Nicola e Vincenzo Schiavone sono o non sono camorristi? Le parole della vedova di un loro socio, di un super costruttore e dell’uomo della famiglia Bove. La stessa della persona più vicina al governatore De Luca

16 Settembre 2022 - 16:06

Come avevamo anticipato ieri, ci siamo concessi un ultimissimo capitolo di approfondimento di un’ordinanza che consideriamo dopo averne illustrato decine e decine negli ultimi anni, tra le più importanti nella storia della criminalità organizzata casertana. Un’inchiesta che ha scoperto, secondo noi, solo una piccola parte di un meccanismo di enormi proporzioni che ha messo insieme un’eccellenza criminale come quella di Nicola Schiavone monaciello con grandi manager di stato corrotti fino al midollo e anche con politici, il cui nome non è saltato fuori e probabilmente mai salterà fuori

CASAL DI PRINCIPE – (g.g.) Ci avviamo a seguire le fasi processuali, iniziate l’altro ieri a Napoli, con il primo appuntamento dell’udienza preliminare, relative all’ordinanza, di cui scriviamo da 4 mesi e mezzo cioè dal 3 maggio scorso che ha ha fatto luce, secondo noi, solo in parte sul rapporto tra Nicola Schiavone, 68enne di Casal di Principe, storico pupillo di Francesco Schiavone Sandokan, di cui battezzò da padrino il primogenito Nicola, e i piani altissimi di una delle più importanti aziende di stato, rete ferroviaria Italiana. Un rapporto che ha visto Nicola Schiavone intascare milioni di euro con appalti in cui lui non è mai comparso direttamente quale socio di riferimento socio di minoranza o legale rappresentante delle aziende che quegli appalti si sono aggiudicati, ma che Schiavone monaciello controllava in tutto e per tutto.

L’udienza dell’altro ieri è stata interlocutoria, di insediamento e ci ha permesso però di registrare la costituzione di parte civile da parte della stessa Rete Ferroviaria Italiana, che distribuito decine e decine di licenziamenti ai dirigenti e funzionari infedeli ma anche del ministero degli interni. Quest’ultima una costituzione molto importante, pesante.

Ma sulle fasi dell’udienza preliminare avremo tempo di raccontare, a partire dal momento in cui si capirà se e quanti degli imputati sceglieranno il rito abbreviato e quanti invece opteranno per quello ordinario.

Oggi, ultima puntata di questo nostro lungo focus, torniamo sulle tracce dell’articolo di ieri. A un certo punto, avendo già scritto tanto sulla questione dibattuta della contestazione a 12 degli indagati dell’aggravante camorristica, abbiamo deciso, anche noi, evidentemente ci stiamo professionalmente deformando, di stralciare tre deposizioni, con cui chiuderemo la trattazione.

Si tratta degli interrogatori resi da Ciro Ferone, patron della Pietro Ferone & co., una delle società storiche impegnata da generazioni nel settore dei lavori di infrastrutturazione delle reti ferroviarie, di Wanda Talamas, moglie di Gennaro Petrone, in passato socio dei fratelli Nicola e Vincenzo Schiavone nella Tecnosistem e che molto da dire ha sui comportamenti dei fratelli e infine le dichiarazioni di Carlo Romano, pensionato stra-baby, sin dagli anni 90 delle ferrovie dello stato, cugino acquisito di Vincenzo Bove, autista, factotum e ombra per anni e anni di Nicola Schiavone.

La Talamas ha riferito che alla morte del marito ha continuato l’attività dell’azienda e i due Schiavone “si misero a disposizione e vennero anche alla camera mortuaria”. La donna decise di aprire una nuova società, la Vicla Future per acquistare un ramo d’azienda della Tecnosistem e lavorare in autonomia. Inoltre, racconta agli inquirenti, che i due fratelli di Casal di Principe volevano che fallisse, che le hanno rubato il lavoro, facendole concorrenza e pretendendo dei soldi che ritenevano, sostiene la Talamas, di dover avere.

