ELEZIONI POLITICHE. Enrico Letta “accopperebbe” volentieri Gennaro Oliviero, ma (forse) non può. Tutte le partite dei collegi con Graziano, la Sgambato e…..

31 Luglio 2022 - 13:58

Il presidente del Consiglio regionale è sostenuto dalle firme di sindaci e consiglieri di 42 Comuni. Il segretario nazionale ha dimenticato certe fotografie della Leopolda quando Graziano e la Picierno si spellavano le mani per Luca Lotti e Matteo Renzi, che aveva cacciato con un “sereno”, calcio in culo il Letta da Palazzo Chigi

 

 

CASERTA (Gianluigi Guarino) – Milanesi e brianzoli non sono “razza eletta,” per carità. Se proprio la vogliamo mettere sul terreno dei talenti, della creatività che sa essere anche leggerezza, è il meridionale a dare, purtroppo solo figurativamente, la paga al lombardo.

Fatta la premessa, va detto che non c’è, invece e purtroppo, partita sul terreno della cultura del lavoro, di un lavoro inteso come sforzo duro, come sacrificio quotidiano in grado di costituirsi come unico strumento finalizzabile al raggiungimento del benessere individuale e familiare.

Quando un meridionale porta il suo etnos in Brianza, deve necessariamente, se vuole vivere bene da quelle parti, soccombere in un primo tempo a quella peculiare cultura del lavoro, ma poi, di solito, integrandosi, tira fuori dalla taschino l’estro etnico che gli consente di  prevale, innestando una o due marce in più.

Non crediamo che la decisione di Enrico Letta di nominare un brianzolo alla carica di commissario provinciale del Pd evochi qualche suggestione etnica.

Non lo crediamo, anche perché, già in passato, è stato dimostrato, che la “Roma ladrona”, nel caso di specie,  citando una canzone del romano doc, Luca Barbarossa, “Roma puttana” che, in questa nostra narrazione, fa il paio con  la  definizione  di colui che , al tempo, era ancora l’ ancestrale ed efficacissimo Umberto Bossi, ha dimostrato di essere in grado di fiaccare, rammollire e corrompere, comprimendola, fino ad annullarla,  ogni ruvidezza degli Attila,  dei Torquemada dell’età contemporanea, soggiogando la loro virilità di incorruttibili in qualche soffice giaciglio più o meno lascivo in cui fare stimolare ben altre  umane e prosaiche passioni.

Quello che tanti anni fa successe ad Umberto Bossi rappresentò la chirurgica vendetta della storia, nemesi assoluta: un coccolone da cui il Senatur non si è mai più ripreso, tentando invano di dimostrare la prevalenza della Lega “che ce l’ha duro” di fronte all’antico portato dell‘ars amatoria di una copiosa soubrette, la quale, altro che ce l’ho duro, vieni un poco qua che ti spedisco in terapia intensiva. Quando un lombardo, evidentemente trapiantatissimo nella Roma ladrona è stato scelto per guidare, da commissario, il Pd di Caserta, è andata malissimo: Franco Mirabelli ha sposato, infatti, appoggiato, assecondato tutto il peggio delle strutture e degli interpreti di una politica arretrata, profondamente radicata nella peggiore tradizione del trasformismo, che ha consegnato il Sud ad un destino di minorità, perché chi oggi, è trasformista, esattamente come lo erano i notabili meridionali di 120 anni fa, vuol dire che non pensa al popolo, ma esclusivamente ai cazzi suoi. Mirabelli è milanese, Matteo Mauri, commissario provinciale del pd, nonchè vice ministro degli interni, è brianzolo. Dovrebbe rimanere solo per le elezioni e dunque per un periodo brevissimo.
Sulla carta, dunque, anche se fosse uno “alla Mirabelli”, non avrebbe molto tempo per seminar danni. Ma siccome, quando il Pd nomina un commissario a Caserta o in Campania, ciò è servito, fino ad oggi, solo per fare il “lavoro sporco”, per attivare, su mandato dei segretari nazionali, operazioni (rimarrà consegnata alla storia del più disonorevole esercizio della politica quella che consegnò la città di Marcianise ad Antonello Velardi, con lo statuto del partito letteralmente cestinato dalla coppia Renzi-Mirabelli) che la temporaneità e la caducità tecnico temporale dell’incarico metteranno al riparo dal pericolo di doverne rendere conto in qualche modo, meglio diffidare o quanto meno impegnarsi ad una lettura attenta, approfondita, finanche speculativa, del suo agire.
Nel 2018, a Caserta fu imposta manu militari, la candidatura di Piero De Luca da Salerno, figlio del governatore della Campania Vincenzo De Luca. In un collegio, considerato assicurato dallo tsunami grillino, Piero De Luca, perdente e surclassato nell’uninominale di Salerno da un anonimo candidato di Cinque Stelle, riuscì a strappare l’elezione grazie , per uno scarto inferiore ai duemila voti, che poi furono quelli che il pd raccolse, fissando la sua percentuale al  12 e passa per cento nei Comuni ricompresi nel collegio maggioritario di Sessa Aurunca che dove i Democratici andarono sopra alla media provinciale, visto e considerato che negli altri due collegi, il pd aveva riportato, in uno l’8% e nell’altro il 10%.

