La Domenica di don Galeone: “Oggi la parola è una moneta svalutata; tutti oggi ripetiamo “fatti e non parole!”.

12 Luglio 2020 - 10:00

12 luglio 2020 – XV Domenica TO (A)

DIO SEMINA, PARLA, CHIAMA CONTINUAMENTE!

gruppo biblico ebraico-cristiano השרשים הקדושים   [email protected]

Prima lettura: La pioggia fa germogliare la terra (Is 55,10). Seconda lettura: La creazione attende la rivelazione dei figli di Dio (Rm 8,18). Terza lettura: Il seminatore uscì a seminare (Mt 13,1).

La parola di Dio è sempre efficace   Sono pochi quelli che oggi credono alla parola dell’uomo! Ormai da anni assistiamo alle menzogne dei politici. Dal meno tasse per tutti al milione di posti di lavoro di Berlusconi, al rimpatrieremo 60.000 clandestini all’abbiamo sconfitto la povertà di Di Maio, siamo arrivati al nessuno perderà il lavoro a causa del coronavirus di Gualtieri! Un mare di bufale! Anche ai suoi tempi il salmista ripeteva: “E’ scomparsa la fedeltà tra gli uomini” (Sal 12, 1). Oggi la parola è una moneta svalutata; tutti oggi ripetiamo “fatti e non parole!”. Molti di noi ricordano la famosa canzone di Mina: Parole! Parole! E’ così anche la parola di Dio? Per dieci volte nel primo capitolo della Genesi viene ripetuto il ritornello: “Dio

disse… e così avvenne” (Gn 1, 3). Egli parla e tutto è fatto (Sal 33, 6). La parola di Dio ha efficacia logica e ontologica. La filosofia greca proponeva di entrare in rapporto con Dio attraverso visioni, estasi, rapimenti. La Bibbia propone l’ascolto della parola: “Ascolta, Israele” (Dt 6, 4) è la preghiera più cara agli ebrei. “Ascolta la parola del Signore” raccomandano i profeti (Is 1,10; Ger 11, 3). “Ascoltare è meglio che offrire sacrifici” dichiara Samuele (1 Sam 15, 22). “Sacrifici e offerte tu non gradisci, le orecchie mi hai aperto” conferma il salmista (Sal 40, 7). Nella Bibbia ascoltare non significa ricevere una comunicazione o informazione ma aderire a una proposta, accogliere una persona. Chi ascolta la parola di Dio con queste disposizioni è beato (Lc 11,28).

“La parola di Dio non ritorna a me senza effetto” (Is 55, 11)   Il brano che chiude il libro del Deuteroisaia è un inno all’efficacia della parola di Dio. Per comprenderlo, è utile collocarlo nel suo contesto storico. Siamo verso il 550 a.e.v. e molti ebrei, schiavi a Babilonia, si pongono queste domande: “Torneremo un giorno liberi a Gerusalemme? Come mai la promessa di Dio non si realizza? Anche Dio, come gli uomini, non mantiene le sue promesse?”. A queste persone sfiduciate il profeta annuncia l’imminente liberazione e lo fa con l’immagine della pioggia e della neve. Pioggia e neve richiamano il ciclo delle stagioni, la crescita lenta del seme, l’invito a non attendersi risultati immediati. Gli ebrei in esilio ebbero fiducia e, dopo alcuni anni, un primo gruppo di loro tornò a Gerusalemme.

Il seminatore esce a seminare   Con questa parabola del seminatore, si apre in Matteo la sequenza delle parabole agricole. Le parabole non sono semplici similitudini o metafore, ma un confronto tra la realtà terrena vissuta e il mondo soprannaturale predicato da Cristo. La parabola del seminatore, come tante altre parabole di Matteo, viene colta nell’ambiente agricolo palestinese, e indica che il Regno di Dio è già all’opera, ma non è ancora glorioso: è un seme gettato nel cuore dell’uomo, che lo deve fecondare con la sua collaborazione. Nella parabola va segnalato che il seminatore non sceglie il terreno: il seme viene gettato dappertutto. Dio semina nel cuore di tutti gli uomini, perché tutti sono chiamati alla salvezza. Un’altra osservazione è importante: il seminatore non forza la crescita del seme; attende con pazienza, e accetta anche che nasca male, o che non nasca affatto; accetta anche che quello caduto in buon terreno frutti in maniera diversa: moltissimo, molto, poco.

La semplicità della parabola    I teologi e i predicatori espongono verità molto profonde ma con un linguaggio complicato. Danno l’impressione di non preoccuparsi di chi ascolta, non si accorgono che la gente è annoiata e li sopporta. Gesù aveva un approccio diverso: usava un linguaggio semplice, paragoni tratti dalla vita. Usava parabole che, dicevano i rabbini, sono come lo stoppino di una candela: costa pochi spiccioli, fa poca luce, eppure può far scoprire un tesoro. Con questa parabola del seminatore e del seme, Gesù affronta un tema difficile, quello del male nel mondo. Nella parabola un particolare attira subito l’attenzione: lo spreco del seme che viene sparso in grande quantità su un terreno sterile. Tre quarti dei semi vanno perduti, perché finiscono sulla strada, tra i sassi o tra le spine, divorato dagli uccelli, bruciato dal sole. Sembra un contadino poco esperto! Non bisogna fermarsi ai particolari ma al messaggio della parabola, che è questo; gli apostoli e i suoi discepoli non si devono scoraggiare. Sembra che le parole di Gesù siano cadute nel vuoto, la sua venuta non ha avuto grande risonanza. Più famoso di lui pare sia stato il Battista. Gesù scompare nella terra come un piccolo seme. Anche noi ci chiediamo: ma vale la pena annunciare la parola di Dio in un mondo che ha altri interessi? Ecco la speranza: molti annunci cadono nel vuoto, molti sforzi sono vani ma la parola di Dio non torna a lui senza efficacia: un giorno, puntualmente, la spiga apparirà.

Sperare ma senza presunzione!   Questa parabola del seminatore trasmette un po’ di paura. Inizia in maniera tranquilla, come nelle Bucoliche o nelle Georgiche di Virgilio: una pioggia di semi, e poi giù un volo di uccelli a beccarli; alcuni semi sono bruciati dal sole o soffocati della spine, ma tanti altri vengono su come un mare di spighe dorate. A volte si ha l’impressione che tra il seme e il terreno ci sia incompatibilità, cioè che esista un divario tra la vita di tutti i giorni, e la parola che viene annunciata. Sembra una lingua straniera la parola del Signore. Nei decenni passati, forse, l’accento era messo sulla proclamazione della parola; la parola era oggetto di predicazione, un dato da trasmettere, un “depositum fidei” da custodire, fedelmente. Oggi abbiamo compreso che non solo il seme dev’essere buono (la parola di Dio), ma anche il terreno accogliente (colui che ascolta), il seminatore esperto (colui che predica), l’ambiente favorevole (senza le distrazioni). Poi Gesù stesso spiega la parabola, e qui cominciano le paure, perché sono anime quei terreni che danno o non danno frutto, come dire: il paradiso o l’inferno, la libertà dell’uomo e la predestinazione di Dio! Oggi quelle paure fanno meno male, perché il seminatore è Gesù. Anche se ci muoviamo sopra un vulcano in eruzione, sappiamo che Dio ci è padre. Non può avere fondato la Chiesa, non può averci regalato il Figlio, perché alla fine il vincitore sia il Maligno! E’ peccato sperare che Dio abbia nascosto una bella sorpresa per questi uomini che tanto ama? No! A patto che la speranza non diventi presunzione.  BUONA VITA !