L’EDITORIALE. I De Luca boys nella foto di famiglia: Zannini, l’inquisito Pirozzi, il “pistolero” Nuzzo, Caterino da San Cipriano, Colombiano da San Marcellino. La calata dei lanzichenecchi
19 Febbraio 2024 - 20:11
Si tratta dell’immagine forse più emblematica della manifestazione di sabato. Ce l’ha fatta notare la collega Marilena Natale. De Luca è ormai tossicodipendente da potere, se lo perde vivrà al massimo altri due o tre anni. La rappresentazione di sé, quell’insulto di “stronza” indirizzato alla Meloni è fine e non strumento di un delirio megalomane che per lui è fonte di vita. Non può non avere al suo fianco questi scafati mercenari della politica.
di Gianluigi Guarino
E’ una e, in apparenza, importante la differenza tra le molteplici esibizioni di Vincenzo De Luca, come showman a uso social e quello, per il momento un atto unico, andato in scena sabato scorso, sotto ai palazzi del potere romano: se, tutto quello che il presidente della Regione Campania ha attivato dal periodo Covid in poi, è stata una chiara rappresentazione del format onemanshow, stavolta la sceneggiata – perché di sceneggiata si tratta, senza sé e senza ma – ha avuto una raffigurazione apparentemente diversa, nel senso che dal onemanshow si è passati ad una sorta di commedia dell’arte con tanto di capocomico e con una serie di maschere assortite.
Quando scriviamo che è stato solo apparentemente così, ci riferiamo all’intento di Vincenzo De Luca, il quale non ha mai pensato realmente di dover condividere la sua iniziativa e, ripetiamo, la rappresentazione della stessa, con una serie di attori co-protagonisti. Quelle teste, quelle fasce tricolori dovevano essere, come effettivamente poi sono state, un mero apparato scenografico, a corredo di una esibizione che doveva e, soprattutto, voleva essere ancora una volta, una plateale recita solitaria, in pratica solamente una versione diversa dello stesso format, del medesimo onemanshow.
Per cui, se noi oggi proviamo, così come ha fatto alla sua maniera la collega Marilena Natale, a commentare o semplicemente a declinare in didascalia la foto di gruppo che ritrae il consigliere regionale Giovanni Zannini insieme ad alcuni significativi sindaci della sua corte, prima o dopo la manifestazione di sabato, a cui hanno partecipato, svolgiamo un’azione di analisi pressoché irrilevante. Non serve, infatti, a nulla soffermarsi sull’insieme e sui dettagli di questa foto; serve a poco indicare la presenza del sindaco di San Cipriano d’Aversa, nonché presidente della Gisec, Vincenzo Caterino, incoronato, nel suo problematico paese, ad epilogo di una consultazione comunale macchietta, priva di ogni senso democratico, che ha visto partecipare solo la sua lista, composta da soggetti borderline, a partire dalla signora Giuseppina Barbato, moglie dello straindagato Orlando Diana, ormai stabilmente presente nei modelli 21 della Direzione distrettuale antimafia di Napoli, nonché cugina diretta di quel Francesco Barbato, per anni braccio destro di Nicola Schiavone, figlio di Francesco Schiavone Sandokan.
Serve a poco indicare la presenza di Andrea Pirozzi, sindaco di S. Maria a Vico, a sua volta indagato dalla Dda e protagonista di una delle più incredibili e oscene conversazioni, tutte intercettate, che un politico abbia potuto mai avere con delinquenti incalliti, quali sono sicuramente Mimmuccio Piscitelli e Gennaro Iannone, in un contesto preelettorale che avrebbe dovuto già oggi determinare una reazione dello Stato, che, al contrario, a causa di una Prefettura indolente, silente e irritante non è ancora avvenuta. Non serve a niente sottolineare, in questa fotografia, la presenza di un altro zanniniano doc, quell’Anacleto Colombiano, imprenditore di successo dopo esser diventato politico di successo, sindaco di San Marcellino in una consultazione elettorale che, al pari di quella della vicina e contigua, non solo dal punto di vista topografico-territoriale, San Cipriano d’Aversa, si è svolta con una sola lista in campo, cioè la sua.
Non serve a nulla segnalare la presenza del sindaco di San Felice a Cancello Emilio Nuzzo, quello dalla pistola facile, coinvolto anni fa in una sparatoria che gli costò una condanna e il posto di consigliere provinciale.
Non serve a niente scrivere della presenza del vicesindaco di Villa di Briano Paolo Conte, altro zanniniano doc e solo omonimo, come è del tutto evidente, del grande chansonnier astigiano. E ancora, del sindaco di Succivo Salvatore Papa, di quello di Sant’Arpino Ernesto Di Mattia, del sindaco fantasma di Mondragone, un autentico ectoplasma politico, Francesco Lavanga, che sta lì come prestanome di fatto di Giovanni Zannini, al pari del suo predecessore Virgilio Pacifico, che però poi ha avuto almeno la dignità di ritirarsi dalla politica.
