ASSOLTO FABIO ORESTE LUONGO. Come cambia il nostro atteggiamento nei confronti della Co.Bi.

21 Giugno 2024 - 15:34

Fermo restando che la DDA la pensa in maniera diversa dal giudice e che farà ricorso in Appello. Bisognerà soprattutto capire cosa succederà rispetto all’interdittiva antimafia a questa impresa, emessa un paio di mesi fa dalla prefettura di Caserta, poi recentemente “trasformata” in un controllo giudiziario

CASAL DI PRINCIPE – È stato assolto ieri dal giudice per l’udienza preliminare del tribunale di Napoli Fabio Oreste Luongo, l’unico degli imputati ad aver chiesto in rito abbreviato nel processo nato dall’inchiesta coordinata dalla DDA di Napoli sulle presunte infiltrazioni del clan dei Casalesi negli appalti al Cira di Capua.

Andando a riassumere le accuse cadute nei confronti di Luongo, quest’ultimo avrebbe assunto il comando della società Co.Bi del cugino per supportare la presunta azione corruttiva di Sergio e Adolfo Orsi al Cira, imprenditori ritenuti al servizio del clan dei Casalesi.

Ed è la seconda assoluzione nel giro di pochi mesi per Luongo, dopo quella relativa all’inchiesta sulla tangentopoli sanfeliciana.

Non colpevole, non autore di reati, quindi, il 46enne di Casal di Principe.

Ma a gravare sulla Co.Bi. di Ernesto Biffaro, come detto, cugino di Luongo, resta un’interdittiva antimafia emessa dalla prefettura di Caserta, riteniamo in base proprio ai rapporti parentali tra i due. Al momento alla Co.Bi. è stata permessa la reiscrizione

nella white list della provincia, visto che l’impresa è attualmente sotto regime di “controllo giudiziario”, istituto previsto per le società per le quali si ritiene che ci sia un’infiltrazione della criminalità episodica e non sistemica.

Quindi, fino alla nausea ripeteremo che Luongo è stato assolto in due procedimenti penali, ma non potremo far finta di non conoscere anche le parole di Nicola Schiavone, erede al trono dopo l’arresto del padre Francesco Schiavone Sandokan, rispetto al ruolo che per il delfino del clan, poi pentitosi, Luongo avrebbe avuto nelle attività di cartello (accordo tra più imprese) nel tentativo di indirizzare gare d’appalto poi finite a ditte del clan o che comunque avevano il benestare – previo ovvio pagamento – della camorra.

Parole che hanno fatto scattare capi d’imputazione, figli di due inchieste della DDA, che però non hanno retto nelle aule giudiziarie.