In quell’area territoriale Gennaro Oliviero accettò di sacrificarsi candidandosi all’uninominale maggioritario raggiungendo quale rappresentante della coalizione del centro sinistra la quota del 27%.

In questi giorni, si è parlato di una possibile candidatura a capolista del proporzionale Caserta più Benevento, di una tal Cecilia D’Elia, che, stavolta, c’è voluto un uso intensivo ed estremo di Google per capire chi diavolo fosse e, dunque, per  identificarla in colei che è stata eletta un anno fa alle Suppletive di Roma Centro, quando, con un’affluenza prossima allo zero, la D’Elia prevalse nettamente, con numeri assoluti che la citata affluenza-0 aveva trasformato in una elezione di un amministratore di condominio, sul rivale (si fa per dire) del centrodestra, conquistando il seggio lasciato libero da Gualtieri, divenuto nel frattempo sindaco di Roma.
La D’Elia si candiderebbe anche nel maggioritario a Civitavecchia in un collegio che il centrosinistra, con ogni probabilità, perderà.  Per cui, come capitò per Piero De Luca, Caserta sarebbe ancora una volta refugium peccatorum o, ricorrendo ad una metafora in antitesi, una sorta di garconnière. Si tratta di una indiscrezione. Aspettiamo, allora, due o tre giorni, prima di saltare alla gola di Enrico Letta e a quella dell’ascaro di occasione spedito a Caserta, va beh, diciamo plenipotenziario, questi dicono di essere di sinistra, va a finire che chiamandoli ascari avendo un sussulto di reminiscenza della Storia contemporanea si offendono.
Al di là delle chiacchiere e delle anticipazioni fantasiosissime di queste ultime ore, è assolutamente inutile formulare previsioni sui tre collegi maggioritari, due della Camera e uno per Senato (il quarto, comprendente Piedimonte Caiazzo e dintorni, sarà monopolizzato dai candidati beneventan sanniti) fino a quando non si capirà se Renzi e Calenda aderiranno alla coalizione di centrosinistra e poi fino a quando non sarà operata una divisione, prima  nazionale  e poi regionale, dei collegi tra la lista Pd-Progressisti e quelle centriste, qualora queste stipulassero l’accordo con il pd.

Al momento, l’unica cosa di cui si può parlare con qualche elemento di solidità cognitiva è costituita dalle prospettive dei listini plurinominali per l’elezione della quota proporzionale.  Dunque, si può parlare e scrivere delle tre note ambizioni espresse dal presidente del Consiglio regionale Gennaro Oliviero, dell’ex parlamentare ed ex consigliere regionale Stefano Graziano e dall’ex deputata di Santa Maria Capua Vetere,  Camilla Sgambato.

Poi c’è anche un’altra cosa che si può dire: se Enrico Letta se lo potesse permettere, non trovandosi nella condizione difficile in cui si trova anche in Campania, in questa campagna elettorale, “accopperebbe” volentieri Oliviero e Del Basso De Caro, rei di non aver consentito che un nuovo sol dell’avvenire dirigesse la rotta del Pd campano, ridotto invece a un destino oscurantista dal mancato avvento alla segreteria regionale di Stefano Graziano (ma questo qua non si spellava le mani alla Leopolda, soprattutto a quella del 2015,  insieme alla Picierno, inneggiando a Renzi, che un paio di annetti prima aveva, serenamente però, sodomizzato, insieme a Luca Lotti e compagnia, Enrico Letta?) .
Ma probabilmente il segretario nazionale, che deve andare a caccia anche dell’ultimo voto e che non può perdere pezzi di gente molto radicata nei territori,  non se lo potrà permettere considerando anche il disastro che De Luca, non per capriccio però stavolta, ma a difesa di interessi economici, che i lettori di CasertaCe ben conoscono,  sta compiendo nella vertenza con le migliaia di allevatori aversani, mazzonari e castellani.

È chiaro che Oliviero e Del Basso De Caro potrebbero entrare in concorrenza per il posto di capolista Pd alla Camera. Lì, solo un ribaltone d’autorità di Enrico Letta  potrà far si gli  appena citati Oliviero e Del Basso De Caro siano scavalcati da Stefano Graziano, che chiede, eventualmente il Senato, pur sapendo che lì ci sono in ballo anche le istanze e le ambizioni degli esponenti del partito in quel  di Salerno, di Avellino e, ancora una volta, di Benevento.

Insomma, occorrerà una cooptazione: Letta dovrà farsi carico di una candidatura anche extra Campania se proprio avverte la necessità di avere al suo fianco l’ex folliniano ed ex renziano Stefano Graziano.
Situazione in evoluzione ora per ora e, tra qualche giorno anche munto per minuto.  Ma al momento, questo è.

Tutto il resto sono chiacchiere per inchiostrare la carta e per appesantire il lavoro dei server.