L’Omelia di don Franco: “Questa è la domenica del grazie!”

13 Ottobre 2019 - 10:15

 

13 ottobre 2019    XXVIII Domenica del TO  (C)

LA FEDE È ANCHE SAPER DIRE: GRAZIE!

 gruppo biblico ebraico-cristiano השרשים  הקדושים

([email protected])

 

Prima lettura: Ora so che c’è un solo sulla terra, quello d’Israele (2Re 5,15)                                                     

Seconda lettura:  La parola di Dio non è incatenata (2Tm 2,9)                                                                                                 

Terza lettura:  Ritornò da Gesù per ingraziarlo. Era un samaritano (Lc  17,16)

 

La domenica “del grazie”. Nel Vangelo Gesù guarisce dieci lebbrosi e si sofferma con ammirazione su uno “straniero”, che ritorna a dire grazie. Attenzione a non ridurre il brano del Vangelo a una lezione di galateo. Il tema non è la riconoscenza ma comprendere che Gesù è il salvatore e non il guaritore.

1)  Al tempo di Gesù si diceva che quattro erano le categorie di persone equiparate a un morto: il povero, il lebbroso, il cieco, colui che è senza figli. I lebbrosi non potevano avvicinarsi ai villaggi, i luoghi dove abitavano erano considerati impuri come il cimitero; se qualcuno li incontrava, doveva prenderlo a sassate per allontanarlo. Tutte le malattie erano ritenute un castigo ma la lebbra era il castigo per eccellenza. La guarigione di un lebbroso era paragonabile alla risurrezione di un morto. Nell’immaginario collettivo, essa è la maledizione divina; perciò stare con i lebbrosi, curare i lebbrosi è autentico eroismo. Francesco d’Assisi, ricordiamolo, cambiò vita dopo avere incontrato e abbracciato un lebbroso; e i primi francescani  dovevano superare la stessa prova del fondatore; un giorno Francesco trattò male un lebbroso, e come penitenza volle mangiare nel suo stesso piatto. Francesco, prima di chiamare il sole “fratello”, chiamava fratello il “lebbroso”.

 

2) Approfondiamo qualche particolare:

> I lebbrosi probabilmente sono giudei, uno è sicuramente samaritano; se fossero stati sani, certamente non si sarebbero messi insieme! Vale la pena ricordare che spesso ci vuole il dolore per smontare l’orgoglio e farci sentire tutti fratelli.

> “Gesù maestro, abbi pietà!”. I lebbrosi non chiedono la guarigione ma un po’ di compassione; forse si aspettano solo l’elemosina; E’ una preghiera bellissima, non c’è presunzione, ma solo l’umile abbandono di chi non ha più speranze, e si affida al Signore. E attende. Gesù non li allontana, non si allontana; nel vangelo di Marco (1,45) leggiamo che Gesù, dopo aver toccato i lebbrosi, “non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma se  stava fuori in luoghi deserti”

perché anche lui era diventato un impuro!

> Un solo lebbroso guarito torna indietro a dire grazie, e al lebbroso riconoscente Gesù dice: “La tua fede ti ha salvato”. Qui ci vuole condurre il racconto: non serve a niente avere la salute, se la salute la viviamo male; la vera salute non è quella del corpo; la vera salute, nella fede, si chiama salvezza.

> La guarigione non avviene immediatamente ma in itinere, mentre sono in cammino per presentarsi dai sacerdoti; dettaglio significativo: la vita è paragonata a un viaggio; durante il viaggio dobbiamo guarire dalla lebbra  e questo richiede tempo e preghiera.

> I lebbrosi sono dieci che, nel simbolismo biblico, significa totalità: tutti abbiamo le nostre malattie da cui dobbiamo guarire e Gesù non è venuto per i sani ma per noi, malati.

 > Gesù rimane sorpreso che un samaritano – eretico e miscredente! – aveva compreso quello che nove ebrei – educati alla fede e alle Scritture – non hanno compreso. Aveva compreso che il vero Dio è vicino ai lebbrosi, che doveva andare dai sacerdoti che istituzionalizzano le emarginazioni e gridare loro: “Fatela finita con una religione esclusiva e inaugurate la vera religione, quella inclusiva”.

 

3) Chissà cosa sarà accaduto al samaritano dopo la sua guarigione. Dove sarà andato, come sarà vissuto? si sarà ricordato il giorno dopo, un anno dopo che era sano per un miracolo di Dio? Oppure la gioia di essere  guarito gli avrà fatto scordare di essere un testimone vivente della bontà di Dio, e si sarà detto: “Godi adesso, finalmente!”. Chissà dove sarà stato quando Gesù è salito in croce, se ne avrà sentito più parlare, se lo avrà seguito da lontano … Nulla ci è detto: si sa soltanto che era uno straniero, un samaritano, e che in quel momento della sua vita la sua fede lo ha salvato. Ma fede in che cosa più degli altri nove? Anche gli altri nove obbedirono e si avviarono dal sacerdote come Gesù aveva ordinato a tutti. Dunque, tutti credettero di poter essere sanati. E lo furono. Ma non tutti tornarono a “rendere gloria a Dio”. E’ dunque così difficile riconoscere l’intervento di Dio nella nostra vita? Sembra proprio di sì, se nove su dieci accolsero il miracolo con indifferenza.

