Gli affari dei fratelli Schiavone o monaciello e o trick nella centrale termoelettrica di SPARANISE. Il controllo assoluto dei subappalti Enel, le minacce a Giovanni Fiocco e la quasi colluttazione con tagliacarte

12 Luglio 2022 - 14:38

In un primo tempo volevamo essere molto più sintetici sulle dichiarazioni di questo imprenditore di Sparanise. Leggendole bene però ci siamo accorti che queste sono iimportanti, oltre che per la vicenda specifica, per la storia riguardante i Fiocco e gli Schiavone anche in quanto archetipo di modalità che negli anni 90 e nei primi 2000 hanno rappresentato la magna pars del Pil dell’intera provincia di Caserta

 

 

SPARANISE/CASAL DI PRINCIPE(g.g.) Giovanni Fiocco è un imprenditore di Sparanise, protagonista di una vicenda che riguarda, in maniera peculiare, la sua famiglia nel rapporto con Vincenzo Schiavone o trick, fratello di Nicola Schiavone senior e dunque personaggio centrale dell’ormai famosa ordinanza che all’inizio di maggio ha portato all’arresto di entrambi, in detenzione domiciliare, con il tribunale del Riesame che ha confermato la misura per i reati contestati di corruzione ed altri ancora, escludendo però il 416 bis, cioè la partecipazione alla consorteria denominata clan dei casalesi.

Allo stesso tempo, però, Giovanni Fiocco è un valido esempio, se non addirittura archetipo, di una significativa fetta dell’imprenditoria casertana che ha svolto le proprie attività grazie ad una intesa, più o meno coartata, con il citato clan dei casalesi.

Peraltro, il teatro in cui Giovanni Fiocco e la sua famiglia hanno agito, rafforza questo dato di emblematicità. La Edilfiocco, infatti, è subappaltataria di lavori da realizzare e poi forse effettivamente realizzati, presso i cantieri della nota, quanto famigerata centrale termoelettrica di Sparanise, intorno alla quale, a partire da noi, sono state realizzate narrazioni corposissime e finalizzate a mettere in evidenza i rapporti molto discutibili, equivoci, obliqui, tra l’organizzazione criminale più potente della provincia di Caserta e della Campania e il mondo della politica che attorno a quella centrale termoelettrica aveva anche costruito molte sue attese di tipo economico-clientelare.

Ma se Giovanni Fiocco e la sua Edilfiocco sono subappaltatari di opere inserite nel progetto di costruzione e di messa in opera della centrale termoelettrica, chi era la società appaltante? Era l’Enel. Se scrivi Enel pensi immediatamente ad una delle aziende di stato più importanti della storia d’Italia e pensi anche, nel momento in cui in questa storia si inserisce pesantemente la figura di Vincenzo Schiavone detto o trick che Enel è un pò come Rete Ferroviaria Italiana, braccio operativo di Trenitalia che un tempo si chiamava Ferrovie dello Stato.

Insomma, il racconto molto articolato, esposto in più occasioni, dal 2013 fino al 2020 da Giovanni Fiocco al cospetto dei magistrati della Dda e dei carabinieri del Nucleo Investigativo di Caserta, puntella ulteriormente l’idea che ci siamo fatti e che sicuramente si è fatto chiunque abbia letto o stia leggendo l’ordinanza in questione con la stessa applicazione analitica, quasi sillabica, con cui la stiamo leggendo noi, che Vincenzo Schiavone, ma soprattutto suo fratello Nicola Schiavone o monaciello, hanno rappresentato, con ogni probabilità, a nostro avviso, al di là i quello che l’autorità giudiziaria ha poi realizzato nei loro confronti, al di là di quello che i tribunali hanno sentenziato nel momento in cui, dopo un significativo periodo di latitanza, assolsero Nicola Schiavone monaciello ad epilogo del maxi processo Spartacus, che invece terminò con la condanna tre anni di suo fratello Vincenzo, la punta avanzata del clan dei casalesi nei grandi processi dell’economia di stato del nostro paese.

La forza imprenditoriale, la capacità di inserirsi in molte partite altamente lucrose, mostrate da Michele Zagaria, da suo fratello Pasquale, rappresentano, senza stare lì ad utilizzare il pallottoliere degli euro guadagnati, un fatto comunque minore rispetto alla capacità dei due Schiavone, di Nicola soprattutto, di entrare, sin dall’inizio degli anni 2000, in tutte le stanze che contano nelle maggiori aziende di stato di quelli che dovrebbero essere i gioielli inanienabili del nostro paese, cioè i binari, i fili elettrici che fanno funzionare i treni, tutti  i cantieri attivi a partire da quelli della Tav, tutto il sistema elettrico della sua porzione legata all’elettricità industriale, alla elettricità energetica.

