IL CORONAVIRUS ha amplificato le carenze della città di Caserta, a partire da quelle dell’ospedale. La lottizzazione politica che porta con sé l’immeritocrazia può diventare strumento di morte

10 Aprile 2020 - 12:42

Caserta (pasman)/prima parte La pandemia di coronavirus ci sta impartendo una lezione tragica: la sanità pubblica è questione troppo seria per essere lasciata nelle mani della politica.

Lottizzata per mezzo di quegli autentici boiardi di stato locupletati che sono i direttori generali (delle aziende sanitarie, delle aziende ospedaliere, dei distretti sanitari), chiamati in assunto ad assicurarne la funzionalità, in questa drammatica contingenza la sua struttura logistico-organizzativa si è subito rivelata nella sua pochezza quasi da carrozzone ed è miseramente implosa. Il più classico colosso dai piedi d’argilla.

E mentre medici ed infermieri stanno dando prove encomiabili di capacità cliniche, curative e di abnegazione, la tanto alta quanto inetta burocrazia ancora oggi non è in grado di munirli dei presidi essenziali per salvaguardarne l’ incolumità. E non a caso si contano ormai a decine le vittime tra gli operatori sanitari. Eppure, mesi prima che il contagio si manifestasse in Italia, tutti vedevamo, dalle immagini televisive provenienti dalla Cina, come il personale ospedaliero fosse protetto da tute, calzari, maschere, visiere, guanti, da parere dei marziani.

Si è scoperto, poi, che se sulla carta esiste un c.d. piano pandemico, nel concreto non c’è nulla, poiché da anni esso è restato inattuato. Si tocca ora con mano l’errore solenne di avere tanti e persino differentissimi sistemi sanitari per quante sono le regioni italiane. E con quali riflessi sull’efficienza nazionale è fin troppo facile immaginarlo. In altri termini l’imprevidenza più totale ha regnato sovrana nella nostra sanità.

Apertamente, i nostri più acuti e credibili pubblicisti ed esperti parlano di disastro, di “…fallimento della classe dirigente del Paese” e della chiara necessità di ripensare la sanità imparando dagli errori.

Al centro della quale, per tali fatti concludenti, va messa senza ombra di dubbio e nei debiti modi la classe medica, con la estromissione della politica con tutte le forme spartitorie in cui essa si è finora atteggiata. Le direttrici del cambiamento si sono oramai e funestamente manifestate: l’introduzione di criteri organizzativi esclusivamente meritocratici e di efficienza reale e verificabile, la valorizzazione della medicina territoriale dei medici di base e delle guardie mediche ridotti a poco più che a passacarte, la sburocratizzazione, lo sviluppo dell’assistenza domiciliare e della telemedicina, per dirne solo alcuni di immediata evidenza.

Quelle che le direzioni strategiche – che costituiscono gli organismi di vertice delle strutture sanitarie, la cui denominazione (la stessa che paradossalmente si davano i capi delle brigate rosse di sciagurata memoria ) suona oggi, dinanzi a questa Caporetto pandemica, amaramente ironica – non sono stati finora capaci di vedere.

Per restringere lo sguardo alla nostra realtà territoriale, solo poco fa, con improntitudine tipicamente politica, il consigliere regionale Stefano Graziano, benché presidente della commissione sanità, recriminava come un passante qualsiasi sulla mancanza di tamponi da effettuare agli operatori sanitari campani.

E di tutto il resto che di grave sta accadendo, i lettori di CasertaCe.net stanno ricevendo resoconti giornalieri puntuali e documentati, che mettono in evidenza la chiara inadeguatezza dell’apparato sanitario campano, con casi persino di persone decedute dopo aver atteso invano soccorsi che non sono mai arrivati.

Si sono viste scene farsesche di direttori generali che, per la più vieta propaganda, si sono vantati di aver creato nuovi posti di ricovero nell’ordine di poche unità, a fronte delle decine e decine che appaiono necessarie.

Ma è possibile parlare di catastrofe annunciata, sebbene non immaginabile in questi termine estremi, poiché tutti conosciamo i limiti, le carenze, i gravi disservizi, le zone grigie proprie della sanità campana nei tempi ordinari. Per parlare del nostro capoluogo, basti dire come il pronto soccorso dell’ospedale cittadino abbia operato negli anni in continuo affanno, senza che tuttavia nessuno ci mettesse mano. Più volte abbiamo dato conto degli episodi più incredibili, delle clamorose disfunzioni che vi si verificavano. E come dimenticare che più di qualcuno, al culmine dell’esasperazione, lo abbia paragonato ad un girone infernale. E sempre, da queste colonne, abbiamo invitato il sindaco Carlo Marino, in quanto autorità sanitaria territoriale, ad intervenire a tutela della cittadinanza, andando a vedere sul posto cosa realmente vi succedeva, magari travestendosi per non essere riconosciuto. Niente da fare ! E non parliamo delle infiltrazioni camorristiche e del malaffare che punteggiano la storia delle strutture sanitarie della provincia, le quali sono state al centro di ogni sorta di interessi obliqui, di malversazioni, di abusi.

Ma forse l’emergenza della pandemia di coranavirus, assieme alle morti ed al dolore che sta recando, potrebbe portare qualcosa di utile nel risveglio delle coscienze. E difatti qualche segnale confortante di una nuova consapevolezza si coglie. Ne parleremo nella seconda parte, raccontandovi di una lettera accorata ed emblematica scritta da un coraggioso  medico originario di Santa Maria Capua Vetere.