4) Ecco l’errore: accettare la vita senza meraviglia, non stupirsi più, non saper riconoscere la mano di Dio nelle grandi e nelle piccole cose. Siamo portati a sottolineare un “qualcosa” che ci manca, mentre non siamo capaci di gioire per il “tanto” che già possediamo. Chesterton notava: “Non mancano le meraviglie nel mondo: manca la meraviglia”, cioè la capacità di dire grazie. E sempre Chesterton con ironia osservava: “Molti ringraziano la Befana perché mette doni nella calza, ma non ringraziano mai Dio che ha dato loro i piedi da mettere nelle calze”. Ricordo di avere partecipato anni fa ad un pellegrinaggio di ciechi al santuario di Loreto. Un pomeriggio osservavo i ciechi che leggevano i vari messaggi scritti  in alfabeto Braille. Era una meraviglia: io avevo davanti pagine incomprensibili, invece i ciechi passavano la mano sui fogli, e il loro volto si illuminava di gioia.

5) Grazie: una parola rara, in via di estinzione. I figli non la dicono ai genitori, gli alunni ai professori; è difficile che la diciamo a Dio. Tutto e subito ci sembra dovuto. Non si tratta di solo galateo, però tra gratitudine e religione esiste un continuum necessario; non si confondono, una non è l’altra, però le qualità umane e naturali sono la migliore e necessaria  comprendere Dio. E’ difficile la gratitudine perché  i nostri rapporti sono fondati sull’utile, sul contratto, sul “do ut des”; questa mentalità utilitaristica ed egocentrica snatura anche la religione, ci fa smarrire il senso del gratuito, dell’eucaristia appunto, che è “rendimento di grazie”. Perciò anche con Dio e con i santi abbiamo una mentalità sacro-mercantile. Al pari dei numeri di emergenza, abbiamo un lungo elenco di santi dell’SOS. Oggetti smarriti? Sant’Antonio. Casi impossibili? Santa Rita? Pericoli di viaggio? San Cristoforo. Malattie di gola? San Biagio. Difficoltà scolastiche? San Giuseppe da Copertino. Amori difficili? San Valentino …  Naturalmente niente gratis: un fiore, una candela, una preghiera e la coscienza è a posto!

6) Il cristianesimo è una religione di peccatori; solo i peccatori si trovano bene in chiesa. Il Cristo è venuto solo per essi, i soli capaci di comprenderlo. Siamo cristiani non perché crediamo o ci credono migliori  degli altri, ma perché  ci crediamo sinceramente peccatori, perché accettiamo di occupare gli ultimi posti. La più bella definizione del cristiano forse è questa: uno perdonato da Dio che perdona gli altri, uno amato da Dio che ama i fratelli, uno servito da Dio che serve il prossimo.  Molti abbandonano la chiesa e i sacramenti perché si credono peccatori, impuri, deboli. E’ un errore, perché proprio per loro Cristo è venuto, proprio loro potranno diventare buoni cristiani. Occorre perciò continuare a pregare, perché se Cristo fosse venuto solo per i giusti, non sarebbe venuto per nessuno. Se Dio dovesse far piovere solo sui giusti o far sorgere il sole solo sugli onesti, la terra sarebbe un deserto, e tutti resteremmo al buio!

7) Nel nostro racconto, appare evidente quanto i rituali religiosi possano rendere il credente ingrato, colpevole, e tuttavia con la coscienza tranquilla. I nove pii lebbrosi israeliti obbedivano alla legge fino a dimenticare di dire grazie a Gesù; fedeli alla loro religio­ne, andarono a presentarsi ai sacerdoti, come prescriveva la Legge e con questo si erano messi a posto con Dio. Men­tre il samaritano eretico, che non credeva nella Legge e nei sa­cerdoti, ha fatto quello che una persona normale fa in un caso simile: ringraziare per il favore ricevuto. Morale del racconto: la religione può disumanizzare ed al tempo stesso tranquillizzare. Gli osservanti religiosi non hanno il senso elementare della gratitudine, mentre il samaritano, l’uomo senza religione  (o della religione “sbagliata”) fa quello che è normale: ringraziare. Capita che negli ambienti religiosi abbondino preghiere, riti, osservanze, si procede a suon di Diritto Canonico … e manchi l’umanità, la bontà, il Diritto Umano.  Sono esistiti e continuano ad esistere uomini molto religiosi che arrivano perfino ad uccidere con la coscienza del dovere compiuto. Non si tratta di sopprimere la pratica religiosa o di abolire la religione. Per non disumanizzarci, è necessario rifare ciò che Gesù ha insegnato e che è delineato nel Vangelo: abbiamo bisogno di una religione e di una religiosità che ci renda più umani.