Sembra un’affermazione esagerata come elemento definitorio dell’esperienza criminale di Nicola Schiavone senior e di suo fratello. Ma se leggete bene il racconto di colui, stiamo parlando di Giovanni Fiocco, che comunque è un imprenditore di provincia, di periferia rispetto a queste grandi, enormi partite, vi accorgerete che probabilmente quella che lui fa emergere è solamente una goccia nell’oceano, in un oceano di subappalti più o meno frazionati rappresentativi, probabilmente, del 50 o addirittura di più del 50% del pil della provincia di Caserta negli anni 90, e nei primi anni di questo secolo.

Perchè se c’era un Giovanni Fiocco con la sua ditta individuale prima e poi con la sua società COMET ad essere selezionata come subappaltataria dall’Enel, quand’anche attraverso il filtro della Bets con sede ad Aversa la quale a ausa volta, dopo il processo Spartacus aveva acquisito un ramo d’azienda della Eureka controllata dagli Schiavone ma soprattutto titolare di diversi subappalti primari dell’Enel, in quanto ciò era reso possibile dalle entrature dirette o indirette  dei fratelli Schiavone, all’interno dell’azienda di stato, allora lo stesso sarà sicuramente capitato con altee 10, 100 e forse mille aziende di piccola o media dimensione.

Abbiamo scritto questa cosa perchè quando si scrive dell’economia controllata dalla criminalità organizzata, si è portati a pensare che si tratti di una frase ad effetto, buttata lí per impressionare.

Tale rimane, parliamo dell’impressione, se il lettore non si accudisce con degli esempi pratici, concreti, comprensibili da tutti. i contenuti degli interrogatori di Giovanni Fiocco appartengono dunque, oltre che ad una necessità di indagine riguardante uno o più fatti comunque specifici, declina, esemplifica un sistema che moltiplicato per 100, per mille, per 10mila e 100mila, diventava un fondamentale di macroeconomia, dunque pil, reddito, occupazione eccetera eccetera.

La verbalizzazione degli interrogatori di Giovanni Fiocco è molto chiara e vi consigliamo di leggerla per acquisire anche cognizione di molti dettagli su cui sarebbe troppo lungo soffermarsi in questo articolo. In pratica, Vincenzo Schiavone che aveva garantito i subappalti a Giovanni Fiocco, riteneva di essere in condizione di chiedergli prima e poi in pratica di ordinargli di rilevare, con la sua COMET srl, un’altra società, la SARET srl, costituita addirittura negli anni 70 e con sede a Quarto, in provincia di Napoli. In pratica, Nicola e Vincenzo Schiavone avevano bisogno di una testa di legno in modo da utilizzare questa società per tutta una serie di operazioni, che attenevano anche e soprattutto al proprio benessere personale, al proprio tenore di vita.

Grazie alla COMET, racconta Fiocco, la SARET fatturò un milione e mezzo di euro che furono letteralmente polverizzati da acquisti d’auto, ovviamente non certo utilitarie, e prelievi compulsivi dal bancomat. In questa società, Fiocco aveva coinvolto anche suo figlio Andrea. E questo gli provocava una grande preoccupazione, sapendo bene chi fossero Vincenzo e Nicola Schiavone e di quale clan camorristico rappresentassero il riferimento.

Quel suo primo tentativo di resistere alla richiesta fattagli da Vincenzo Schiavone e stroncato dalla minaccia, formulata da quest’ultimo, di tagliargli i viveri, cioè di fargli perdere i subappalti dell’Enel, si trasforma comunque i un’attività che Fiocco svolge per proteggere, prima di tutto suo figlio.

Contatta un altro imprenditore Aniello Pappacena che gli risultava avesse resistito e denunciato esponenti del clan Alfieri Galasso e gli chiede di entrare dentro a COMET in modo da far uscire fuori suo figlio. Ovviamente questo non piace a Vincenzo Schiavone che apostrofa duramente Fiocco. Successivamente, gli Schiavone individuano un soggetto, un tal Matteo Bignotti di Brescia, che o trick definisce come un suo amico, quale acquirente del 65% delle quote di SARET.

