LA DOMENICA DI DON GALEONE. Viviamo nell’indifferenza mentre il mondo è pieno di dolore
13 Novembre 2022 - 07:01
Pacifici nelle nostre case, indifferenti davanti al televisore, vediamo scorrerci sotto gli occhi immagini di sangue e di morte, che si proiettano da ogni parte del nostro villaggio globale, divenuto sempre più stretto e più violento
13 novembre 2022 ✣ XXXIII Domenica tempo ordinario (C)
Il regno di Dio è già tra noi ma non è ancora compiuto!
Prima lettura Sorgerà per voi il sole di giustizia! (Ml 3,19) Seconda lettura Chi non vuole lavorare, neppure mangi! (2 Ts 3,7) Terza lettura Con la vostra perseveranza salverete le vostre anime (Lc 21,5)
Occorre avere le idee chiare circa l’apocalisse, che, come dice la stessa parola, non è “catastrofe” cosmica ma “rivelazione”. Il tempo della mietitura o della vendemmia sembra una catastrofe, perché è falciare le spighe, è schiacciare i grappoli, ma è, alla fine, la festa del raccolto, il pane profumato, il vino saporito. Anche la nascita di un bambino, ricamato per nove mesi nel ventre della madre, è apocalisse: prima, i dolori del parto e poi la festa della vita! La fine del mondo non è l’agonia che introduce nella morte, ma il parto che inaugura la nascita; è la rivelazione di quanto abbiamo amato, creato, chiesto nella preghiera, e che un giorno splenderà, malgrado l’apparente attuale trionfo del male. Dio non distruggerà questo mondo che ha tanto amato, e il nuovo mondo non scenderà dal cielo come un paradiso prefabbricato: Dio sta costruendo un mondo “diverso” in sinergia con l’uomo. Certo, vi saranno momenti di prova; il cammino verso cieli nuovi e nuove terre non è una comoda passeggiata. Per questo, occorre coraggio e pazienza!
Prima lettura (MI 3,19) Il profeta Malachia vive in un tempo molto difficile. Gli esuli deportati a Babilonia nel 587 a.C. sono tornati da parecchi anni. Si sono fidati delle parole dei profeti, che avevano assicurato un regno di pace e di giustizia, ed eccoli invece in una società piena di furti, di soprusi, di violenze contro i deboli. Ci sono tutte le ragioni per perdere la fiducia in Dio e nei profeti. Alcuni cominciano a manifestare apertamente la loro delusione: «È inutile servire Dio. Che vantaggio riceviamo dall’aver osservato i suoi comandamenti?» (MI 3,14). Malachia sente questi discorsi ma non s’indigna. Capisce che quando si ha il cuore amareggiato ci si sfoga in questo modo. Capisce che il popolo non ha bisogno di rimproveri, ma di parole di consolazione. È vero – dice – che le circostanze sono drammatiche, ma bisogna continuare, fedeli al Signore, e presto si vedrà la differenza fra il giusto e l’empio (MI 3,18). È a questo punto che inizia la nostra lettura.
Vangelo (Lc 21,5) Luca scrive il suo Vangelo verso l’anno 85 d.C.: nei cinquant’anni che sono trascorsi dalla morte e risurrezione di Gesù sono accaduti fatti tremendi. Ci sono state guerre, rivoluzioni politiche, catastrofi, il tempio di Gerusalemme è stato distrutto, i cristiani sono vittime di ingiustizie e persecuzioni. Come spiegare avvenimenti tanto drammatici? Qualcuno ricorre alle parole del Maestro: «Vi saranno di luogo in luogo terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti… metteranno le mani su di voi» (w. 11-12). Le disgrazie (specialmente la distruzione del tempio di Gerusalemme) sono segni della fine del mondo che si avvicina e del Signore che sta per tornare sulle nubi del cielo? Il Vangelo di oggi vuole rispondere a queste false attese.
Alcune persone si accostano a Gesù che si trova nel tempio e lo invitano ad ammirarne la bellezza, le enormi pietre di calcare bianco squadrate in modo perfetto dagli operai di Erode, le decorazioni, gli ex-voto, la vite d’oro, la facciata ricoperta di placche d’oro dello spessore di una moneta… Con ragione i rabbini sostenevano: «Chi non ha visto il tempio di Gerusalemme non ha contemplato la più bella fra le meraviglie del mondo». La risposta di Gesù è sorprendente: «Di tutto quello che ammirate non resterà pietra su pietra!». Stupiti allora gli chiedono: «Quando accadrà questo e quale sarà il segno che ciò sta per compiersi?» (vv. 5-7).
