Maresciallo della guardia di Finanza corrotto dall’imprenditore dello champagne su cui stava indagando: condannato
26 Agosto 2024 - 13:13
Confermata la sentenza per corruzione e favoreggiamento
SANTA MARIA CAPUA VETERE – Cinque anni di reclusione e confisca del profitto di reato di 50mila euro nei confronti di Nicola Costanzo, 53enne di Santa Maria Capua Vetere, maresciallo della guardia di finanza in servizio presso la compagnia di Gorgonzola, ritenuto responsabile di corruzione e favoreggiamento personale.
E’ quanto stabilito dalla sesta sezione della Corte di Cassazione, presieduta da Giorgio Fidelbo.
In primo grado il gup del tribunale di Brescia, all’esito di giudizio abbreviato ha condannato il militare a 5 anni di reclusione per corruzione e favoreggiamento oltre alla confisca di 474mila euro. Successivamente la Corte di Appello di Brescia in riforma della sentenza di primo grado ha rideterminato la confisca per profitto di 50mila euro confermando la condanna per i reati ascritti all’appartenente alle fiamme gialle.
Avverso tale pronuncia di secondo grado ha proposto ricorso Nicola Costanzo per mezzo del suo legale lamentando vizi di legge e di motivazione ma per la Corte il ricorso è infondato in quanto “c‘era la piena consapevolezza dell’accordo corruttivo, dove emergono le rassicurazioni del finanziere all’imprenditore riguardo la sua azione nell’eliminare le prove a suo carico ed escludere il coinvolgimento della figlia. Tale pressione psicologica è stata poi utilizzata su Bellini per ottenere le prime due trance della somma corruttiva ancor prima che l’informativa finale venisse redatta”.
Il finanziere è stato coinvolto nell’inchiesta dei colleghi di Milano su un giro di false fatture nel commercio dello champagne che ha visto tra i protagonisti dell’indagine l’imprenditore Giuseppe Bellini e i suoi familiari.
Una frode Iva che nel 2015-2021 ha generato un fatturato illecito di oltre 850mila euro. Il maresciallo nell’esercizio delle sue funzioni, mentre indagava sull’imprenditore, ha ricevuto la somma di 50mila euro divisa in tre tranche: due da 15mila euro e l’ultima da 20mila euro omettendo di rivelare ai colleghi elementi di prova ricavati dall’analisi dei supporti informatici degli indagati in modo da ridimensionare le accuse a loro carico.