L’EDITORIALE. L’inchiesta su Zannini, ma non solo. La Procura di S. Maria, grazie a Pierpaolo Bruni, ha modificato l’attitudine: ora non ci sono più apparenti intoccabili

11 Ottobre 2024 - 14:03

A distanza di una decina di giorni dalle perquisizioni, è utile, secondo noi, cogliere un aspetto che ormai risulta chiaro e dovrebbe indurre le persone perbene a modificare la convinzione maturata negli ultimi anni. I pm Cozzolino e Urbano garanzia di equilibrio

di Gianluigi Guarino

Quella che ha coinvolto il consigliere regionale Giovanni Zannini non è solo una vicenda giudiziaria. Ad essa si è allegata, infatti, c’è, come si suol dire in questi tempi, tanta roba.

Un surplus che prende forma, sdoppiandosi dall’azione penale, esercitata dai pubblici ministeri della procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere. Si tratta di un pensiero collettivo che, per una volta accomuna i puri di cuori e i “fetentoni” e che recupera un segno più ortodosso, quello impresso dal passo che si orienta, dopo gli anni del disorientamento e della sfiducia, verso la seguente e normalissima idea: chi delinque una volta ha la possibilità di farla franca, chi delinque due volte vede restringersi questa possibilità, chi delinque tre, cinque, cento volte verrà certamente intercettato dall’azione penale, che, in questo caso, non troverà più limite e freno nelle tante difficoltà organizzative del sistema giudiziario, nelle carenze di organico e nelle ataviche patologie che affliggono la relazione tra i magistrati dell’accusa e le strutture, composite e non sempre cognitivamente attrezzate, della polizia giudiziaria.

Perché, diciamocela tutta, l’esperienza pubblica di Giovanni Zannini cominciava ad essere ammantata da un’aura di infallibilità pre leggendaria. Una percezione, ampiamente diffusa, di trovarsi di fronte, come accadeva nella finzione romanzata di un vecchio telefilm (allora si chiamavano così), o di un più recente cartoon giapponese, a una sorta di Lupin primo e/o terzo, che, alla fine, la fa sempre franca, anche perché, contro di lui, è attiva solo una versione caricaturale del diritto, della legge, quella disegnata con le sembianze tragicomiche dell’ispettore Kohichi Zenigata.

L’indagine della procura e dei carabinieri va, dunque, ben al di là degli obiettivi istituzionali che devono giustamente delimitare l’azione che tocca all’ufficio del pubblico ministero e alla polizia giudiziaria che lo coadiuva. Va al di là.

Ma stavolta, differenza di quello che è capitato e capita ancora oggi in Italia, la collateralità eterogenetica dei suoi fini, ossia il combinato tra fatto e percezione dello stesso, non corre il pericolo di connettersi all’attività dei magistrati e di condizionarla negativamente, Ciò per due motivi: prima di tutto perché i pubblici ministeri Gerardina Cozzolino e Giacomo Urbano posseggono spalle rese larghissima dall’esperienza accumulata negli anni anche su indagini che sono state mediatiche alla stessa stregua di queste relative a Zannini.

Tutte condotte con calma, serenità, attenzione e imparzialità e, non a caso, sfociate il più delle volte, quando questi magistrati le hanno spinte fino allo stadio della potestà giudicante, in sentenze che le hanno pienamente legittimate, com’è successo, giusto per formulare qualche esempio, per la pena definitiva inflitta all’ex sindaco di San Felice a Cancello, Pasquale De Lucia, solidissimo approdo a valle di un’indagine della Cozzolino oppure nel patteggiamento a cui si vide costretta la sindaca di Maddaloni Rosa De Lucia e, ancora, alla dura condanna incassata dall’imprenditore dei rifiuti Francesco Iavazzi e dall’onnipotente dirigente del Comune di Caserta Carmine Sorbo. per la truffa sulle pese della frazione umida della monnezza della città capoluogo, per quanto riguarda il pm Giacomo Urbano.

