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MARCIANISE, CAMORRA & USURA. Siciliano arrestato solo per gli assegni dei Belforte. Ecco perché la Dda non ha ottenuto la misura anche per la violenza e le minacce

2 Febbraio 2022 - 19:07

Appare abbastanza nitido il ragionamento, formulato dal gip del Tribunale di Napoli Antonio Baldassarre. L’incontro a tre, con Bellopede e la vittima Angioletto, nella casa di una dipendente di Siciliano. La testimonianza dell’imprenditore del settore ittico il quale fa il nome di Camillo Belforte.

 

 

MARCIANISE (g.g.) Il Pubblico ministero della Dda di Napoli, Luigi Landolfi, il quale, peraltro, da un po’ di tempo ha lasciato dopo tanti anni la sua scrivania all’Antimafia per trasferirsi ad altri uffici della Procura della Repubblica partenopea, aveva chiesto nell’anno 2020 l’arresto di Paolo Siciliano, l’ormai arcinoto imprenditore dei supermercati con il marchio Pellicano e, prim’ancora, con il marchio Brio, per due reati: per aver esercitato violenza e minaccia nei confronti di Giuliano Angioletto, altro imprenditore di Marcianise per anni sotto il tacco dell’usura del clan Belforte e del ben noto Michele Campomaggiore e anche per il reato di utilizzo, per i propri interessi economici e commerciali, del denaro proveniente da attività illecite, ai sensi dell’art. 648 ter, diretta filiazione del 648 e del 648 bis che regolano quelli di ricettazione e di riciclaggio. Questa incolpazione è aggravata dall’aver realizzato tali comportamenti per favorire il clan Belforte di Marcianise ai sensi dell’art. 416 bis.

Il gip del tribunale di Napoli Antonio

Baldassarre, che ricordiamo essere un giudice che molte volte si è prodotto in ordinanza relative a fatti di camorra, ha deciso di arrestare cautelarmente Paolo Siciliano solo per il secondo reato e, dunque, non per quello di violenza e minaccia finalizzati allo scopo di far commettere un reato a chi di questo comportamento è oggetto, così com’è regolato dall’art 611 del codice penale.

Partiamo oggi, rinviandovi poi a domani per la trattazione della contestazione per cui poi Paolo Siciliano è finito effettivamente in cella, dal rigetto della richiesta relativa agli atti di violenza e di minaccia aggravati dal metodo mafioso.

La vicenda ve la sintetizziamo perché in calce a questo articolo abbiamo pubblicato l’intero stralcio dell’ordinanza contenente il racconto dettagliato dei fatti che vi invitiamo a leggere con attenzione.

A Paolo Siciliano sono stati consegnati diversi assegni, il dettaglio del numero preciso lo potete leggere cliccando qui, per la cifra complessiva di 76,132 euro e 32 centesimi. Oltre a questi assegni, ce ne sono poi altri due, il primo negoziato presso lo sportello della Banca Popolare di Torre del Greco, importo 4772,72 euro; il secondo della stessa cifra, negoziato presso uno sportello del Banco di Napoli di Marcianise. Complessivamente sono 9545,44 euro che, nella contestazione formulata dalla Dda vengono comunque ascritti al controllo dello stesso Siciliano anche se negoziati da altre persone. Precisamente il primo assegno, quello della Banca Popolare di Torre del Greco, intestato alla Sara srl, fu depositato da Pasquale Di Giovanni, che della Sara, società controllata da Paolo Siciliano, era amministratore nonché socio. Un imprenditore, il Di Giovanni, comunque satellitare rispetto alla famiglia Siciliano, visto che con la sua società, la Di Giovanni srl, si relazionava ai supermercati Pellicano e, prim’ancora, Bri0, saldamente nelle mani del Siciliano. Sempre Di Giovanni dichiara ai finanzieri della compagnia di Marcianise che lo ascoltano a sommaria informazione di non ricordare chi gli avesse consegnato quell’assegno, che però “sicuramente mi fu consegnato nell’ambito dei miei rapporti commerciali”. Il secondo assegno, quello negoziato  al Banco di Napoli di Marcianise, si trovava nelle mani di Domenico Pedata, il quale, a sua volta ascoltato dalla guardia di finanza spiega che quell’assegno, così come risultava dall’annotazione in calce allo stesso, gli fu consegnato da Pasquale Verde, venditore ambulante di prodotti alimentari, quale corrispettivo delle forniture che Pedata aveva fatto a Verde. Quell’assegno fu accolto tranquillamente da chi poi andò a versarlo al Banco di Napoli di Marcianise, dato che Pedata si era accorto che a Pasquale Verde era stato a sua volta consegnato da Paolo Siciliano il quale, come si può ben immaginare, era  un imprenditore commerciale molto affidabile sul terreno dei pagamenti. Entrambi i testimoni, dunque, sia Di Giovanni che Pedata, non riconoscono in foto Giuliano Angioletto, cioè l’iniziale traente di questi titoli. Un elemento questo che fa gioco alle tesi dell’accusa.