Ciro Ferone, inoltre, ha aggiunto che la Talamas in qualche occasione aveva definito Nicola Schiavone “camorrista“, perchè preoccupata dal fatto di dovergli dei soldi. Ha spiegato che nell’ambiente delle ferrovie dello stato si faceva riferimento al fatto che Schiavone fosse imparentato con Francesco Sandokan ma lui non si era mai posto il problema perchè sapeva che la TEC con la quale lavorava in quel periodo, non era intestata a Schiavone, in quanto quest’ultimo faceva solo il consulente per quella società. Del legame tra Sandokan e monaciello ne aveva parlato in una occasione con Pierfrancesco Bellotti, ingegnere di Roma il quale, come sappiamo, aveva uno stretto legame con il 68enne casalese.

Per quanto riguarda, infine Carlo Romano, non a caso abbiamo voluto chiudere la trattazione dei questi 4 mesi e mezzo riproponendo parte di ciò che avevano già pubblicato, occupandoci di ricostruzioni relative ad altri reati compiuti da quelli che erano indagati e oggi sono invece diventati imputati. In effetti, il gip Giovanna Cervo afferma che, per comodità espositiva, ribadisce ciò che Romano aveva già dichiarato ma aggiunge qualche altro elemento che dagli stralci pubblicati nei mesi scorsi non era risultato.

Per cui di Carlo Romano viene ribadita la sua ricostruzione sulle modalità con cui Nicola Schiavone entrò già negli anni 90 nel giro degli appalti delle allora Ferrovie dello stato, ai tempi degli ingegneri De Pasquale, Augelli, Capuano, elementi guida del compartimento di Napoli, quello a cui gli allora due giovani imprenditori Nicola e Vincenzo Schiavone facevano esclusivo riferimento con la loro Eureka, cioè la società con cui tutto iniziò e che dovettero togliere di mezzo in quanto fu individuata come strumento di promozione degli interessi del clan dei casalesi nel processo Spartacus,in cui, se Nicola Schiavone guadagnò un’assoluzione, il fratello Vincenzo fu condannato a due anni di reclusione.

Quando l’indagine di Spartacus esplose, e tirò in ballo anche la società Eureka gli allora dirigenti del compartimento partenopeo di FS misero subito le mani avanti,affermando che Schiavone era stato introdotto nel sistema degli appalti della storia azienda di stato da un politico del Casertano.

Chi ha seguito (e sono tanti) tutte le puntate di questo nostro lungo focus conosce il passaggio. Noi lo ribadiamo per chi se lo è perso. Spiega Carlo Romano ai carabinieri del nucleo investigativo di Caserta che lo interrogano il 5 aprile del 2019, cioè 48 ore dopo il blitz delle perquisizioni: “non ricordo il nome, ma facendo uno sforzo potrebbe essere stato l’onorevole Santonastaso o Ventre oppure potrebbe essere stato De Mita ma non ne sono sicuro.

Di Carlo Romano sono note, sempre a quei lettori che hanno seguito con assiduità questo lungo approfondimento, anche le parole che ha speso per Vincenzo Bove cioè per la persona che lui ha raccomandato a suo tempo a Nicola Schiavone: “Lui è il cugino di mia moglie. Sono figli di due fratelli. Ricordo che sono stato proprio io a segnalarlo a Schiavone. Stiamo parlando di più di 30 anni fa Vincenzo Bove era figlio di un noto medico, poichè era senza lavoro, proprio il padre Francesco mi chiede trovare una occupazione. Interpellai più imprese ma solo Nicola Schiavone con l’Eureka mi disse che era disponibile ad assumerlo in prova per 6 mesi. Da allora in poi, non ha mai smesso di lavorare con Nicola Schiavone, tant’è che è diventato suo uomo di fiducia. Mi sono sempre preoccupato di raccomandargli di non commettere stupidaggini, raccomandandogli di non accettare incarichi da testa di legno, gli ho sempre detto di non portare mai soldi, porta quanti regali ti dicono di portare ma niente soldi.

