IL FOCUS. Il Tar ha deciso che per ora Emilio Nuzzo non si può candidare. Ecco perché, secondo noi, il Consiglio di Stato può ribaltare la sentenza

3 Maggio 2019 - 19:32

SAN FELICE A CANCELLO (g.g.) – Il Tar della Campania ha respinto il ricorso, presentato da Emilio Nuzzo contro la sua candidatura a sindaco alle elezioni comunali di San Felice A Cancello, fissate per il 26 maggio.

Le 7 pagine con cui il Tar della Campania motiva il ricorso le potrete leggere in calce a questo articolo. Rimanendo al dato esclusivamente cronachistico, vi diciamo che Nuzzo già domattina, attraverso l’avvocato di fiducia Renato Labriola, presenterà appello al Consiglio di Stato che si pronuncerà entro i primi giorni della prossima settimana, chiudendo definitivamente in una maniera o nell’altra la querelle, indicando ai sanfeliciani e ai cancellesi se i candidati sindaco saranno due, o se alla prossima tornata parteciperà anche l’ex consigliere provinciale.

L’UNICA MOTIVAZIONE DEL TAR Dopo aver letto con attenzione il provvedimento del Tar, possiamo dirvi che i giudici napoletani hanno posto l’accento, attingendo a un repertorio giurisprudenziale da loro scelto, riguardante precedenti pronunciamenti dello stesso Consiglio di Stato e della Corte di cassazione. Ciò per dare contenuto all’unica motivazione che ha portato al rigetto del ricorso: una

cosa è l’istituto della riabilitazione, altra cosa è quello dell’estinzione del reato, di cui ha beneficiato Emilio Nuzzo nel 2017, cinque anni dopo il patteggiamento della pena a 1 anno e 8 mesi per l’utilizzo di un’arma oltre la linea del permesso che gli era stato garantito solo per la difesa domiciliare.

Non vogliamo metterci a spaccare il capello soffermandoci più di tanto su un passaggio giurisprudenziale  presente nella decisione del Tar, in cui si parla di “pene non inferiori ai due anni”, visto che quella di Nuzzo è di un anno e otto mesi.

Per altro, la questione dei due anni conta poco in quello che sarà il nostro ragionamento che tocca aspetti più importanti sulla legislazione vigente; diciamo che l’impostazione del Tar è chiara, piuttosto limpida nella sua formulazione: solo la riabilitazione, che si ottiene dimostrando di aver intrapreso e concluso un percorso di ravvedimento fatto di azioni e non solo di propositi, garantisce la cancellazione dello status di incandidabile.

Attenzione, però, il Tar arriva a questa conclusione legando il suo ragionamento ad altri pronunciamenti di altri tribunali. E fin qui, nulla questio.

L’APPLICAZIONE DELLA SEVERINO NON PUÒ ESSERE SOTTESA A UNA GIURISPRUDENZA BALLERINA – L’impianto della sentenza, però, parte da un punto fermo che è rappresentato dal Testo unico delle leggi in materia d’incandidabilità, entrato in vigore nei primi giorni del 2013, meglio noto come “Legge Severino”.

Per cui, il Tar non potrà mai di pensare di far sopravvivere la sua decisione, mettendola in rotta di collisione con la Severino. Ma cosa prevede questo Testo unico? Senza andare di nuovo a soffermarsi minuziosamente su tutti gli articoli, dobbiamo restringere la trattazione a quei casi di condanna frutto dell’applicazione dell’istituto del patteggiamento. Ciò perché, nel caso di Emilio Nuzzo, di patteggiamento si parla. Oddio, a pensarci bene, però a questo dobbiamo arrivare partendo dalla formulazione che declina il principio generale relativo ad ogni tipo di sentenza e non solo a quelle frutto di patteggiamento.

Ebbene, la legge Severino, nel suo articolo 13 sancisce: L’incandidabilità alla carica di deputato, senatore e membro del Parlamento europeo spettante all’Italia, derivante da sentenza definitiva di condanna per i delitti indicati all’articolo 1, decorre dalla data del passaggio in giudicato della sentenza stessa ed ha effetto per un periodo corrispondente al doppio della durata della pena accessoria dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici comminata dal giudice. In ogni caso l’incandidabilità, anche in assenza della pena accessoria, non e’ inferiore a sei anni.

Nella legge non troverete nessun altro articolo che regola diversamente la fattispecie dei tempi d’incandidabilità di altri rappresentati delle istituzioni, cioè non quelli che corrono per i parlamenti, ma per ragioni, province e comuni.

In poche parole, se un condannato ha beccato 5 anni d’interdizione dai pubblici uffici quale pena accessoria, sarà incandidabile per 10 anni. Ora ritorniamo alle regole riguardanti le incandidabilità collegate al patteggiamento.

SE C’E L’ESTINZIONE ANTICIPATA DELL’INCANDIDABILITA’…- Questo istituto, regolato dall’articolo 444 del codice di procedura penale non prevede la pena accessoria, per cui il calcolo sull’incandidabilità di Nuzzo dev’essere fatto riferendosi sull‘invalicabile limite massimo previsto di 6 anni. Nuzzo ha patteggiato nel 2012, oggi siamo nel 2018 e (diamine) ne sono trascorsi 7 di anni. La norma quindi darebbe all’ex sindaco e consigliere il diritto a candidarsi.

Articolo 15, comma 3 della legge Severino: “La sentenza di riabilitazione, ai sensi degli articoli 178 e seguenti del codice penale, è l’unica causa di estinzione anticipata dell’incandidabilità e ne comporta la cessazione per il periodo di tempo residuo. La revoca della sentenza di riabilitazione comporta il ripristino dell’incandidabilità per il periodo di tempo residuo.”