Due magistrati col pelo sullo stomaco ed espertissimi nella specifica materia dei reati compiuti contro la pubblica amministrazione. Il secondo motivo è connesso al deficit, che, indubitabilmente, si è registrato negli ultimi anni alla procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere proprio in quello che avrebbe dovuto essere uno dei suoi settori strategici, cioè la lotta alla corruzione, divenuto, invece, solo lo sterile enunciato, ripetuto come un mantra stucchevole e, facendo la tara ad ogni “latinorum” di manzoniana memoria, beffardamente coglionanti, di insulsi convegni e delle inaugurazioni degli anni giudiziari, senza che alle analisi teoriche, alla denuncia dialettica e didattiche della rara, del baco dei bachi di questo territorio, seguisse un’attività reale di controllo e, all’occorrenza, di repressione e di prevenzione.

Questione di attitudini, delle attitudini di quegli anni, di un modo diverso, molto diverso di intendere l’azione penale, la polpa costituzionale e, conseguentemente, istituzionale del suo funzionamento. Un’attitudine eccessivamente ripiegata su una presunzione di innocenza, divenuta, purtroppo, a Santa Maria, un pretesto e, dunque, una stortura speculare a quella della “presunzione di colpevolezza” che aveva animato e reso erratamente animosa l’attività di tanti pm italiani, che hanno tirato, parafrasiamo l’espressione del più celebre tra loro, per la giacchetta, ma dall’altro lato, ossia quello giustizialista, l’azione penale.

La procura di Santa Maria aveva bisogno, insomma, di una persona equilibrata, rassicurante, in grado di controllare possibili pruriti reazionari da parte di quei pubblici ministeri, tenuti ingiustamente e forse volutamente, fermi ai box a mordere il freno per diversi anni, ma, allo stesso tempo anche all’altezza della missione, non certo agevole, di ricostruire una relazione fondata su un’approssimazione accettabile, realista e credibile tra l’attività requirente e il nobile quanto utopico principio contenuto nell’articolo 112 della Costituzione.

Questa persona è arrivata per la fortuna di chi crede ancora che la legge sia uguale per tutti. Il suo nome è Pierpaolo. Bruni, che, da un anno e qualcosa, è il procuratore della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere. La gente di qui, e parlo della tanta gente buona che esiste, anche se non si vede, aveva bisogno di ritornare a credere che non esistono persone intoccabili, che, grazie al loro status, possono vivere ed operare al di sopra e al di fuori del diritto senza correre alcun rischio.

L’ indagine sul malaffare al Comune di Caserta e quella sull’ex Lupin, l’ex Diabolik per percezione comune della politica casertana Giovanni Zannini hanno ricostituito un clima, almeno minimo, di fiducia, ripeto e non a caso, da parte dei cittadini perbene, nei confronti della magistratura.

Il procuratore Bruni, i pubblici ministeri Cozzolino e Urbano, la loro storia, il loro portato professionale costituiscono una garanzia per tutti.

Sono stati e sono, infatti, magistrati equilibrati. Siamo sicuri e sono sicuro che non cederanno al rischio di cavalcare l’onda, di partire dalla convinzione di colpevolezza per poi costruire tutto il resto, indossando i paraocchi del pregiudizio. E ciò costituisce la migliore delle garanzie anche per gli indagati e per il loro sacrosanto diritto a difendersi con i non esigui strumenti che la legge mette loro a disposizione.

Detto questo, una soddisfazione vogliamo, però, prendercela: dopo aver usato tante volte, con non celata frustrazione, questa citazione storica nel suo ribaltamento al negativo, possiamo, in questa circostanza, assecondare, con una parafrasi, la soddisfazione del mugnaio Arnold di Postdam, quando questi, dopo aver subito le angherie di tanti giudici corrotti da un barone potente, riceve giustizia da Federico il Grande: “C’è un giudice a Santa Maria…”