L’EDITORIALE. Come stride la ricorrenza dei Carabinieri eroi uccisi dai nazisti con la fascia tricolore di un sindaco sporcata e inquinata dai voti della camorra

13 Settembre 2024 - 18:04

Una riflessione doverosa, perché oggi non è stato, nel comune alle porte di Aversa, un 13 settembre come gli altri. La presenza del viceministro degli esteri, non quella del ministro della Difesa come sarebbe dovuto essere, rende ancor più opaca la ricorrenza in quanto intrisa di connotazioni politiche, di messaggi che Gennaro Caserta ha voluto lanciare grazie al suo amico Gimmi Cangiano per dire che lui è tranquillo e che a Roma è coperto

TEVEROLA (G.G.) – Ci sono eventi che non possono essere cancellati e neppure depotenziati dall’usura temporale del loro valore storico e identitario.

Capita, però, che siccome sono proprio il tempo e il suo dipanarsi a ospitarne il ricordo e la giusta celebrazione, questi vadano ad intersecarsi, a volte scontrandovisi, con eventi molto meno edificanti.

Quando nella tarda mattinata di oggi abbiamo visto le prime fotografie provenienti da Teverola sulla cerimonia che ogni anno si ripete per celebrare la memoria e, attraverso questa, l’esempio di 14 Carabinieri e 2 civili, uccisi il 13 settembre del ’43 (ovvero cinque giorni dopo l’ingloriosa fuga del re che lasciò in balia delle truppe naziste Roma e un pezzo dell’Italia meridionale, quella ancora non liberata dalle truppe alleate, sbarcate a Gela nella notte tra il 9 e il 10 luglio) questa relazione, questo bianco e nero, questo bello e brutto, ci ha provocato subito uno stimolo, fortunatamente solo di tipo cerebrale.

Da un lato l’eroismo di chi il 13 settembre 1943 resisteva alle esasperate truppe naziste che di lì a due settimane sarebbero state definitivamente cacciate da Napoli e dalle zone limitrofe ad epilogo delle famose 4 giornate, dall’altra parte l’immagine di un’amministrazione comunale presente a questo evento con una fascia tricolore, indossata per l’occasione dal sindaco pro-tempore Gennaro Caserta, che la funzione di governo e quindi anche di rappresentanza della storia di Teverola, l’ha conquistata grazie al voto inquinato dalla camorra, da un ceppo del clan dei Casalesi ancora intonso fino a un paio di settimane fa, cioè fino alla retata dei 42 tra arresti e divieti di dimora.

I 14 Carabinieri e i 2 civili che resistettero ai nazisti, ormai non più forzatamente alleati di un’Italia materialmente e moralmente distrutta dagli eventi bellici, si rappresentò al tempo come un atto di eroismo, ma ancor più come un atto di altruismo. Di fronte alla protervia, alla violenza, all’arroganza, all’uso della forza bruta e prevaricatrice dei soldati della Wehrmacht e di quelli delle SS, decisero di mettere in gioco la propria vita, ben sapendo che probabilmente l’avrebbero persa.

Come si suol dire, usando un linguaggio cerimoniale e ormai rituale, piantarono un seme, quello dell’altruismo, da cui avrebbe dovuto germogliare la pianta di tante buone vite da spendere nella difesa dei valori della democrazia scritti in un libretto non grande, non ponderoso, ma di enorme peso: la Costituzione.

Nella democrazia c’erano e ci sono tante cose.

Nella democrazia ci sono le leggi che promanano dalla Costituzione. Esiste la solenne attestazione del loro primato su ogni pur legittimo interesse individuale o di gruppo.

I 14 carabinieri e i 2 civili trucidati dai tedeschi non morirono solamente perché non resistettero all’indignazione che si trasformò in tigna coraggiosissima, ma perché avendo visto il nazismo e il fascismo pensarono che valesse la pena sacrificare la loro vita per dei valori collettivi.

I Carabinieri recuperavano il senso del dovere associato a una battaglia giusta, i 2 civili sognavano un mondo nuovo.

Alla cerimonia di stamattina erano presenti tutte le maggiori istituzioni, a me piace usare questo termine di cultura liberale e non il termine “autorità”, perché quei 16 morti gettarono letteralmente nel terreno il loro sangue proprio per lottare contro la degenerazione dell’autorità divenuta autoritarismo.

Tante istituzioni: il prefetto di Caserta, il Questore di Caserta, i comandanti regionale e provinciale dell’arma dei Carabinieri, ma anche il vice-ministro degli Esteri Edmondo Cirielli.

