Il capo della Dda Borrelli: “Abbiamo indagato su un politico, ma un meccanismo costrinse la Procura di Napoli a chiudere con l’archiviazione”
28 Giugno 2019 - 18:55
CASERTA (gianluig.) – Il 3 febbraio scorso, tra le tante cose che a CasertaCe sfuggono, perché purtroppo al servizio dei nostri obiettivi occorrerebbe una struttura quadrupla, rispetto a quella su cui possiamo contare, ce ne fu una molto importante, relativa a una dichiarazione che il procuratore della Repubblica aggiunto di Napoli nonché coordinatore della Dda, Giuseppe Borrelli, formulò nel corso di un convegno organizzato a Vitulazio su “Legalità e Democrazia”.
Il rimpianto si è attivato nel momento in cui, stamattina, girovagando nella rete, ci siamo imbattuti in un articolo scritto dalla collega Alessandra Tommasino sul sito Ireporters. All’interno abbiamo letto testualmente questa affermazione-narrazione di Borrelli:
“Qualche tempo fa facemmo un’indagine ed un collega venne da me e mi disse che avremmo dovuto fare una perquisizione ad un uomo politico, c’erano gli elementi per poter fare una perquisizione che è un atto d’indagine e così stabilimmo di procedere e di trarre poi velocemente le nostre conclusioni. Facemmo la perquisizione, ma questa ebbe una risonanza nazionale. Poco dopo, intervistato da un organo d’informazione nazionale, dovetti sottolineare che stavamo sviluppando doverosamente delle attività investigative, ma che le indagini si fanno non solo per dimostrare che uno è colpevole, ma anche per dimostrare che uno è innocente, la conclusione delle indagini non è una conclusione necessitata. Eppure non ci fu niente da fare, il meccanismo speculativo che si scatenò dopo questo atto investigativo non fu dominabile nemmeno da parte della stessa
Nel periodo in cui Borrelli ha svolto la funzione di coordinatore della Dda che lo vede ancora in carica, si è verificato, a quanto noi ricordiamo, un solo caso di politico di grido sottoposto ad un’indagine della Direzione antimafia.
Siccome il nostro ricordo sarà pure autorevole, ma non incrocia lo standard minimo per la pubblicabilità di un nome, ci comportiamo come fanno i magistrati dell’accusa e come si comportano i Gip quando incontrano il problema di dover mantenere segreta l’identità di una persona citata da un pentito, oppure oggetto di un accertamento di polizia giudiziaria e che entra in ballo incidentalmente quando l’autorità giudiziaria ha ancora la necessità di realizzare altre indagini su argomenti diversi da quelli dell’ordinanza: il politico a cui si riferisce Borrelli è omissis.
Naturalmente, cercheremo, nei prossimi giorni, di acquisire quelle informazioni che riteniamo fondamentali per rimuovere l’omissis.
In poche parole, il procuratore aggiunto dice che l’esercizio, per altro obbligatorio nel diritto costituzionale, dell’azione penale nei confronti di questo politico provocò una sorta di pandemonio. Borrelli afferma che si sviluppò un “meccanismo speculativo” che indusse la Procura di Napoli ad archiviare frettolosamente il fascicolo d’indagine su questo politico.
Ora, siccome ci pare strano che una procura archivi, pur non essendo convinta al 100% che sia questa la strada più giusta e siccome ci pare pure strano che degli articoli di giornale possano indurre i titolari dell’azione penale a comprimere i tempi di un’indagine, allora dev’essere successo qualche altra cosa.
Non vogliamo fare dietrologia per forza, ma la vicenda di Luca Palamara e dei membri togati e laici del Csm, ma soprattutto il ruolo discutibile, discutibilissimo, che il magistrato Cosimo Ferri, ambientatosi nella politica molto meglio di quanto non si sia ambientato qualsiasi mestierante della stessa, ha svolto nell’organo di autogoverno della magistratura, per determinare le carriere, i processi premiali di questo o quel magistrato, ci inducono a pensare che forse qualche politico di questa regione, o addirittura di questa provincia, si sia giovato di una possibilità che pochissimi altri indagati hanno al punto di configurarsi come un vero e proprio privilegio: tempi veloci, strettissimi, addirittura frettolosi, per stabilire il grado di processabilità per le ipotesi di reato formulato.
Ma qui ci si è mossi anche al di là del “privilegio” di essere trattati normalmente, cioè valutati in tempi solerti, in un paese in cui l’amministrazione della giustizia, i tempi della stessa, l’utilizzo delle misure cautelari preventive comprimono da sempre fondamentali diritti civili. Qui c’è un magistrato autorevolissimo, qual è Giuseppe Borrelli, il quale dice che fattori esterni determinarono la chiusura del fascicolo relativo a quel politico per il quale fu chiesta l’archiviazione, senza che le indagini avessero avuto uno sviluppo esaustivo, almeno per quel che riguarda la convinzione dei pubblici ministeri, rispetto ad un’eventuale richiesta di rinvio a giudizio o di una speculare richiesta di archiviazione.
Pressioni? Bisognerebbe chiedere a Borrelli. Certo è che la vicenda di Palamara, di Cosimo Ferri e di UniCost, ci ha fatto riflettere su alcune situazioni e su alcune posizioni assunte all’interno del Csm da congiunti di giudici, ma soprattutto da congiunti di politici del territorio della Campania e forse anche della Provincia di Caserta.