Zagaria: “Ferri? Quelli delle gioiellerie?”. L’assalto al presunto usuraio. Il clan dei CASALESI lo trasformò nel suo primo cambio-assegni

9 Luglio 2020 - 12:12

FRIGNANO/CASAPESENNA – Di Vincenzo Ferri, indagato nell’ambito dell’inchiesta sugli appalti della provincia di Caserta, per il quale la dda aveva chiesto l’arresto, parla diffusamente il collaboratore di giustizia Attilio Pellegrino. Secondo il suo racconto, Ferri, per il tramite di Antonio Di Chiara (figlio di Gennaro Di Chiara, quest’ultimo ucciso in un agguato ed affiliato al clan dei casalesi), chiese ed ottenne un incontro con l’odierno pentito.

Ferri, sempre secondo Pellegrino, era dedito all’usura e spesso altri soggetti vicini a gruppi camorristici lo avvicinavano per fargli eseguire il cambio assegni, attività necessaria per rimediare denaro contante. L’uomo era in difficoltà perchè capitava, di tanto in tanto, di dover cambiare titoli che non erano coperti e per questo motivo, chiese l’intervento di Attilio Pellegrino: “Ferri sapeva bene che io ero una persona di spicco del gruppo Zagaria e quindi, com’è assolutamente chiaro, chiedeva l’intervento protettivo di Michele Zagaria“.

Pellegrino contattò il boss tramite sistema citofonico: “Gli spiegai che il Ferri poteva esserci utile in quanto avrebbe potuto cambiarci gli assegni che venivano impiegati per il pagamento delle scommesse da parte dei frequentatori delle sale che avevamo a Frignano. Si tratta di un interessante giro di assegni tra i 14-15mila euro mensili.”

Zagaria accettò sottolineando però che Ferri non avrebbe dovuto spendere il suo nome per l’usura, mentre a chi gli avesse dato fastidio per la questione degli assegni, poteva riferire che era d’accordo con il boss.

L’ordine del capoclan arrivò al destinatario, durante un secondo incontro: “Ferri avrebbe potuto dire a chiunque si presentasse per cambiare assegni o dare altrimenti fastidio (…) che non doveva cambiarli più a nessuno, così come ordinato da Zagaria.” Da quel momento in poi, Pellegrino e Antonio Di Chiara, conclude il collaboratore di giustizia, raccolsero gli assegni con cui venivano pagate le scommesse e i titoli venivano portati a Ferri, che li monetizzava. Questi soldi, insieme ad altri introiti, finivano nelle casse del clan e venivano usati per pagare gli stipendi ai detenuti in regime di 41bis e poi anche agli affiliati.

I particolari potete leggerli nello stralcio che pubblichiamo qui in basso.

 

QUI SOTTO LO STRALCIO DELL’ORDINANZA

 

 

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