A Raffaela Pignetti offriamo la pace. Abbagliati dai suoi guizzi culturali. La parafrasi di Rino Gaetano, la citazione di Boskov e il Super Santos. Subito reginetta di Porto Rotondo e poi ministra al posto della Santanché

12 Agosto 2024 - 16:33

Stavolta realmente non scherziamo. Questa fotografia potrebbe rappresentare il soggetto di un quadro impressionista in cui nulla, nessun simbolo mostrato è casuale. Per cui, lunga vita alla Pignetti, non dieci, bensì 20 anni all’Asi. A meno che la Meloni non compia l’atto di giustizia di nominarla al posto della spompata amica di Briatore

CASERTA (g.g.) – Le cose stanno cambiando e stanno cambiando in maniera sostanziosa e, mettiamoci pure, sostanziale.

Nessuno, dunque, osi tacciare di revisionismo storico il sottoscritto e CasertaCe nel giudizio sulla presidente del Consorzio Intercomunale Asi di Caserta, Raffaela Pignetti.

La crescita culturale è evidente e si è dipanata in tre mosse costituite da una parafrasi, una citazione testuale e da una simbologia che appartiene alla “meglio gioventù” degli anni Settanta e Ottanta. Insomma, roba di quali, perché le figure retoriche e le simbologie sono espressioni di un’intellettualità fino ad oggi forse latente e ora esplosa in tutta la sua fertilità.

Ma andiamo con ordine. Pignetti è convinta che il sottoscritto e Peppe Razzano, rappresentante della regione Campania nel Comitato direttivo dell’Asi Caserta, concordiamo gli articoli riguardanti la sua persona.

Ora, a meno che la sua dama di compagnia, definizione nobile che estraiamo piatta piatta dagli organigrammi delle corti europee dell’ancien régime, ovvero Iolanda Chiuchiolo, sannita (ma a questo punto solo sulla carta), non abbia proprio rimosso tutto il periodo vissuto al Corriere di Caserta e nella bambagia del suo direttore, le dovrebbe dire che il sottoscritto si ritiene “il più figo dell’universo” e che mai e poi mai si farà eteroguidare o si farà mettere una parola in bocca o sui polpastrelli di una tastiera, al massimo può capitare il contrario.

Peppe Razzano è una persona che stimo, che negli ultimi anni ha visto crescere moltissimo il suo livello cognitivo e non solo della politica politicante, ma certo è che non potrà mai accadere che lui, oppure la Meloni, oppure il Papa, oppure Mattarella o magari in passato gli allora amici Stefano Graziano e Giovanni Zannini, potessero e possano chiedermi di pubblicare un articolo contenente loro idee e loro concetti.

Già il fatto che fossero loro idee e loro concetti portava il mio peccato di vanità – altrimenti che peccato è – ad escluderli dalla trattazione anche quando quei contenuti possedevano un fondamento.

Però, questo giochino di allusioni ha incontrato in questa circostanza il mio consenso. “Aizzo Francesco contro Filippo immettendo in rete, sotto un nome di battaglia, battute e commenti acidi e ostili su Francesco, che sembrano venire da Filippo o dai sostenitori di Filippo.

Pensateci bene: “E Berta filava, e filava con Mario, e filava con Gino e nasceva il bambino, che non era di Mario e non era di Gino“.

Non a caso abbiamo parlato di parafrasi. Si tratta di un’assonanza metrico lessicale con una celeberrima canzone del cantautore crotonese Rino Gaetano.

Lì c’era Gino, c’era Mario, che filavano con Berta, solo per volere di Berta, qui, invece, ci sono Francesco e Filippo aizzati da un grande manovratore, che già questo (ossia l’esistenza di un grande vecchio, per l’appunto, di un manovratore) la dice lunga su ciò che, da una parte ha dato e dà motivazione al carattere gagliardo e un po’ attaccabrighe della Pignetti, dall’altro riduce al minimo i momenti di cui può godere di un po’ di pace con se stessa perché la pace interiore è esattamente l’antitesi della dietrologia cronica.

Questo scriveva Donna Raffaela il giorno 8 agosto… che ora, gentilmente, non ci piazzi un’altra denuncia per ingresso abusivo nel suo profilo, visto che ha centinaia e centinaia di amici che, godendosi poi lo spettacolo in poltrona, non vedono l’ora di inviare al sottoscritto i suoi post, così come accadde con meravigliosi posteriori del passato…pardon, correggiamo subito: con gli orrendi posteriori, sennò ci denuncia per sessismo.

