“Cocktail Felicori” e soldo coatto: il mercimonio della Reggia di CASERTA raccontato dal professor Montanari

12 Novembre 2018 - 18:49

CASERTA – È motivo di orgoglio, per il nostro giornale, che una voce autorevole come quella di Tomaso Montanari finisca per sovrapporsi a quella di Casertace rispetto all’operato dell’ormai ex direttore della Reggia di Caserta, Mauro Felicori.

In un articolo pubblicato oggi da “Il Fatto Quotidiano”, il noto storico dell’arte ha di fatto sposato, probabilmente in maniera involontaria, le tesi negli anni esposte da Casertace, specialmente negli articoli sempre circostanziati del nostro collaboratore Pasquale Manzo.

Riportiamo alcuni stralci del Montanari-pensiero:

Mauro Felicori santo subito. L’ex direttore dei Cimiteri comunali di Bologna proiettato dalla riforma dei musei del suo conterraneo Dario Franceschini alla guida della Reggia di Caserta è un eroe nazionale. (…) L’argomento su cui si fonda questo entusiasmo è il numero dei visitatori: raddoppiato, insieme agli incassi (non record assoluti, sia chiaro: numeri vicini ai risultati della fine degli anni ’90). E poi c’è il confronto con l’abbandono disastroso della Reggia negli ultimi decenni: un abisso di fronte al quale ogni alternativa sembra un capolavoro.

(…) Felicori non è uno storico dell’arte, né un architetto, ma un laureato in filosofia specializzato nel marketing culturale. Il risultato è che mentre egli lanciava il “cocktail Felicori” (sic), una ispezione del Ministero per i Beni Culturali, inviata dopo il crollo di un pezzo di soffitto nella Sala delle Dame che solo per miracolo non ha avuto conseguenze tragiche, rilevava “omissioni e manchevolezze da parte del direttore sia per quanto riguarda la sicurezza dei lavoratori e dei visitatori, sia per quel che concerne la salvaguardia e la conservazione del bene culturale”. Nessuna valutazione dei rischi, nessun monitoraggio delle zone degradate, nessuna predisposizione di interventi di manutenzione ordinaria, mancata chiusura al pubblico delle parti pericolose del monumento: cioè nessuna tutela né della Reggia né dei visitatori.

(…) L’altra faccia della mancata tutela è la valorizzazione ultra-commerciale della Reggia, divenuta location per matrimoni danarosi (famosa la foto del decoratore floreale a cavalcioni di uno dei leoni dello Scalone monumentale), set per pubblicità (Carpisa che dissemina il parco di pannelli pubblicitari con Penelope Cruz che ne sfoggia le borse, Fiat e Lamborghini che ci espongono le auto…) e per gare di canottaggio nei bacini monumentali, o perfino grande schermo per proiezioni pubblicitarie, come quella con cui la Thun ha ridotto la facciata di Vanvitelli a grande torta di compleanno, e a fondale su cui far scorrazzare i suoi orsacchiotti giganti.

Felicori è fierissimo di aver trasformato la Reggia in un brand: per pasta, borse, amaro e altri prodotti (non importa se del territorio) cui ha ceduto per anni l’uso esclusivo del nome del monumento.

(…) In tutto ciò, zero ricerca e zero divulgazione culturale: così che, sotto il travestimento popolare, la Reggia è diventata il simbolo di una visione classista e antidemocratica del patrimonio culturale. Perché è evidente che la trasformazione di un monumento in un supermercato nega la possibilità stessa di una cultura di massa, ed implica che al popolo non si possa che ammannire un prodotto commerciale.