MARCIANISE Il sindaco non va in giunta né in consiglio, ma la sera mette a gonfiare i palloncini (senza etilometro) agli assessori e ai consiglieri sprecando corrente e riscaldamento

12 Marzo 2022 - 18:36

Questo stravagante atteggiamento non è legato al posto di lavoro da poco acquisito dal suo amico Arnone, che lo ha messo a controllare, in stile guardia giurata, il traffico dei tir in entrata e in uscita attraverso i monitor, dato che questo andazzo è nettamente più datato rispetto al momento in cui ha firmato il suo contratto. L’ennesima storia di una città preda di una condizione che al confronto Harry Potter e Alice nel Paese delle meraviglie sono più realistici di un film di Pasolini o dei Ladri di biciclette di De Sica.

 

MARCIANISE (g.g.) Il sindaco Antonello Velardi non ha partecipato alle ultime due sedute del consiglio comunale; il sindaco Antonello Velardi non partecipa da tempo alle sedute della giunta comunale.  Rappresentare questa cosa come un’anomalia è tanto doveroso quanto ozioso. Una contrapposizione lessicale, due aggettivi in evidente contraddizione tra di loro che però, nel momento in cui vengono utilizzati come una coppia di fattori autonomi della stessa valutazione di insieme, possono al limite, anche convivere.

In un Comune normale, se un sindaco non partecipa a un certo numero di sedute di giunta consecutive e agli ultimi due consigli comunali, scatta un allarme di tipo sanitario. Perché uno, se fa il sindaco, lo fa soprattutto per presiedere le riunioni di giunta da cui scaturiscono gli atti della cosiddetta amministrazione reale. E lo fa per partecipare, anche nella sua funzione di consigliere comunale, alle adunanze del cosiddetto parlamentino della città. Essere sindaco significa soprattutto questo. Il resto, almeno sulla carta, è secondario, complementare.

Ma Marcianise, come riteniamo ormai di aver ampiamente dimostrato, non è affatto un posto normale e dunque la tentazione che pur avremmo di inserire una categoria sanitaria nella valutazione di queste assenze reiterate, va repressa, perché non coglierebbe il motivo reale, il motivo vero di questa situazione. E questo perché, ripetiamo, tutto ciò che è normale altrove, a Marcianise non lo è.

Guardate, questo qua, cioè il Velardi, è uno che considera insignificanti le persone e anche le cose che si muovono e determinano la vita della città, di una città che lui, in realtà, non ha mai amato, anaffettivo com’è. La sua non è solo sufficienza, non è solo boria, ma è una sufficienza e una boria che si spingono al punto di travolgere le funzioni, le competenze, il perimetro di azione delle istituzioni democratiche, così come queste sono regolate dalle leggi in vigore nel resto d’Italia, ma non, evidentemente, a Marcianise, dove il discrimine è rappresentato da lui, che si crede, evidentemente, un essere superiore rispetto a quelle che considera le miserie del luogo.

L’unico fatto per cui Velardi merita un elogio riguarda il suo tentativo, riuscito, di trovarsi un lavoro. Della serie, meglio tardi che mai, visto che fino a 60 anni affermare che abbia lavorato significa compiere una lettura della storia assolutamente corriva nei suoi confronti. Ci dicono che, da una saletta degli stabilimenti Lete di Pratella, sorvegli attraverso alcuni monitor, l’ingresso e l’uscita dei tir che vanno a consegnare o rientrano dalla consegna dell’ormai celebre acqua minerale di mister Arnone, altro fenomeno tipico della terra campana, capace di creare un impero venendo da dove è venuto.

Ma Velardi diserta le sedute di giunta e quelle di consiglio già da prima rispetto al momento in cui ha firmato il contratto di assunzione per questa sua funzione professionale che sarebbe inquadrata con il rango di dirigente, ma che, sostanzialmente si esplica con le mansioni di una guardia giurata. Per cui, non possiamo spiegare l’assenza reiterata dalla giunta e dal consiglio con i nuovi impegni di lavoro. Velardi però scompare e riappare. Si riappalesa alle 6, 6 e mezzo del pomeriggio, quando, pressoché ogni giorno, apre il Comune, a quell’ora deserto dato che tutti i suoi uffici sono chiusi e i suoi servizi sospesi. Ora, che un sindaco nell’esercizio dei suoi poteri, della sua potestà, possa aver bisogno dei locali del Comune anche di sera, anche al di fuori degli orari di ufficio e anche al di fuori di un ortodosso utilizzo legato alla celebrazione di un consiglio comunale, di una riunione di commissione consiliare o di una seduta di giunta, ci può anche stare. Ma è difficile ritenere normale, legittimo, utilizzare gli spazi pubblici, la corrente pubblica, il riscaldamento pubblico ogni giorno, ogni sera, peraltro in assenza totale di una propria partecipazione alla vita degli organismi giuridicamente previsti. Perché se un sindaco è uno stakanovista, lavora anche di sera negli uffici per capitalizzare, nell’interesse dei cittadini, il lavoro degli altri organismi di potestà, operanti alla sua presenza, cioè di fronte a chi, rappresentando la massima carica della città, deve riversare costantemente, fisicamente i segni e la sostanza della sua funzione democratica negli organismi che, insieme a lui, governano il Comune.

Ma se uno non partecipa, ormai da tempo, alle sedute della giunta e alle sedute del consiglio comunale, che cavolo ci va a fare ogni sera in Comune, organizzando adunanze informali, spesso e volentieri associate a cospicui spuntini?

Ve lo diciamo noi cosa ci va a fare. L’altra sera, ad esempio, ha messo assessori e consiglieri accorsi alla sua sessione serale, a gonfiare palloncini che sarebbero poi serviti per una manifestazione ludica del giorno successivo. Avete letto bene: a gonfiare palloncini. E a gonfiarli senza l’ausilio di un etilometro che in questo caso rappresenterebbe uno strumento essenziale per capire se questo esercizio di inutilità, se questo spreco di risorse pubbliche sia frutto di uno stato vitale pienamente consapevole nella sua capacità di intendere e di volere ma, soprattutto, di rispettare il ruolo che si esercita, o se invece, parafrasando la canzone dell’ultimo Sanremo che comunque si riferisce ad un argomento molto più serio quello che Cetto Laqualunque definirebbe “d’o pilu”, si tratta di “una questione di chimica” visto che quella dell’etanolo è, anche, questione di chimica.