ESCLUSIVA. Punto per punto ecco i motivi per cui la Cassazione ha annullato con rinvio l’ordinanza di custodia cautelare ai danni di Carmine Antropoli

20 Luglio 2019 - 08:00

CAPUA (g.g.) – Finalmente possiamo ragionare sulla vicenda giudiziaria, che ha coinvolto l’ex sindaco di Capua Carmine Antropoli, partendo dalla solidissima, consistente evidenza di tesi esposte dai giudici della legittimità, dai giudici della corte di Cassazione, massima espressione delle potestà incaricate di interpretare il diritto e dunque di sindacare anche le sue applicazioni, da parte di altri organismi della giurisdizione di rango inferiore, quando queste sono considerate troppo generiche ed approssimative.

Partiamo dal punto più importante: la contestazione del reato più grave, cioè del concorso esterno in associazione a delinquere di stampo camorristico compiuto insieme ad altri soggetti, a partire da Francesco Zagaria, detto Ciccio ‘e Brezza.

Entreremo nel merito della valutazione testuale tra pochissimo. In linea di principio ed esprimendo in sintesi la stessa la Cassazione annulla l’ordinanza, ritenendo non valida l’accusa ai sensi del 416 bis, associando le dichiarazioni definite “vaghe e indeterminate” dei collaboratori di giustizia, definendo quell’espressione ormai rituale del politico “a disposizione”, un’espressione assimilabile ad una semplice “vox

populi” che, essendo tale, può rappresentare, aggiungiamo noi,  un tema legato alla considerazione di moralità di una persona sul terreno di una chiacchiera di piazza, di una conversazione privata, di un punto di vista informato da una percezione, da una propria valutazione di sensibilità ma che non può essere certo sufficiente per costruire un’accusa tanto grave e tanto onerosa per le prospettive esistenziali di una persona.

E’ l’indeterminatezza il leit motiv delle motivazioni, addotte dalla corte di Cassazione, per contestare la decisione del tribunale del Riesame di considerare validi gli elementi costitutivi del reato di concorso esterno.

[…]le carenze palesate dai consulenti del Pubblico Ministero in relazione ad “alcune” procedure d’appalto potranno essere addebitate ad Antropoli laddove si dimostri – anche per via indiziaria – un interessamento di quest’ultimo sulla procedura, finalizzato a distorcere il regolare dipanarsi della vicenda amministrativa. Non può presumersi una responsabilità del sindaco sulla base della carica rivestita.

Le procedure d’appalto di cui la Cassazione tratta sono fondamentalmente tre: i lavori svolti alla stazione ferroviaria, l’interesse di Alessandro Zagaria, recentemente condannato in primo grado, ma con l’esclusione di tutte le interrelazioni di intraneità e anche semplice contiguità al clan dei Casalesi, per appalti di servizi mensa dell’Università e di un istituto scolastico e infine un altro appalto non meglio specificato assegnato alla Effezeta di Francesco Zagaria nel 2010.

Cosa dice in sostanza la Cassazione. Dice che si accontenterebbe anche di semplici indizi che, evidentemente, aggiungiamo ancora noi, non esistono, sulla circostanza di un “interessamento evidente” del sindaco Antropoli sulle procedure, con l’obiettivo di distorcere l’attività amministrativa. Ma siccome questi indizi non ci sono, osserva sempre la Cassazione, non può bastare la circostanza, la semplice e sommaria adozione di quella “deduzione logica”, del cui uso e del cui abuso, che molto fece parlare e polemizzare ai tempi di tangentopoli, il sillogismo in automatico che fa materializzare questo intervento solo in base al fatto che uno (nel caso specifico Antropoli) svolga la funzione di sindaco.

L’ultimo elemento che andiamo a sottolineare rispetto ad un testo che pubblichiamo integralmente in questo articolo, riguarda l’azione, considerata dal Gip e dal tribunale del Riesame, importante e dirimente compiuta da Antropoli che sollecitò il riaffidamento dei lavori alla Effezeta dopo l’annullamento dell’interdittiva antimafia da parte del TAR. In effetti, a pensarci bene, la Cassazione ha ragione anche sul piano della logica spicciola. Se un’impresa che ha vinto una gara, che ha subito un provvedimento interdittivo e che poi è riuscita ad ottenere l’annullamento dello stesso da parte di un tribunale della repubblica italiana (il Tar), il sindaco, al di là del processo alle intenzioni che fa parte del chiacchiericcio e delle intime conclusioni maturate in ognuno di noi, non può far altro che sollecitare la procedura, dato che in caso contrario, può essere denunciato dall’impresa o addirittura indagato dall’autorità giudiziaria per il reato di abuso d’ufficio. Questo particolare, cioè quello relativo alla piena ipotizzabilità dell’abuso d’ufficio, lo aggiungiamo noi, visto che la Cassazione ne scrive in maniera più scarna ma sovrapponendosi totalmente al concetto appena espresso.

“Il Tribunale del Riesame – scrivono testualmente gli ermellini romaninon nega che Antropoli sollecitò il riaffidamento dei lavori alla Effezeta srl dopo l’annullamento dell’interdittiva antimafia da parte del TAR, e tuttavia ha omesso di confrontarsi con la specifica deduzione difensiva, secondo cui si trattò di intervento obbligato, mosso dalla necessità di evitare responsabilità personali o economiche per il Comune

E questo, aggiungiamo ancora noi, chiudendo il primo articolo che abbiamo dedicato al caso Antropoli così come è stato valutato in Cassazione, non depone benissimo sulla serenità di un organo della giurisdizione che, essendo un tribunale, dovrebbe essere strutturalmente terzo, partendo dagli stessi presupposti che hanno indotto i giudici di terzo grado ad annullare con rinvio ad altra sezione dello stesso Riesame, il fascicolo relativo al titolo cautelare applicato da più di 5 mesi, prima col carcere e ora con i domiciliari fuori regione, nei confronti di Carmine Antropoli.

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