LA DOMENICA DI DON GALEONE: “Oggi la Chiesa ci offre un’altra occasione per convertirci alla gioia della risurrezione”

16 Aprile 2023 - 10:39

16 aprile 2023 ✶ II Domenica di Pasqua (A)

Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi, non credo (Gv 20,19)

Il periodo pasquale si distende per l’arco di sette settimane; in queste sette domeniche pasquali è descritta la Chiesa con le sue gioie e i suoi dubbi. In questa presentazione, rivestono grande importanza gli Atti degli apostoli, scritti da Luca, autore di questo “quinto Vangelo dello Spirito e della Chiesa”. Luca descrive la Chiesa primitiva che è costruita su quattro pilastri: l’insegnamento degli apostoli, la frazione del pane, la preghiera, l’unione fraterna. Oggi viene sottolineata la “unione fraterna” (koinonia): a fare comunità cristiana non basta che si raduni un certo numero di fedeli per celebrare il rito liturgico; occorre l’unione fraterna, ogni giorno della settimana. Essere cristiani a 360 gradi, non solo festivi ma anche feriali!

Il brano evangelico di oggi è dedicato a Tommaso, che rappresenta tutti coloro che fanno fatica a credere. Gesù è paziente con la libertà umana; anche noi non dobbiamo scoraggiarci dei nostri dubbi, e dobbiamo sempre rifiutare ogni forma di violenza, “che, usata nel campo della religione e dell’educazione, è illegale e immorale, anche a fin di bene” (A. Rosmini). L’episodio è stato scelto dall’evangelista Giovanni con l’evidente intento di ammaestrare i credenti: imparare a vedere Gesù solo con gli occhi della fede. Ci troviamo davanti a una scena tra le più efficaci del Vangelo: notare la pervicacia arrogante dei tre “Se non …”, cui corrispondono con affettuosa ironia i tre imperativi di Gesù: “Metti … guarda … metti…”. Ansie, dubbi, problemi… non devono scoraggiare; gli stessi problemi possono diventare una risorsa; il filosofo del dubbio Cartesio andò a Loreto in pellegrinaggio a ringraziare la Vergine per avergli ispirato il metodo del dubbio; anche Giovanni della Croce, nella sua Notte oscura, scrive che una certa disperazione avvicina alla perfezione; lo stesso Gesù raggiunse il massimo della gloria dopo avere vissuto l’esperienza del processo e della morte; quel suo umanissimo grido esprime, da un lato, lo smarrimento di ogni certezza (“Perché mi hai abbandonato?”), dall’altro l’abbandono filiale all’Onnipotenza del Padre (“Nelle tue mani consegno il mio spirito”).

Oggi la Chiesa ci offre un’altra occasione per convertirci alla gioia della risurrezione; per questo ha scelto il diffidente, l’irriducibile, l’incredulo Tommaso. Tommaso è un vero uomo moderno, un neopositivista, che crede solo a ciò che tocca; il suo metodo è la verificabilità; per lui il peggio è sempre la cosa più certa. Tommaso è il primo dei “protestanti”; diventando un “protestante” si è preparato ad essere un buon “cattolico”; fosse stato un conformista, sarebbe diventato un mediocre cattolico, mai avrebbe potuto dire: “Mio Signore e mio Dio!”. Gli apostoli erano irritati per la sua testardaggine, e volentieri lo avrebbero malmenato per costringerlo a credere. Ma Gesù amava Tommaso, lo ha difeso, lo ha chiamato vicino a sé: “Tommaso, fa’ quello che vuoi!”. E Tommaso è caduto in ginocchio: “Mio Signore e mio Dio!”: un vero grido di amore; nessun altro apostolo aveva mai chiamato Gesù “Mio Dio”. Proprio da questo Tommaso, dubitante e violento, Gesù ha ricevuto un grande atto di fede e di amore. Questo fa il Signore: trasforma le nostre colpe, i nostri dubbi, le nostre disperazioni … in felici ricordi, in gridi di amore.

Essere dalla parte di Tommaso non vuol dire rinunciare alla verità; vuol dire solo essere onesti; non dire “credo” se non ne siamo convinti. Molti di noi non hanno mai litigato con Dio, non gli hanno mai detto: “Mi hai deluso, o forse io ti ho deluso. Il mio cuore è pieno di dolore, e oggi non so più credere in te”. Addormentàti in una fedeltà insignificante, attraversiamo, come sonnambuli, i giorni della nostra vita. Essere onesti con Dio vuol dire provare la gioia di sentire la fede crescere, o il dolore di vedere la fede diminuire come un fiume, che si ritira e lascia in secco la nostra anima. Essere onesti con Dio significa avere dubbi; la fede non è il tesoro che si sotterra perché non ci venga rubato, ma è il tesoro messo a rischio perché aumenti. Essere dalla parte di Tommaso significa soffrire della nostra incredulità, litigare con Dio, per poter un giorno anche noi esclamare “Mio Signore e mio Dio!”. Mi ha sempre suscitato una profonda impressione questa lettera di un ebreo morto nel ghetto di Varsavia, dandosi fuoco con la benzina nel 1943:  “Io credo in te, Dio d’Israele, anche se Tu hai fatto di tutto per spezzare la mia fede in Te. Muoio sereno ma non soddisfatto; da uomo abbattuto ma non disperato, credente ma non supplicante, amandoTi anche quando mi hai respinto… Io Ti ho amato e Ti amo ancora, anche se mi hai abbassato fino a terra, mi hai torturato fino alla morte, mi hai ridotto alla vergogna. Ti amerò sempre, anche se non vuoi. E queste sono le mie ultime parole, mio Dio di collera: Tu hai tentato di tutto per farmi cadere nel dubbio, ma Tu non riuscirai a far sì che io Ti rinneghi”. Buona vita!