Ciccio ‘e Brezza, le riunioni e i pranzi di famiglia con Michele Zagaria in certe case di S.CIPRIANO

20 Febbraio 2019 - 13:23

SANTA MARIA CAPUA VETERE(g.g.) E’ interessante constatare, da parte di chi, come noi, si occupa delle vicende di sangue e di danari, relative al clan dei casalesi, soprattutto con l’atteggiamento, con l’attitudine e il distacco emotivo dello storico, che non tutto era stato ancora scritto e, forse, non tutto è stato ancora scritto su uno degli omicidi più importanti e più mediatici della storia della camorra casertana: quello di Sebastiano Caterino, il boss di San Cipriano, prima bardelliniano, poi alleato con De Falco. Avvenne il 31 ottobre del 2005, una foto la pubblichiamo ancora oggi a corredo di questo articolo, ma non di quelle più truculente che possediamo nel nostro archivio personale che ci portiamo dietro, dai tempi della direzione del Corriere di Caserta.

Di quell’omicidio, il sottoscritto si è occupato e ha trattato moltissimo, sviluppando cronaca ma anche molti approfondimenti, sia da direttore del Corriere che da fondatore e direttore di CasertaCe. Per cui, abbiamo letto con grande interesse lo stralcio dell’ordinanza che ha riguardato anche l’ex sindaco di Capua Carmine Antropoli,

in cui, indipendentemente dalla posizione di quest’ultimo che alla vicenda specifica non è assolutamente connesso, viene spiegato il motivo per cui una ordinanza di custodia cautelare è applicata oggi, a 14 anni di distanza, da quel duplice delitto in cui rimase ucciso, dopo qualche ora di agonia, anche Della Corte, nipote di Sebastiano Caterino che sedeva al suo fianco nella famosa Golf bianca, blindata ma non a sufficienza per sopportare il micidiale fuoco dei kalashnikov del commando di morte, che operò, in puro stile militare, in pieno giorno, in una zona fortemente urbanizzata e trafficata, com’è quella di via dei Romani, con la vicinissima Statale Appia, con uno dei partecipanti addirittura utilizzato come una sorta vigile urbano per deviare le auto in modo che non entrassero, in quei 30 secondi dell’eccidio, dentro a quell’arteria di Santa Maria Capua Vetere che costeggia il rione Iacp.

Francesco Zagaria, conosciuto nelle zone di Santa Maria Capua Vetere, di Capua e di Santa Maria La Fossa con il soprannome di Ciccio ‘e Brezza, appellativo che lo collega al suo luogo di residenza, nella frazione che insiste trasversalmente nei comuni di Capua e Santa Maria La Fossa, è stato incriminato nella recentissima e appena citata ordinanza, per il concorso in questo omicidio.

Il primo stralcio, che pubblichiamo oggi, fa perno sulle dichiarazioni di alcuni pentiti storici, tutti legati al carro di Michele Zagaria.

Si tratta di Massimiliano Caterino, le cui dichiarazioni pubblichiamo in calce a questo articolo, di Attilio Pellegrino e di Michele Barone. Dichiarazioni esposte, per quel che riguarda Massimiliano Caterino, il 24 settembre 2014, cioè 4 anni e mezzo fa. Il puntello di altre dichiarazioni di collaboratori di giustizia più recenti riscontra, che poi andremo ad esaminare in altri articoli, secondo la tesi dei pubblici ministeri della Dda, Alessandro D’Alessio e Maurizio Giordano, le propalazioni dei proto-collaboratori di giustizia, reduci dalla lunga militanza nel gruppo di “capastorta”.

Di Massimiliano Caterino, è interessante leggere la ricostruzione che fa del ruolo svolto da Ciccio ‘e Brezza in quel delitto. Intanto, il pentito focalizza il rapporto, a suo dire, strettissimo tra l’imprenditore capuano di adozione e la famiglia del boss. Francesco Zagaria si sarebbe incontrato, in più di un’occasione, con Michele Zagaria quando questi era super latitante. Vengono definiti “incontri organizzativi“, dando dunque al ruolo di Ciccio ‘e Brezza una intraneità al clan che prefigura un processo ai sensi di quello che potremmo chiamare un 416 bis doc. Una cosa diversa dunque dal concorso esterno, pure regolata da altri commi di questo articolo del codice penale, e lontana mille miglia dalla “semplice” contestazione dell’articolo 7.

Incontri stabili e frequenti, avvenuti, secondo Massimiliano Caterino, a San Cipriano, a casa di Gennaro Goglia e, particolare non trascurabile, anche a Casapesenna, a casa di Totonno Zagaria, padre di Ciccio ‘e Brezza e dimostrazione vivente di quanto questo imprenditore, pur avendo scelto di risiedere tra Capua e Santa Maria La Fossa, perchè lì aveva sviluppato i suoi interessi economici, rimaneva saldamente legato alla sua origine casapellese, al suo paese che rappresentava il suo vero quartier generale.

Tra questi interessi comuni tra Ciccio ‘e Brezza e Michele Zagaria, c’era quello riguardante un deposito, “tra San Prisco e Santa Maria Capua Vetere“, presumibilmente di materiale edile, di supporto ai cantieri del costruttore.