Assodato dunque che le sue nuove amicizie in area Fratelli d’Italia maturate in terra calabrese le abbiano fatto bene, dato che ha acquisito la ritmica dei versi di un calabrese passato alla storia come Rino Gaetano, spostiamoci dalla canzone al calcio.

Raffaela Pignetti si meritava un invito alla festa che la Sardegna dei vip ha organizzato nei giorni scorsi per celebrare i miti, i simboli, i suoni, le parole, i chewing-gum e caramelle degli anni Novanta.

“90 Wonderland”. Così è stata chiamata e per una sera i 50enni si sono scatenati in una discoteca simbolo della Sardegna vacanziera, a Porto Rotondo, sulle note degli 883 che si interrogavano sul nome dell’assassino dell’Uomo Ragno, con ballerine e figuranti rigorosamente nel costume che elevò a leggenda Pamela Anderson nella serie televisiva Baywatch e con altre comparse travestite da Super Mario, con spernacchiamento accluso di Jurassik Park, pellicola iconica di quegli anni. Il tutto tra megastrutture riproducenti la Brooklyn, in arte la gomma del ponte, le Big Babol e le Morositas, senza la mitica attrice creola che non ebbe alcun difficoltà a fare con grande leggerezza e simpatia del suo Lato B un monumento nazionale imperituro e indimenticabile.

Però, se c’è una persona la quale scrive in un suo post: “Partita finisce quando arbitro fischia”, beh, questa persona doveva essere proclamata la reginetta di 90 Wonderland.

Si tratta di una frase citata testualmente e che di solito si accopiava, al tempo faceva pariglia con la sua gemella, “rigore è quando arbitro fischia“, pronunciata nientepopodimeno che da Vujadin Boskov, per gli amici Vuja, allenatore serbo dei due e dei tre mondi (parlava sei o sette lingue), ma soprattutto l’ispiratore, l’alchimista di uno “scudetto impossibile” almeno quanto lo erano stati, nonostante l’investimento di Maradona, quelli del Napoli e forse ancor di più quello dell’Hellas Verona.

Vujadin Boskov è stato il protagonista del calcio italiano nei primi anni Novanta. È tra i protagonisti dello scudetto raccontato in un’intera giornata, dall’attesa al trionfo, in un magistrale servizio per La Domenica Sportiva, da Gianni Minà, che vive tutte quelle ore con un doriano in vita e in morte, con quel Paolo Villaggio che riesce a dire di essere felice perché ha potuto vedere in vita qualcosa che considerava impossibile.

Solo un tiro malandrino, una pallonata delle sue, esplosa dai piedi di Ronald Koeaman, oggi ct dell’Olanda, impedì alla Sampdoria di Vialli e Mancini di prendersi nella finale di Wembley anche la Coppa dei Campioni, in una partita contro il Barcellona nella quale i blucerchiati si superarono e che avrebbero meritato di vincere senza se e senza ma.

Se poi nella foto che campeggia sotto questa frase, una Raffaela Pignetti, sorprendente per il livello culturale raggiunto, stringe un altro mito degli anni andati, ovvero un Super Santos, beh, allora, va immediatamente detto al suo amico Edmondo Cirielli, viceministro degli Esteri, all’altro suo amico, Serafino Sorrenti, coordinatore della sicurezza digitale di Palazzo Chigi, che il tempo di Daniela Santanché è definitivamente tramontato.

Sia quello di reginetta delle accorsate estati sarde al Billionaire con il suo amico Flavio Briatore, ma soprattutto il tempo da ministra del Turismo.

Stavolta non scherziamo: in tre mosse la Pignetti ha meritato la mia e la nostra considerazione. Siamo pronti ad andare da lei, a fumare il calumet della pace e a diventare suoi amici ma soprattutto suoi difensori.

Ci pensi la presidente dell’Asi. Da lassù Rino Gaetano e Vuja Boskov, due persone tutt’altro che inconciliabili tra loro per spirito e intelligenza, la guardano con riconoscenza.

Mentre da quaggiù, un fresco e tosto, vivo e vegeto Tony Tammaro si dice già pronto a cantare con lei il suo inno a quel pallone arancione chiamato con il nome della squadra di Pelé.

I DUE POST