Giuseppe Russo che, da direttore dei lavori, avrebbe dovuto incontrare un’azienda, cioè la CRPS che formalmente non era ancora entrata in scena, visto che la documentazione prevista si andava redigendo con una certa fatica, con tanto di disappunto piccatissimo di Nicola Schiavone , il quale non vedeva l’ora di chiudere la partita di questo subappalto, per  ridefinire la tipologia delle sue relazioni, andando a discutere direttamente con il più grande ed organizzato gruppo PSC, mandatario per l’appalto del lotto 11 e in un primo momento emarginato, messo nell’angolo dallo stesso Schiavone affinchè non costituisse un ostacolo al suo disegno che poi era quello di attribuire i lavori in subappalto alla CRPS, in modo da guadagnarci lui.

Guadagnarci non poco, perchè nell’operazione Contursi, Picerno e Faragiano, e poi ancora Contursi con l’integrazione famosa, “prodigiosamente” ottenuta su questo contratto applicativo, da 400mila a circa 700mila euro, la bocca della verità è quello di Gianfranco Poleggi, ascoltato insieme al suo socio di  minoranza al 5% Germano Fontana in una conversazione considerata fondamentale, non per il rilievo dei personaggi ma per il linguaggio esplicito utilizzato.

Come potrete leggere in calce, Poleggi dice chiaro e tondo che a comandare tutto il sistema di quei contratti attuativi è solo e solamente Schiavone. Poi dice un’altra cosa: noi di CRPS che comunque non siamo aziende da poco, fatturando 30 milioni di euro all’anno, andremo a guadagnare da questa operazione 45mila euro.

In pratica, nulla. Ma noi, aggiunge in sostanza Poleggi, ci prestiamo in quanto, facendo questa cortesia a Nicola Schiavone, lui ci potrà ripagare essendo in grado di farci entrare nei giri degli appalti importanti di Rfi.

Più chiaro di così. Probabilmente sia Poleggi che Fontana saranno citati dalla pubblica accusa nel processo che si farà di qui a un pò di mesi, dato che occorrerà prima di tutto evadere il passaggio dell’udienza preliminare, con una procedura già attivata dal decreto di chiusura delle indagini preliminari, notificato a tutti i 66 indagati di questa inchiesta.

Si tratta probabilmente della intercettazione più esplicita, più chiara. E siccome Poleggi non era uno passato lì per caso, ma aveva stretto con Schiavone una relazione intima che lo portava ad essere custode i segreti inconfessabili, questo suo contributo, inconsapevomente fornito alle indagini, diventa cruciale nella definizione delle prospettive del processo che si andrà a svolgere a Napoli, per eventuali riti abbreviati, e molto probabilmente ad Aversa per i riti ordinari.

In conclusione, altro passaggio molto importante, è quello che si ricollega al proposito, da noi già enunciato, di Nicola Schiavone di liberarsi un pò dalle relazioni complicate, contrassegnate da molte difficoltà operative, con la Simec, società mandante e con CRTS subappaltataria per entrare in una condizione di autentica collaborazione diretta con la PSC spa.

Al riguardo noi siamo rimasti alle dichiarazioni un pò sprezzanti, rilasciate da Umberto Pesce, presidente del consiglio di amministrazione di questa società. Pesce ha detto in sostanza che ha incontrato solo in un paio di occasioni Schiavone, di essersi stupito che un uomo evidentemente incolto, ignorante, che parlava male, avesse raggiunto quel livello di espressione imprenditoriale.

In effetti, probabilmente Pesce ha anche ragione, ma lo stesso è reticente quando non dice che tutto il lavoro, tutta la tessitura del rapporto tra Schiavone e la PSC, l’aveva svolto un dirigente che evidentemente ne rispondeva a lui, presidente del Cda e dunque legale rappresentante e vertice societario.

Il nome è quello di Giovanni Genghi, responsabile della produzione di PSC che invece Nicola Schiavone l’ha incontrato molte volte e che la potenza di quest’ultimo l’ha pure sperimentata nel momento in cui, in pochi minuti, riusciva a organizzare a Genghi appuntamenti per i quali avrebbe dovuto fare altrimenti, giorni, settimane di anticamera.

Al riguardo, Genghi incontra Nicola D’Alessandro, uomo importante, ingegnere di punta del compartimento di Napoli di Rfi e punto di riferimento di Schiavone nella sua azione di stabile collegamento tra i vertici romani dell’azienda di stato e le strutture compartimentali.

D’Alessandro, va rimarcato ancora una volta, è di Trentola Ducenta. Per cui, come si suol dire, va un pò da sè…Insomma, Nicola Schiavone aveva, a differenza di quello che racconta Umberto Pesce, la possibilità di rapportarsi a PSC spa entrando dalla porta principale e non da quella di servizio, visto che grazie a lui, questa società era in grado di rapportarsi ai padroni del vapore, definizione mai come in questo caso appropriata, in grado di muovere centinaia e centinaia di milioni di euro in appalti.

 

QUI SOTTO LO STRALCIO DELL’ORDINANZA