Il caso aveva voluto che proprio nella zona di questo deposito si intersecassero, molto spesso, quasi quotidianamente, in un certo tempo, i percorsi di Sebastiano Caterino l’evraiuolo. Michele Zagaria, evidentemente dentro e pienamente partecipe dell’organizzazione dell’agguato, chiese a Massimiliano Caterino di riferire ad Antonio Santamaria di Cancello e Arnone, altro personaggio noto del clan, di utilizzare il deposito di Ciccio ‘e Brezza per studiare i movimenti di quella che era diventata una vittima designata. Antonio Santamaria si attirò, però, i rimproveri del boss, visto che compì l’errore di confidarsi, manifestando la sua preoccupazione di questo tipo di azione, con Massimiliano Caterino, il quale, ovviamente, riferì la circostanza a Michele Zagaria.

Quest’ultimo si arrabbiò perchè nel meccanismo dell’organizzazione camorristica, la catena degli ordini, delle direttive, non deve mai diventare oggetto di confronto tra l’una e l’altro anello della catena. Questo, Massimiliano Caterino lo sapeva bene e si limitava a tenere per sè le proprie deduzioni sugli ordini ricevuti. Santamaria, invece, barcollò e non osservò questa regola fondamentale di ogni organizzazione mafiosa e rischiò grosso.

Per quanto riguarda, poi, i rapporti tra la famiglia di Ciccio ‘e Brezza e Michele Zagaria, il pentito ricorda anche che Orlando Zagaria, fratello di Francesco, aveva sposato la cugina diretta di “capastorta”. Precisamente, la figlia della sorella di Raffaella Fontana, madre del boss.

Abbiamo maturato, però, una convinzione che si trasforma in rilievo, nell’unico rilievo (e abbiate pazienza, su questo omicidio potremmo veramente scrivere un libro per quanto ce ne siamo occupati al Corriere di Caserta e a CasertaCe) sulla ricostruzione dei fatti operata da Massimiliano Caterino. Questi afferma che la soppressione dell’evraiuolo era andata a saldare un conto antico, risalente addirittura all’inizio degli anni 90, quando l’evraiuolo, killer professionista e spietato, aveva ucciso a Villa Literno, Gennaro Licenza e Giovanni Sagliano, proprio in nome del cartello appena costituito, post mortem di Antonio Bardellino, con Nunzio De Falco, detto il lupo.

Ora, può anche darsi che la storiografia e l’annuario del clan avessero indotto Michele Zagaria a parlare con i suoi a cose fatte, in via dei Romani, di questo delitto risalente a quasi 15 anni prima. Ciò è successo probabilmente perchè Michele Zagaria, e i suoi uomini, a partire proprio da Massimiliano Caterino, non erano dentro agli affari e all’organizzazione della criminalità sulle attività storiche e ordinarie, cioè delle estorsioni e della droga, nella piazza di Santa Maria Capua Vetere.

Questi erano aspetti e campi di azione che riguardavano gli Schiavone. Non è un caso che il vero motore dell’omicidio di Sebastiano Caterino fu Vincenzo Schiavone detto o’petillo. Quest’ultimo era molto sensibile, anche per effetto di una relazione personale, diciamo così, di amicizia, con Sonia Del Gaudio Bellagiò, rispetto all’attività che Sebastiano Caterino stava svolgendo a Santa Maria Capua Vetere, allo scopo di conquistare spazi significativi, sia sul fronte delle estorsioni che della droga, storicamente nelle mani della famiglia Del Gaudio Bellagiò, antica e fedele cinghia di trasmissione del clan dei casalesi, propriamente detto.

Su questo giornale avete letto più volte, le ricostruzioni, provenienti da altre ordinanze, sui fatti criminali che connotarono quella che diventò una guerra guerreggiata tra gli uomini di Sebastiano Caterino, cioè Mastroianni, Fava e compagnia, e i Bellagiò. Pestaggi, agguati, colpi di pistola, con la zona Iacp in cui, non a caso, l’evraiuolo si era stabilito, andando a sfidare i Del Gaudio nel loro antico feudo, trasformata in un autentico far west.

Per cui, l’omicidio dell’evraiuolo, anche temporalmente, anzi, soprattutto temporalmente, fu l’ultimo capitolo, strettamente collegata a quella che si era configurata come una vera e propria faida.

Ecco, probabilmente Massimiliano Caterino non è stato mai precisamente informato di questa attività. E d’altronde, nel momento in cui gli Schiavone chiesero a Michele Zagaria di contribuire organizzativamente all’agguato, non è che quest’ultimo e i suoi principali riferimenti si mettessero a far domande sui motivi.

Insomma, stralci interessanti che aiutano a completare il quadro di ricostruzione di quell’agguato, che fu una delle pietre miliari dell’attività che un clan dei casalesi, già affannato e braccato dalle indagini della Dda e dalle attività di carabinieri, polizia e guardia di finanza, piantò nel territorio della provincia, per ri-attestare il suo potere e il suo dominio indiscussi.

 

QUI SOTTO IL TESTO INTEGRALE DELL’ORDINANZA CON LE DICHIARAZIONI DI MASSIMILIANO CATERINO