Segnatevi ques’altra locuzione: “tempo residuo”. Secondo noi, non a caso, il Tar della Campania nella sua sentenza (come potrete vedere leggendola) evita di utilizzare la locuzione che invece è presente nella Legge Severino e che è tutt’altro che irrilevante: estinzione anticipata dell’incandidabilità. Se c’è un estinzione anticipata dell’incadidabilità, significa che ne esiste sicuramenteuna ordinaria.

Vabbè fate sempre i saputelli voi di casertaCe, per caso siete magistrati o avvocati amministrativisti? No, ma conosciamo la lingua italiana meglio di molti avvocati o magistrati. Appare chiaro a noi che nel momento in cui la Severino scrive “estinzione anticipata dell’incandidabilità”, non sta a buttarla lì, senza poi chiarire quale sia l’estinzione ordinaria. Lo dice eccome, lo scrive eccome.

Attenzione: vi ricordate l’articolo 13 che riguarda tutte le pene, quindi anche le sentenze lette in aula dai giudici dopo un dibattimento? O il doppio della pena accessoria o, come nel caso di Emilio Nuzzo, in mancanza di una pena accessoria, 6 anni come limite massimo.

Bravi i coglioni di CasertaCe, non avete ancora capito che la Severino disciplina in materia specifica le condanne frutto di un patteggiamento? Sì, l’abbiamo capito troppo bene. Invece non si capisce per quale motivo la giurisprudenza citata dal Tar della Campania pone come condizione irrinunciabile la riabilitazione affinché un “patteggiato” possa ricandidarsi, mentre per il caso ancor più grave di un condannato alla fine di un dibattimento, si ponga il limite del doppio della pena accessoria e, in mancanza, i 6 anni.

IL COMMA 4 CHE CHIUDE LA PARTITA E RENDE INGIUSTA LA DECISIONE DEL TAR – Possiamo dire di più, addentrandoci nel comma 4 dello stesso articolo 15 della Severino: L’incandidabilità disciplinata dagli articoli 7, comma 1, lettera f) e 10, comma 1, lettera f), si estingue per effetto del procedimento di riabilitazione previsto dall’articolo 70 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159.

Ecco l’unico caso, cari componenti della commissione e cari giudici del Tar di Napoli, in cui la riabilitazione rappresenta una conditio sine qua non per uscire dall’incandidabilità. Si tratta dei reati elencati negli articoli 7, comma 1, lettera f e ugualmente nell’articolo 10, comma 1, lettera f della stessa Severino. Occhio, il caso dell’articolo 10 è dedicato specificatamente alle elezioni provinciali, comunali e circoscrizionali. E sapete quali sono questi reati, quelli relativi alla criminalità organizzata: 416 bis eccetera.

Perché il legislatore ha avuto l’esigenza di scrivere ‘sto cacchio di comma 4? Perché ha voluto discriminare i reati in base alla loro gravità. E lo ha fatto perché sui reati gravi di camorra e mafia ha previsto il requisito della riabilitazione a prescindere, non c’è termine che tenga. Avendo scritto, nell’articolo 13, che esisteva un limite legato o al doppio della pena accessoria o ai 6 anni, ha dovuto riportare nel comma 4 i casi in cui la temporalità dell’incandidabilità non è più applicata, rimanendo in piedi, in questo ultimo caso, quello del comma 4, solo la strada della riabilitazione che, al contrario, il Tar della Campania considera essenziale e dunque impermeabile ad ogni termine temporale, in ogni caso e non solo per i reati di camorra.

Ecco perché nella Legge Severino viene utilizzato quell’aggettivo: “estinzione anticipata dell’incandidabilità”. C’è l’estinzione anticipata in quanto esiste, si vede, è esplicitamente regolata, l’estinzione ordinaria, rappresentata appunto dal doppio della pena accessoria o dai 6 anni.

LA QUESTIONE DI EMILIO NUZZO – E allora, dove lo incastriamo il caos Nuzzo? Se il Tar dice che la Legge Severino è una monnezza e i tribunali legiferano da sé, in maniera conflittuale rispetto alle leggi votate dagli organismi eletti dal popolo sovrano, allora andiamo a casa tutti. Ma se ancora siamo in uno stato di diritto, non c’è Cassazione o Tribunale che può reggere all’evidenza palmare della legge che esprime un primato di per sé.

In conclusione, il caso di Nuzzo non può essere letto se non attraverso il combinato dell’articolo 13 (i limiti temporali dell’incandidabilità rispetto a ogni tipo di sentenza), l’articolo 15, comma 1 (patteggiamento), dell’articolo 15, comma 3 (riabilitazione collegata all’estinzione anticipata dell’incandidabilità) e dell’articolo 15, comma 4 che, regolando le eccezioni agli articoli 13 e 15, comma 3, definisce con chiarezza i lineamenti dell’estinzione ordinaria dell’incandidabilità, cioè il doppio della pena accessoria, che per Nuzzo non c’è, oppure, in quest’ultimo caso, il limite massimo di 6 anni. E neanche si può dire che l’articolo 13 possa riguardare solo deputati, senatori e parlamentari europei, anche perché sarebbe rozzamente incostituzionale. E’chiaro dalla formulazione dell’articolo 15, comma 4, (ripetiamo, unico caso di applicazione della riabilitazione “tombale”, intesa come irrinunciabile requisito per recuperare la candidabilità) che nella valutazione e nella previsione della legge sono compresi anche i sindaci e i presidenti delle province.

 

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