GIURISTI IN DIFESA DEL PROFESSOR FIANDACA CONTRO LE ACCUSE RISIBILI DI SAVERIO LODATO CHE LO VUOLE ESPONENTE DELLA BORGHESIA MAFIOSA: tra i firmatari anche il prof. Balbi dell’Università “Vanvitelli”
31 Gennaio 2023 - 09:00
Caserta (pasman) – L’antimafia militante, quella chiodata, che pensa di dover combattere la piovra siciliana e non di dover rendere giustizia nei casi concreti, quella –ancora – che teorizza da sempre una trattativa Stato- mafia, i patti indicibili tra la politica ed i malacarne di Cosa Nostra non si rassegna davanti alla realtà, non si dà pace. Niente la convince che trattativa non vi fu e che non sussiste il mitizzato terzo livello, come attestano le ben quattro sentenze sulla vicenda intervenute negli anni, dopo investigazioni inflessibili ed intransigenti. E ciò deve pur dire qualcosa, salvo che i nostri complottisti non credano alla connivenza mafiosa anche di tali giudici.
Ricordiamole di volo, le sentenze. Nel 2006 venivano assolti i carabinieri del Ros accusati di favoreggiamento per la ritardata perquisizione del covo di Riina, con la procura di Palermo che rinunciò al pure possibile ricorso.
Nel 2016 furono assolti i Carabinieri del Ros accusati di aver mancato più volte la cattura di Bernardo Provenzano (erano Mori e Obinu). Nel 2020 fu assolto l’ex ministro Calogero Mannino, dopo una gogna infinita durata venticinque anni di processo. Il politico – concediamo non molto telegenico e di non grande simpatia – era accusato di aver intavolato una trattativa tra lo stato e la mafia. Nel 2022, infine, la Corte d’assise d’appello di Palermo ha assolto Mario Mori e gli ufficiali del Ros Subranni e De Donno dalle enormi accuse di “violenza o minaccia a un corpo politico, amministrativo o giudiziario…”. La loro azione – hanno scritto i giudici –è stata esclusivamente “un’operazione investigativa di polizia giudiziaria” tesa a infiltrare Ciancimino all’interno della cosca e a catturare i boss corleonesi, primo fra tutti Totò Riina, divenuto nel frattempo il “capo dei capi”.
Ebbene, non appena Matteo Messina Denaro è stato catturato, ecco che il panzer dell’antimafia dura e pura ha spianato ogni ragionevolezza e si è fatta avanti in forze ad insinuare collusioni ed accordi segreti con i poteri dello Stato – quelli oscuri delle supposte trame e quelli dietro ai famigerati servizi – per spiegare il ritardo trentennale nell’arresto dell’ultimo capo della mafia.
Il caso eclatante, a parte gli interventi su giornali e talk-show di magistrati ed opinionisti allineati su tale gratuita narrazione, è stato certamente quello della trasmissione Atlantide, di qualche settimana fa, condotta da Andrea Purgatori su LA7, con ospiti il dott. Nino Di Matteo, il più noto dei pubblici ministeri che hanno sostenuto l’accusa nel c.d. processo trattativa, ed il giornalista di cose palermitane Saverio Lodato, coautore con il magistrato del libro Il Patto Sporco ed il Silenzio incentrato proprio sul processo trattativa ed il cui titolo dice tutto.
Il programma aveva, nel suo andamento, un che di surreale, con illazioni, supposizioni, congetture a tutto campo su forze occulte, segrete, probabilmente arcane, che avrebbero agito contro i magistrati duri e puri che, latori di una precomprensione del fenomeno mafioso che tiene luogo di ogni prova, avrebbero voluto con tutto loro stessi combatterlo. E non ne parliamo della qualsiasi ipotizzata intorno alla cattura di Matteo Messina Denaro.