A quel punto Fiocco spinge perchè l’operazione si faccia sul 100% delle quote. E lì Schiavone monta su tutte le furie. Secondo il racconto dell’imprenditore di Sparanise, o trick si reca nel suo ufficio e lo minaccia evidenziando quelle che sono le sue relazioni di tipo camorristico. Addirittura si rischia lo scontro fisico. Un impiegato di Fiocco è  talmente terrorizzato da scoppiare a piangere, ma siccome di mezzo c’è il futuro dei propri figli, Fiocco prende coraggio e fronteggia Vincenzo Schiavone che a un certo punto, esplicitando l’ultima minaccia, dicendo a Fiocco che quel suo atteggiamento non rimarrà senza conseguenze, lascia l’ufficio.

Solo successivamente Fiocco si accorge di aver impugnato un tagliacarte di cui probabilmente Schiavone aveva avuto timore.

E le ritorsioni arrivano. Per evitare quelle fisiche, Giovanni Fiocco si rifugia per diversi giorni a Sarno presso l’abitazione del citato Aniello Pappacena. Per lui, però, si prospettano tempi duri. L’Enel, e questo dimostra che per certe cose questa azienda poteva essere eterodiretta dal clan dei casalesi, gli toglie o non gli conferma i contratti di subappalto e mentre la Sogert finisce la sua vita normalmente, dato che era stata utilizzata solo per operazioni farlocche, per le fatture false sui negozi commerciali dei fratelli Schiavone, fallisce, la stessa fine la fa anche COMET, a cui il clan dei casalesi ha tagliato i viveri.

Per la Sogert, però, il tribunale fallimentare di Napoli individua in Giovanni Fiocco e in suo figlio Andrea, che avevano ricoperto incarichi amministrativi, responsabili patrimoniali che poi diventano possibili responsabili penali, con la conseguenza, così raccontata dall’imprenditore di Sparanise che Giovanni Fiocco e suo figlio Andrea finiscono davanti ad un giudice dello stesso tribunale partenopeo, per quel fallimento che passa per bancarotta e che sin da allora Giovanni Fiocco racconta come frutto di una serie di operazioni che lui non aveva la possibilità di governare, dato che gli Schiavone controllava tutto in forza di quella costrizione, divenuta poi capo di imputazione provvisorio per Vincenzo Schiavone, indagato dal capo 4 fino al capo 10 dell’ordinanza per diversi reati a partire da quello dell’estorsione ai sensi dell’articolo 629, proseguendo con la minaccia ai sensi dell’articolo 610, ancora l’estorsione, reiteratamente contestata nei capi 7, 8, 9 e 10.

La contestazione è fatta anche a Claudio Puocci, altro super fiduciario degli schiavone, citato in quanto amministratore della ITEP cioè la società attraverso cu utilizzando come mera testa di legno il nome di Puocci, Vincenzo Schiavone collaborava in partnership con la Valtellina spa, impresa importante e soprattutto affidabile per gli Schiavone se è vero com’è vero chela grande torta dei subappalti Enel in tutta la Campania, aveva visto partecipare la Valtellina spa quale catalizzatore di affidamenti in tutta la zona sud della campania, mentre i subappalti nella zona nord della Campania erano controllati da SIEP, gemmazione della ex Alba 90, amministrata da un tale Iannone, che diventò la prima interlocutrice dell’Enel dopo il necessario passo indietro, effetto Spartacus, di Eureka.

Nel corposo stralcio dell’ordinanza, della Tecno system che Fiocco, con quello che è un evidente lapsus, chiama Tecno Smart, Soigea srl, altra subappaltatrice dell’Enel e si parla anche di una Fiat 600 che la signora Carmela Baldi, cognata di Vincenzo Schiavone e quindi presumibilmente sorella di sua moglie Tiziana Baldi. Carmela Baldi, diciamo così, in mezzo alla confusione, nel tourbillon degli acquisiti di auto di lusso, e di altri beni voluttuari, operati da suo cognato Vincenzo Schiavone e dal fratello di quest’ultimo Nicola Schiavone, riuscì ad infilarsi e secondo il racconto di Fiocco, riuscì, chissà come, ad “intestarsi una Fiat 600 che era di proprietà” proprio di questa Saret, vero e proprio emporio delle famiglie Schiavone-Baldi.

 

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