Negata la semilibertà a Francesco Martinelli, uno degli imprenditori che ha favorito la latitanza del braccio destro di Antonio Iovine

3 Luglio 2019 - 18:35

CASAL DI PRINCIPE (red.cro.) – Era stato arrestato nel luglio del 2017 Francesco Martinelli, dovendo espiare la pena residua di due anni, sopo essere stato giudicato colpevole del reato di favoreggiamento con l’aggravante del metodo mafioso.

Francesco Martinelli è stato ritenuto uno degli uomini che aveva favorito la latitanza di Enrico Martinelli, il braccio destro di Antonio Iovine. Nel processo, infatti, era emersa la partecipazione di F.Martinelli nell’ambito dell’articolata organizzazione predisposta per consentire il trasferimento del luogotenente di ‘O Ninno dal luogo di villeggiatura, Ostuni, a San Cipriano d’Aversa.

Francesco Martinelli è detenuto nel carcere di di Melfi e aveva richiesto al Tribunale di Sorveglianza di Potenza, l’affidamento ai sociali, ovvero la semilibertà. Richiesta negata dai giudici lucani, considerata la mancanza del contributo collaborativo dell’imprenditore, per cui la pena terminerà nel mese di giugno del 2020. La sentenza della corte che si occupa di decidere sulle pene alternative è stata impugnata dai legali di Martinelli, che hanno presentato ricorso in Cassazione. Tra le doglianze difensive, un passaggio riguarda il ruolo del condannato nella gestione della latitanza, ritenuto marginale.

Non sono stati di questo avviso né i giudici di Sorveglianza, né quelli della Cassazione che hanno rigettato il ricorso dei legali di Martinelli. Nelle lunghe e dettagliate motivazioni della sentenza, rese note solo in questi giorni, i giudici dell’ultima istanza hanno citato anche

alcuni passaggi della sentenza di condanna in cui si sottolinea il ruolo e la fiducia riposta dagli organizzatori del viaggio di Enrico Martinelli all’imprenditore e la mancata collaborazione che “avrebbe potuto – e potrebbe – consentire il più completo accertamento di responsabilità di soggetti, ancora ignoti“.

Se Francesco Martinelli non faceva parte del clan, comunque gli era stata affidata la funzione di assicurare il diretto contatto con il nucleo ristretto dei familiari del latitante. Questi sono stati i dati e le situazioni che hanno reso per la corte di Sorveglianza impossibile dare l’okay all’affidamento ai Servizi Sociali, decisione confermata quindi, anche nell’ultimo grado di giudizio.

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