Tanto che il procuratore di Palermo Maurizio De Lucia, nella cornice ufficiale della recente inaugurazione dell’anno giudiziario ha voluto ribadire, sulla cattura del boss da parte del suo ufficio e dei carabinieri del ROS, che “l’indagine è stata impeccabile, svolta con criteri di legalità totalmente trasparenti”. “Basta con le speculazioni sull’arresto di Messina Denaro. Non c’è un solo elemento di fatto che possa contraddire quanto custodito negli atti dell’inchiesta che verrà reso pubblico. Negli atti ci sono i fatti che sono duri da contrastare con le semplici dicerie. Certo – ironizzava – tutte le opinioni sono rispettabili anche quelle di chi dice che la terra è piatta, però poi i fatti si devono confrontare e le opinioni sono destinate alla sconfitta”.
Ma in questa occasione vogliamo portare soprattutto l’attenzione su quanto sostenuto – piuttosto a ruota libera, perché privo di contraddittorio – da Saverio Lodato, con un annuente Nino Di Matteo, a riguardo dell’esistenza di una borghesia mafiosa, che sarebbe composta sì da medici, infermieri, portantini, impiegati di banca compiacenti quando c’è da cambiare qualche assegno che puzza. Ma che, come egli enfatizza, è rappresentata “…anche da cervelli di questo Paese, nel campo culturale, nel campo intellettuale, nel campo universitario. Prendiamo per esempio il fatto che per cinque anni Di Matteo è stato considerato da fior di intellettuali di questa città [Palermo, ndr], e non solo, autore di una boiata pazzesca.”
Ora, chi non è addentro a questi fatti, stenta a capire con chi, Lodato, specificamente ce l’abbia ed a cui dà sbrigliatamente del mafiosi, né più né meno . Ovviamo noi, se è consentito. Il riferimento al campo universitario è al professore Salvatore Lupo, storico e cattedratico dell’università di Palermo ed uno dei più quotati studiosi della mafia, ed al professore emerito di diritto penale Giovanni Fiandaca, già dello stesso ateneo, di chiarissima fama e sui cui manuali hanno studiato e si sono formati stuoli di giuristi italiani. Entrambi, ognuno nel proprio campo disciplinare, hanno sottoposto ad uno stringente vaglio, con il loro rasoio argomentativo, le vicende del processo della supposta trattativa Stato- mafia negandola recisamente.
Agli occhi di quelli si sono resi responsabili, dunque, di lesa maestà antimafia.
Ma perché, ci si domanderà, si parla di una boiata pazzesca? E’ presto detto. Il fatto è che il quotidiano Il Foglio di Cerasa e Ferrara pubblicò nel giugno 2013 un articolato ed esteso studio penalistico del professor Fiandaca sul reato associativo mafioso e sulla configurabilità di esso nel processo in svolgimento a Palermo, più noto come processo trattativa. Il contributo, di spiccata tecnicità, era già apparso su una rivista di scienze penalistiche ed, ovviamente, non conteneva in alcun punto quella locuzione canzonatoria. Naturalmente, nella trasposizione giornalistica, il titolista volle così sintetizzare la sostanza delle cose processuali.
Ma a parte questo, l’attacco al professore Fiandaca, nei termini detti, tacciato di mafiosità, ha suscitato, in condivisione di un articolo del 21 gennaio scorso sempre de Il Foglio a firma di Luciano Capone fortemente critico delle dichiarazioni di Saverio Lodato, la reazione dell’Associazione Italiana dei Professori di Diritto Penale, che hanno stilato un documento in difesa del decano.
Lo pubblichiamo notando che tra i firmatari c’è anche il professore Giuliano Balbi, ordinario della materia all’università della Campania L. Vanvitelli e componente del consiglio direttivo dell’associazione professionale, il quale abbiamo avuto il piacere di ospitare su questo giornale per altri suoi interventi nel segno di un diritto penale autenticamente liberale.
La difesa del prof. Fiandaca da parte dell’Associazione Italiana dei Professori di Diritto Penale