“L’ho incontrato molto raramente in pratica in chiesa a Sant’Anastasia sempre rassicurato dicendomi di non aver mai consegnato buste contenenti somme di denaro in contanti.”

“L’ultima volta, un anno fa, lui mi disse che il suo obiettivo ormai era quello di raggiungere l’età pensionabile perchè si era stancato di fare il faccendiere di Schiavone. Mi disse che costui stava lavorando con una società riconducibile al figlio di Luigi De Vito, da me conosciuto come Giggino il pittore mentre il figlio ricorso che era un calciatore che ha militato nella serie cadetta con il Perugia Calcio.”

Per quanto riguarda il sentiment di Nicola Schiavone rispetto alle sue origini, Carlo Romano dichiara che “in più occasioni sia Schiavone ma anche Vincenzo Bove si vergognavano delle loro origini casalesi ed in particolare del cognome Schiavone che veniva associato a Sandokan.”

La scalata di Nicola Schiavone nell’ambito dei lavori ferroviari è stata graduale, ma continua, costante, aggiungiamo noi, inesorabile. “Cominciò – così dichiara ancora Romano ai carabinieri – con lavori di ordinaria manutenzione anche per sperimentarne l’affidabilità e successivamente all’assegnazione di un lotto. I dirigenti rimasero molto soddisfatti dell’esecuzione.”

E qui Carlo Romano racconta un dettaglio che va esattamente in antitesi con quello che Nicola Schiavone afferma nel suo sfogo ascoltato da Pierfrancesco Bellotti, all’indomani della sortita dell’altro dirigente Francesco Favo, il quale, nel bel mezzo di una cena, davanti ad altri influenti esponenti della stessa Rfi, ammonì Fernando Cinelli rammentandogli che Schiavone fosse il cugino di Francesco Schiavone Sandokan fondatore e capo indiscusso del clan dei casalesi.

In quello sfogo monaciello dice addirittura che lui è nato a Roma e risiede a Roma, quando invece si sa che lui è nato a Casal di Principe e risiede ancora oggi, riteniamo a Napoli e non a Roma.

Ma come dicevamo, ci pensa Carlo Romano a ristabilire gli equilibri delle ricostruzioni storiche, fatte a proprio uso e consumo, dal pupillo di Sandokan nonchè padrino di battesimo del suo omonimo primogenito del capo dei capi.

Nel periodo in cui Schiavone veniva presso il compartimento di Napoli, raccontava che grazie alla sua esperienza politica, come assessore al comune di Casal di Principe, lo stesso aveva intessuto conoscenze con politici di livello regionale e nazionale. Ricordo inoltre che Schiavone aveva rapporti con altre imprese stretti e cordiali con altre imprese lo notavo in compagnia dei Pietro Ferone e del figlio Ciro (Pietro Ferone & Co. n.d.d.) originari di Afragola, con l’impresa di Francesco Pirozzi di Giugliano, Santolo Marano di San Gennaro Vesuviano, la ditta Andreozzi del Salernitano e altre di fiducia che gravitavano intorno alle ferrovie.”

Concludiamo con un passaggio già pubblicato, ma che riteniamo utile anche a comprendere i retaggi familiari delle persone coinvolte in questa indagine. Citiamo ancora una volta testualmente Romano: “Vincenzo Bove è anche cugino di primo grado con Armerina Bove, braccio destro del governatore e della regione De Luca essendo una importante esperta legale.

L’abbiamo ribadito alla fine dell’articolo perchè ci siamo premurati di verificare questa informazione. Ed effettivamente Almerina Bove è una delle componenti del Gabinetto del governatore Vincenzo De Luca e una delle più influenti al punto che in molti la considerano la persona a lui più vicina, nell’ambito dell’intera struttura politico-burocratica della Regione Campania.

QUI SOTTO LO STRALCIO DELL’ORDINANZA