Ora veniamo agli assegni versati direttamente da Paolo Siciliano, cioè ai 76mila euro e passa. L’imprenditore dei supermercati Pellicano fu convocato dalla Finanza di Marcianise nel febbraio del 2017 e quando gli fu chiesto conto di un assegno di poco più di 12 mila euro (l’importo preciso lo leggete nello stralcio dell’ordinanza pubblicato in calce), dichiarò  che quel titolo gli era stato dato da Nazaro Bellopede, titolare dalla Bellopede Prodotti Ittici sas. Era una bugia, che però Paolo Siciliano si preoccupò immediatamente di puntellare, in modo da trasformarla in una verità giuridica. Per questo motivo fece chiamare Giuliano Angioletto, che era stato o era ancora questo non è chiaro, un dipendente dello stesso Siciliano, da Mariangela Valente, a sua volta dipendente del “signor Pellicano”. Fu organizzato un appuntamento che si consumò nell’abitazione della Valente, in piazza Aniello Calcara n.3 a Marcianise. In quel frangente, alla presenza di Nazaro Bellopede, Paolo Siciliano chiese a Giuliano Angioletto di dichiarare, qualora la guardia di finanza l’avesse convocato, di aver consegnato l’assegno da 12mila e passa euro, al commerciante di prodotti ittici che, essendo presente a sua volta ed essendo arrivato con Siciliano, sembrava d’accordo in questa attività finalizzata a puntellare la bugia raccontata ai finanzieri dall’imprenditore dei supermercati.

Qui succede una cosa che tutto sommato determina anche il motivo per il quale il gip Baldassarre rigetta la richiesta di arresto formulata dalla Dda per il reato di violenza e minaccia: Angioletto risponde forte e chiaro che lui non è assolutamente disponibile ad avallare la storia dell’assegno da lui consegnato a Bellopede. Al contrario, avrebbe raccontato i fatti così come questi si erano realmente svolti. E qui finisce la chiacchierata. Ma Giuliano Angioletto fa di più: non aspetta di essere convocato, ma assume egli stesso l’iniziativa denunciando Paolo Siciliano, con preciso racconto di tutti gli avvenimenti e soprattutto dell’appuntamento a casa della Valente. Le fiamme gialle di Marcianise convocano, invece, Nazaro Bellopede che, contrariamente a ciò che sembrava risultare dalla sua presenza fisica al fianco di Siciliano, durante l’incontro con Giuliano Angioletto, smentisce totalmente il racconto fatto dal re dei supermercati della provincia di Caserta. In più, dà anche un particolare tutt’altro che irrilevante, svelando che quell’assegno, durante la filiera dei suoi passaggi, era stato negoziato da Camillo Belforte, figlio di Salvatore Belforte, quest’ultimo capo del clan dei Mazzacane, di cui anche Camillo era al tempo un esponente di spicco.

E qui il gip espone la sua tesi. In verità, comincia a girare un po’ intorno alla ricerca di una ragione, di una motivazione per la quale Bellopede, differentemente da quanto sembrava essersi impegnato a fare durante l’incontro, aveva al contrario davanti ai finanzieri raccontato la verità su quell’assegno. In effetti, il giudice formula un paio di ipotesi, ma non si accorge che quella più probabile sta dentro al racconto fatto da Giuliano Angioletto nel corso della sua denuncia, il cui contenuto è citato nell’ordinanza 10 righe prima. In poche parole, nel momento in cui Angioletto si rifiuta categoricamente, dicendolo in faccia a Paolo Siciliano, di dichiarare che quell’assegno lui lo aveva consegnato a Bellopede, quest’ultimo, che ha ascoltato con le sue orecchie quel rifiuto, ha ritenuto, giustamente aggiungiamo noi, molto rischioso riferire alla guardia di finanza la versione addomesticata che Siciliano voleva far passare.

Detto ciò, però, il gip Baldassarre non ravvisa, in nessuno dei comportamenti tenuti da Paolo Siciliano,  quell’attività di intimidazione, di violenza verbale, di minacce, su cui si basa la richiesta di arresto formulata dalla Dda. E né è sufficiente la citazione, nei discorsi che Siciliano fa a Giuliano Angioletto, di Camillo Belforte, anche lui parte in causa nei vari passaggi dell’assegno. Pur essendo quel nome  – osserva il gip – evocativo soprattutto nei confronti di un imprenditore di Marcinise qual era e qual è Giuliano Angioletto, il fatto che questi non denunci forme di violenza  o di minacce subite e il fatto che Bellopede, riferendo quello che sa e quello che ha visto, non racconti, a sua volta, di aver udito parole minacciose, costituiscono per il gip che, ripetiamo, pur riconosce il potere evocativo legato al nome di un Belforte, elementi decisivi per non ritenere fondata la richiesta di arresto per il reato di violenza e minacce con aggravante camorristica, nei confronti di Paolo Siciliano.