Misero su un finto dossier a luci rosse per incastrare il maresciallo. Arrestati 5 carabinieri
27 Gennaio 2020 - 19:54
SANT’ANTIMO/TRENTOLA DUCENTA – Sono ben cinque i carabinieri arrestati, mentre altri tre sono stati sospesi, per aver intrattenuto rapporti con un clan di camorra di Sant’Antimo. L’inchiesta è iniziata dopo le dichiarazioni di due pentiti. I carabinieri avrebbero fornito al boss Pasquale Puca importanti informazioni relative a indagini e operazioni di controllo sul territorio. È emerso anche un tentativo di screditare e intimidire il maresciallo Giuseppe Membrino, loro collega, (oggi comandante della stazione di Trentola Decenta) che si stava impegnando nell’ostacolare le attività della cosca. L’uomo venne pedinato e fotografato al fine di raccogliere informazioni compromettenti sul suo conto.
Fu ripreso anche con una donna con cui aveva rapporti confidenziali; non la sua amante, ma una sua informatrice. Il dossier fu poi confezionato e messo nella cassetta della posta del militare. Il sottufficiale dell’Arma resistette però a quella prima intimidazione salvo poi arrendersi al trasferimento, disposto d’urgenza per ragioni di sicurezza, quando fu piazzata una bomba carta sotto la sua auto.
In una conversazione tra carabinieri, intercettata il 28 febbraio 2018 grazie ad una cimice sistemata nell’auto di due dei carabinieri indagati, uno dei due militari affermava che un suo collega era proprio un infame e che sarebbe stato meglio se fosse morto in un agguato nel 2016: “almeno gliela davano una botta in fronte”.
I carabinieri arrestati Raffaele Martucci, Angelo Pelliccia, Michele Mancuso, Vincenzo Palmesano, Corrado Puzzo sono indagati per corruzione, mentre gli altri per rivelazione di segreto d’ufficio, omissione di atti d’ufficio e abuso d’ufficio. Esclusa, però, l’aggravante mafiosa per tutti i coinvolti.