Una rappresentanza sbilenca del governo, la sua, dato che in questo caso, trattandosi di una manifestazione organizzata da sempre dai Carabinieri e riguardante il sacrificio di 14 di loro, sarebbe stata molto più propria e normale la presenza di un componente del Ministero della Difesa, anche un sottosegretario sarebbe andato più che bene.

E allora non è difficile ipotizzare che Edmondo Cirielli sia arrivato a Teverola più come politico che come membro del governo nazionale.

O meglio: la sua funzione di componente del governo ha coperto l’intenzione, tutta politica, probabilmente stimolata dal presidente provinciale del partito di Fratelli d’Italia Gimmi Cangiano, che ad Edmondo Cirielli è fortemente legato, di soccorrere l’insoccorribile, ossia di stare lì per far capire che i potenti romani, quelli che stanno nel governo e che possono incidere anche nelle decisioni di altri Ministeri, proteggono il loro uomo di partito, ossia il sindaco Caserta.

Figuriamoci, Cangiano, da me vigorosamente interpellato, mi ha detto che si è trattato di una manifestazione organizzata dai Carabinieri a cui si sono associate presenze istituzionali a partire da quella di Cirielli e dalla sua, visto che Cangiano, anche se spesso non sembra, è un deputato della Repubblica Italiana.

Chi scrive ama ripetere, gonfiando il petto, di essere un liberale, per molta parte anche liberista.

Per questo motivo si avverte culturalmente più vicino alla destra storica, visto che alla destra di oggi è più difficile trovare ragioni per star vicini, dunque al netto di qualche voto a sinistra (espresso dal sottoscritto – credeteci perché è vero – a Vincenzo De Luca nelle elezioni regionali del 2015, forse l’errore più grave della mia vita di elettore) ha sempre votato dalle parti di Forza Italia e Fratelli d’Italia.

Gonfio il petto perché oggi come ieri questo giornale racconta e rappresenta la vergogna, la pochezza, la viltà, l’impresentabilità di molta parte della destra locale. Gonfio e gonfiamo il petto ripensando a quanto abbiamo fatto per contribuire alla fine politica di gente come Angelo Polverino e Pio Del Gaudio, uomini di quella che noi amiamo chiamare la “destra nominale” della provincia di Caserta.

Gonfio e gonfiamo il petto nel dire che se il ministro degli Interni Matteo Piantedosi ha giustamente, doverosamente, spedito una commissione d’accesso al Comune di Caserta, non potrà non spedirla a maggior ragione al Comune di Teverola dopo tutto quello che è stato scritto nell’ordinanza e denunciato alla Procura della Repubblica di Aversa, ai magistrati della Dda, nel corso delle giornate delle elezioni comunali, ma anche in quelle precedenti, dominate dal voto di scambio, e tutte connotate dalla presenza fisica del reggente del clan dei Casalesi di Teverola, quel Salvatore De Santis che agiva in nome e per conto del boss al tempo in carcere Nicola Di Martino, la cui nipote diretta Ellen è stata eletta con quasi 500 voti di preferenza, decisivi per la vittoria di Gennaro Caserta, ma soprattutto del plurindagato Biagio Lusini, vero dominus di questa amministrazione.

Lo diciamo al simpatico Cangiano e al meno simpatico Edmondo Cirielli: non ci fermeremo mai su Teverola come non ci fermeremo mai su Santa Maria a Vico, dove governa un sindaco, stavolta zanniniano e deluchiano, che ha mostrato di avere strettissimi rapporti con i clan camorristici locali.

E quando accadrà, se accadrà, che anche Teverola sarà interessata dal lavoro di una commissione d’accesso, abbiamo già la foto pronta, quella che Gennaro Caserta si è fatto scattare a L’Aquila nella scorsa primavera, un mese e mezzo prima delle elezioni, insieme a Giorgia Meloni, vera vittima di tutte queste vergogne territoriali, rese possibili da una classe dirigente che è tale solo nominalmente e che però, va sottolineato, con la storia dei gabbiani di Azione Giovani, con la storia della riconoscenza nei confronti di chi ha mangiato con lei il pane raffermo del partito di nicchia pressoché ininfluente, è stata lei a mettere in piedi basandosi su presupposti fragilissimi e soprattutto su una conoscenza pericolosamente superficiale delle realtà locali, soprattutto di quella campana, specificamente di quella della provincia di Caserta.