Non serve a nulla. Perché pensare che Vincenzo De Luca possa porsi il problema del profilo politico, personale, istituzionale dei suoi interlocutori, di coloro che seguono la sua linea, è assolutamente fuori dal perimetro possibile di una valutazione che si basi sulla conoscenza storica dei fatti accaduti dentro e attorno alla Regione Campania, dal 2015 ad oggi.
Ma figuriamoci: De Luca non ha avuto alcun problema nel leggere, ammesso e non concesso che glieli abbiano fatti leggere, gli articoli, corredati da fotografie, che lo ritraevano mentre si trovava, sostanzialmente sotto scorta del camorrista Pasquale Razzino, detto scarola, che nel giorno della inaugurazione del campo sportivo di Mondragone, seguiva i suoi passi a 20 centimetri, insieme al fratello dell’assessore comunale Maria Tramonti, cioè la persona che, parimenti al marito Alfredo Campoli, vive in pratica in simbiosi fisica, epidermica con Zannini.
Pensate seriamente che De Luca possa, dunque, star lì a preoccuparsi dei curricula di chi lo ha seguito a Roma nel giorno della sua manifestazione più trash mai realizzata dalla politica nazionale fino ad oggi? Per De Luca questi qua erano e rimangono tappezzeria, complemento d’arredo. A De Luca interessano solo i voti, da qualsiasi soggetto questi arrivino. E’ un 75enne che non ha nulla da perdere. Gli è stata garantita fino ad ora una tranquilla navigazione da una magistratura distratta, se non addirittura corriva. Oggi, lui vive come fine e non come strumento la rappresentazione di sé. Se a De Luca verrà tolta la poltrona di governatore, se non gli sarà data la possibilità di correre ancora una volta, lui non vivrà a lungo. Ci riferiamo alla sua vita biologica, perché se qualcuno ci mette un attimo la testa e guarda alcuni suoi video, messi in rete dal marzo 2020, cioè dalla proclamazione del lockdown in poi e si concentra sulle parole da lui pronunciate a Roma, sabato, sull’atteggiamento posturale interpretato, si accorgerà anche che quest’uomo ormai è in piena dipendenza, anzi, tossicodipendenza da potere. Non ne può fare a meno. Non è questione di strumenti di lotta, non è questione di un metodo più aggressivo finalizzato a stabilire una leadership nell’opposizione diversa, nel suo linguaggio, nel suo alfabeto, da quella della Schlein e di Giuseppe Conte; non è questione relativa alla disponibilità dei Fondi di coesione o di altre risorse di cui il Governo lo priverebbe. Uno che arriva a dire “stronza” alla presidente del Consiglio, ma lo stesso sarebbe stato se avesse detto “stronzo” a un presidente del Consiglio di sesso maschile, attraversa, infatti, uno stato di inconsapevolezza rispetto alla vita reale, da cui è totalmente disancorato.
Non è vero che esiste un calcolo machiavellico, luciferino in quello che è successo sabato a Roma; si tratta solo di una recita tristissima, di una espressione patologica, di una megalomania ormai incontinente e non rimarginabile. E allora diventa un fatto logico, naturale, che persone come Giovanni Zannini, come Vincenzo Caterino, come Anacleto Colombiano, come Andrea Pirozzi fossero presenti lì, nella Capitale, al suo fianco. E’ perfettamente naturale, perché si tratta di soggetti che esercitano la politica (si fa per dire), escludendo da questa l’elemento costitutivo della credibilità, della reputazione personale, della stimabilità.
Per motivi diversi da quelli di De Luca, a questi qua non interessa, in effetti, un benemerito cazzo di essere stimati dalla gente, di rappresentarsi come persone interessanti, capaci di realizzare un discorso, di approfondire un tema, di sviluppare un contenuto, di dimostrare la conoscenza sui fatti della vita e su quelle cose che ti permettono di realizzare un minimo disegno finalizzato al bene comune. Insomma, a questi qua non interessa un cazzo di passare, quand’anche minimamente, alla storia; sono ancorati nel presente e a questo pensano dal momento in cui si svegliano, al momento in cui (spesso molto tardi di notte) vanno a dormire. Zannini, Caterino, Pirozzi & co. non conoscono neanche lontanamente il segno di un ideale politico, di una visione della società o anche di una microsocietà territoriale. Sono tranquilli nella loro tracotanza, perché sanno di poter contare sulla mentalità clientelare che ancora determina, quale vera e propria discriminante, il successo o l’insuccesso di chi si mette in politica. La loro vita è legata a questo, alla materialità degli interessi economici collegati a lobbie e ad altri piccoli potentati, quand’anche largamente diffusi nei territori di loro competenza e, più in generale, nell’intera provincia di Caserta.
In pratica, sono dei mercenari della politica e per questo rappresentano gli interlocutori ideali del Vincenzo De Luca di questi mesi e di questi giorni. E a Roma hanno riproposto la scena del 6 maggio del 1527, la scena della calata dei lanzichenecchi, l’esercito mercenario per antonomasia.