I «falsi profeti» hanno sempre rappresentato un pericolo serio per le comunità cristiane e Luca le mette in guardia. Gesù ha raccomandato vivamente: «Non seguiteli!» (vv. 8-9). La fine non verrà presto; la gestazione del mondo nuovo sarà difficile e lunga. Quale sarà il segno che il regno di Dio sta nascendo? Non i trionfi, gli applausi, l’approvazione degli uomini, ma le persecuzioni. In queste situazioni difficili i cristiani potranno essere tentati di scoraggiarsi; dovranno forse attendersi liberazioni miracolose? No! Gesù li mette in guardia: sono pecore in mezzo ai lupi e la loro tentazione è travestirsi da lupi. Sarà Gesù, buon pastore, a difenderli. Infine, Gesù richiama un’espressione molto usata al suo tempo: «Nemmeno un capello del vostro capo perirà!». I cristiani perseguitati non devono attendersi liberazioni miracolose: perderanno i loro beni, il lavoro, la reputazione e forse anche la stessa vita. Tuttavia, nonostante le apparenze contrarie, il regno di Dio continuerà ad avanzare.
Questo Vangelo è un invito alla speranza, all’ottimismo. Si apre una finestra sul futuro: siamo invitati a guardare. Dobbiamo guardare in alto e in avanti, perché questa nostra esistenza si fa sempre più fragile: dominata dalla solitudine, sconvolta da vuoti familiari, ricca solo di povertà affettiva. Noi dobbiamo riappropriarci di questo Vangelo, riflettere sulle certezze entusiasmanti e cosmiche del Vangelo di Gesù. Pacifici nelle nostre case, indifferenti davanti al televisore, vediamo scorrerci sotto gli occhi immagini di sangue e di morte, che si proiettano da ogni parte del nostro villaggio globale, divenuto sempre più stretto e più violento. Sentiamo le scottanti profezie di Gesù; eppure, nulla cambia nella nostra vita. Le immagini dell’apocalisse non ci scuotono, viviamo nell’illusione che terrore e violenza facciano parte di un brutto film, un film dell’horror, dal quale ci difendiamo grazie al nostro egoismo apatico. L’uomo si è stancato di attendere la salvezza dall’uomo, ma si è anche stancato di attendere la salvezza da Gesù. Non c’è sciagura che ci rattristi, né miracolo che ci convinca. Noi cristiani abbiamo fatto della nostra fede un fatto privato; tolleranti, ridiamo di fronte a chi pubblicamente deride la nostra fede. La nostra vita si è fatta noiosa, soffriamo ma non sappiamo di che cosa. Non siamo più buoni né per Gesù né per l’Anticristo. Dante ci metterebbe tutti nel girone degli ignavi, di quegli “sciagurati che mai fur vivi”.
La fine dei tempi è nel segreto di Dio. Lavorare secondo giustizia è l’unico modo di collaborare con Dio. Il regno di Dio non è rimesso alle immaginazioni religiose della psicologia collettiva o individuale. Credere non vuol dire saltare il tempo, lanciandoci con la fantasia, ma inserirci con modestia e operosità nel progetto di Dio. È necessaria questa saldatura tra la fede nella parola di Dio e la nostra partecipazione alla collettiva fatica umana. Non dobbiamo costruire spazi sacri in cui rifugiarci; non abbiamo una terra santa in cui andare; non abbiamo un sacro recinto in cui abitare. La casa di Dio è la casa degli uomini, la santità di Dio ha il suo tempio nell’uomo vivente. Ogni dualismo tra Dio e uomo, tra cielo e terra è fraudolento e mistificatore. La vera ascetica, che deve sostituire quella conventuale e solitaria, sarà quella di accettare la fatica comune di costruire insieme la civiltà dell’amore. A questa costruzione tutti, credenti e laici, possono partecipare, e voglia il cielo che i cattolici siano tra i più generosi e meno presuntuosi! BUONA VITA!