CASERTA A Carlo Marino è andata bene: vero, è una bufala la notizia della vendita di Villa Maria Carolina. Non a caso non reca il nostro copyright

24 Giugno 2021 - 19:00

Quel terreno è destinato nell’ormai famosa delibera del 12 marzo scorso, ad essere “valorizzato” e non venduto. Ma valorizzato significa “messo a valore”. Vi spieghiamo di cosa si tratta e vi invitiamo a LEGGERE IN CALCE ALL’ARTICOLO LA DELIBERA DELLA BUFALA

 

CASERTA (g.g.) Nel casotto quotidiano delle notizie che viaggiano sulla rete, ci facciamo anche noi sorprendere in qualche circostanza, pur essendoci data la regola che l’unico tipo di notizia, che la citata rete ha già pubblica e che noi possiamo riprendere è solo quella che racconta fatti di cronaca nera e di cronaca giudiziaria.  Questa licenza è passata tra le maglie strette di una direttiva chiara, proprio nei giorni scorsi quando, come dei pappagalli, ci siamo messi a scrivere anche noi che il Comune di Caserta aveva deciso di alienare, cioè a vendere, a cedere la proprietà di Villa Maria Carolina, cioè dell’area verde maltrattata da questa e dalla precedente amministrazione, contigua ai Campetti della Reggia. In realtà non è così. Ce l’ha fatto notare proprio il sindaco Carlo Marino al quale non pare vero prenderci in castagna, riscontrando in questi casi un nostro sorriso bonario e tutto sommato anche l’apprezzamento di chi, seppur rarissimamente, confuta la nostra tesi, erroneamente esposta. Però a Marino diciamo che questo è stato un errore rappresentato dalla violazione di una direttiva, data dal sottoscritto ai collaboratori di Casertace, di non fare mai i pappagalli con le notizie esterne al perimetro della cronaca nera e giudiziaria. Concedeteci l’atto di immodestia, ma noi non ci fidiamo di nessuno di questi qua che scrivono quando affrontano argomenti che necessitano di una conoscenza seppur sommaria del diritto o che, semplicemente, comportano il grande, immane sforzo di leggersi due o tre paginette di una determina, di un’ordinanza o di un decreto. Cioè di quelle che sono le fonti del diritto amministrativo degli enti locali. Per cui, caro sindaco, diciamo che ti è andata bene perché la delibera che ci hai mandato oggi se ci fosse capitata a tiro sai cosa avremmo fatto? Una cosa semplicissima: l’avremmo letta tutta, ed avendola letta tutta non saremmo mai incorsi nell’errore di confondere, anzi di considerare un tutt’uno l’alienazione e la valorizzazione di un bene che, invece, sono cose diverse.

Ma non tanto diverse, come tu vuoi dare ad intendere. Diverse e basta. Tutti i beni elencati nella delibera di giunta comunale del 12 marzo scorso  stanno dentro ad un documento che, relazionandosi alle norme vigenti, contiene a destra la specificazione, la discriminante che associa ad ognuno di questi beni la procedura dell’alienazione oppure a quella della valorizzazione. Quando abbiamo scritto prima che la differenza non è tanto grande ci riferivamo a un dato facilmente declinabile: l’alienazione è la vendita, il passaggio della proprietà in cambio di un corrispettivo, cioè la modalità con cui il comune di Caserta prova a mettere qualche quattrino nelle sue esangui casse; la valorizzazione non significa che il Comune prende questo bene e lo migliora, lo valorizza ristrutturandolo, compiendovi dei lavori di abbellimento. Pur non vendendolo, o non potendolo vendere, lo mette a valore, cioè lo valorizza: lo fitta, lo loca che non è propriamente la stessa cosa oppure lo dà in concessione d’uso per scopi di carattere pubblico, sociale ad associazioni ed altre formazioni sociali del territorio senza scopi di lucro. Bastava leggere la delibera di marzo per non scrivere sciocchezze, visto e considerato che il terreno su cui insiste Villa Maria Carolina è tra quelli oggetto di valorizzazione e non di alienazione.

Però, Carlo Marino, quando “si messaggia” con il sottoscritto si emoziona un poco, scordandosi che, dopo vent’anni di lavoro, dopo avere avuto a che fare con lui, con la buonanima di Gigi Falco, con Biondi, Giovanni Natale, la buonanima di Piscitelli, Mazzotti, Enzo Ferraro, Angelo Polverino ha perso la sua ingenuità che ogni tanto riaffiora come evocazione ma che di fronte a un messaggio del sindaco di Caserta, deve necessariamente attivare tutte le sue antenne della prevenzione. Il sindaco sostiene che la notizia della vendita di Villa Maria Carolina sia una bufala. E su questo, come abbiamo già scritto, siamo d’accordo con lui. Poi dice che la cosa è evidente in quanto l’alienazione non è prevista nel piano di alienazione e anche questo è vero, al di là di chi ha preso fischi per fiaschi e ha confuso l’alienazione con la valorizzazione.  Poi dice ancora che Villa Maria Carolina non poteva essere alienata perché è ancora di proprietà dell’Agenzia del demanio, visto e considerato che il trasferimento del bene, non è ancora stato formalizzato. Non è assolutamente detto, ma non esiste controprova sul fatto che la dicitura valorizzazione sarebbe stata sostituita dall’altra dicitura “alienazione” nel caso in cui la villa fosse stata a pieno titolo di proprietà del Comune. Vabbe’, non è detto ma la prudenza e la prevenzione con un furbissimo quale Carlo Marino, è atto dovuto.

Ultimo concetto che introduciamo con una domanda: la possibilità di concedere in uso ad un’associazione a condizione che questa attivi iniziative di carattere pubblico e sociale, configura un altro format, diverso da quello del doveroso rapporto lucroso legato alla necessità del Comune di incassare quattrini da questi beni pubblici? In poche parole, l’esercizio di un’attività di valore pubblico e sociale, rappresenta di per se stesso una messa a valore, cioè una valorizzazione del bene, nel caso specifico di Villa Maria Carolina? E qui la riflessione sarebbe ugualmente doverosa, dato che si entra in un meccanismo che non garantisce alcuna certezza rispetto agli standard di valorizzazione del bene, essendo la scelta del Comune legata ad una discrezionalità per effetto della quale una certa attività viene battezzata, certificata come pubblica e sociale quando non lo è e che, invece, consiste anche in attività economiche, di vendita di beni e servizi. Insomma, e non sarebbe la prima volta, reali obiettivi speculativi ammantati da un presunto e discrezionale valore sociale rispetto al quale neppure il vincolo di opzione esercitato solo a favore di associazioni no profit garantisce, come abbiamo dimostrato mille volte, che lì si persegua realmente il no profit.

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