IL FOCUS MARCIANISE. Altro che damnatio memoriae, dovrete mettere i ritratti di Velardi ad ogni incrocio. E sui velardiani “incandidabili” diciamo che…

12 Aprile 2023 - 18:12

Dovuta replica a uno scritto, CHE PUBBLICHIAMO INTEGRALMENTE A FINE ARTICOLO, del candidato a sindaco Antonio Trombetta.

MARCIANISE (Gianluigi Guarino) – Abbiamo letto con molta attenzione e quindi col dovuto rispetto, il lungo post pubblicato nei giorni scorsi, e che vi riproponiamo nella sua versione integrale, dal candidato sindaco Antonio Trombetta.

I toni sono un po’ accorati e un po’, anzi, a dirla tutta, un bel po’ piccati. Riteniamo che, nel suo scritto, il medico abbia voluto anche rispondere ai due articoli che questo giornale gli ha recentemente dedicato. E, per carità, Trombetta ha fatto benissimo ad esprimere il proprio punto di vista.

Ma se la decisione di rispettare la funzione democratica, assecondando il valore della dialettica, va salutata come fatto positivo, che pare dimostrare l’adesione, l’assimilazione a un modello di normalità nell’ingaggio delle idee e delle opinioni da parte del candidato, non possiamo certo, di converso, essere troppo indulgenti nell’espressione dell’idea, della nostra idea, del punto di vista, così come questo è maturato, leggendo il post di Trombetta.

Ma prima di realizzare, in questo confronto, la nostra mossa, che auspichiamo possa costituire strumento di utilità per i cittadini di Marcianise, vogliamo dedicare ancora un passaggio, indulgendo un attimo sul metodo, più che sulla modalità dialettica adottati dal candidato sindaco. Il confronto, infatti, tra politica e strumenti di informazione, tra i quali speriamo di poter accogliere al più presto qualche altro che ci affianchi e ci allevi il peso faticoso del nostro lavoro, non necessariamente deve svilupparsi, com’è successo negli ultimi anni a Marcianise, nella modalità con cui si sono connnotati, da una chiara quanto nefasta deriva autoritaria.

Una deriva restata in nuce solo per merito dell’impavido, martellante, irriducibile lavoro di trincea, attuato per migliaia di giorni, in tutti i giorni (non in uno sì e nell’altro no) da questo giornale, insieme a pochissimi esponenti della politica marcianisana, disposti a non svendere i propri principi e le loro inestinte passioni davanti alla mangiatoia bassa del compromesso consociativo.

Si è trattato di un lavoro enorme, monumentale, almeno per quanto riguarda la sua variabile quantitativa, costituito sulle fondamenta di studi “matti e disperatissimi”, condotti su migliaia di atti amministrativi, da combinare costantemente con le normative vigenti e con le giurisprudenze più autorevoli e più recenti, dando priorità a quelle erogate a Sezioni Riunite, degli organi supremi della giustizia penale, civile e amministrativa, cioè Corte di Cassazione e Consiglio di Stato.

QUELLO CHE NON CONVINCE DEL POST DI ANTONIO TROMBETTA

Non lo scriviamo per stimolare chi ci legge a lisciare la nostra vanità, ma riteniamo fondato asserire che il candidato sindaco Antonio Trombetta abbia perso la prima grande occasione.

Se avesse, infatti, dedicato parte del suo scritto a discutere seriamente e, dunque, partendo almeno da una minima base di cognizione delle varie cause in questi contenuti, su qualcuno dei nostri articoli, su qualcuna delle inchieste che abbiamo dedicato ai problemi ignorati e il più delle volte strumentalizzati dalle due ultime amministrazioni, entrambe targate Velardi, allo scopo di renderli piattaforma delle loro battute di caccia (organizzate per cibare un inesausto appetito clientelare), avrebbe potuto, argomentando, con segno critico i nostri contenuti, contare, già oggi e partendo, dall’elaborazione contenuta dal post di Facebook, su un’agenda sterminata di temi.

INTERPORTO, FALSI PERMESSI, FIRME TAROCCATE, PALAZZETTO, TUTOR: FATTI, NON PAROLE

Antonio Trombetta avrebbe poturo partire, ad esempio, dall’Interporto, che deve a questo giornale, e a nessun’altro, l’intervento poderoso che la magistratura ha realizzato dopo decenni di attesa, che ci ha gratificati della pubblicazione, pressoché integrale, nell’ordinanza degli arresti di Barletta, Campolattaro e compagnia, di passi interi dei nostri focus, dei nostri lunghi reportage.

Se Trombetta avesse avuto l’umiltà di studiare il nostro archivio, avrebbe letto la storia delle firme false apposte sotto alla lista civica di Velardi “Orgoglio marcianisano”, agganciandosi alla stretta attualità di un processo penale in uno dei collegi di S. Maria C.V.; avrebbe appreso e introitato ognuna delle basi costitutive dell’indagine della Procura della Repubblica che ha reso Velardi, pardon, mai come in questo caso, in confutazione a ciò che Antonio Trombetta ha scritto, ha reso l’allora sindaco pro tempore di Marcianise, imputato per i reati di truffa e falso in atto pubblico, compiuti – si concentri Antonio Trombetta – nella funzione di sindaco pro tempore di Marcianise, per la incredibile, sfrontatissima vicenda dei rimborsi, frutto di permessi falsi, costati alle tasche dei suoi concittadini marcianisani, caro candidato Antonio Trombetta, circa 250mila euro, così come risulta dalla determine pubblicate, una per una, da questo giornale, nel corso della lunga inchiesta che abbiamo dedicato a questo fatto e che la magistratura inquirente ha voluto prendere molto sul serio, bonta sua; avrebbe potuto muovere, ad esempio, obiezione affermando, dottore Trombetta, che le nostre tesi su certi capannoni, su altri atti truccati, allo scopo di mettere comodo un imprenditore amico per la costruzione del Palazzetto dello Sport, fossero tutti dimostrabilmente da cestinare. Lo avremmo accettato, avremmo plaudito, piima di opporre una nostra cortesissima e democraticissima contro-argomentazione.

Insomma, anche una o più valutazioni, da parte sua, anche radicalmente difformi dalle nostre posizioni, le avrebbero comunque consentito di caricare la sua faretra di argomenti che, a nostro avviso, al di là della solita aria fritta, latitano quasi totalmente nel suo scritto pubblicato su Facebook.

LA DAMNATIO MEMORIAE CITATA DA ANTONIO TROMBETTA PER NOI E’ SOLO UNA SIMPATICA SUPERCAZZOLA

Che cavolo c’entra la damnatio memoriae, vecchio arnese illiberale dei regimi assolutisti, che lo hanno ereditato dall’oligarchia senatoriale della Roma Repubblicana in poi? La questione che il candidato Trombetta pone, appartiene a quella parte della politica, da sempre esistente, che dispiace raccontare a quelli, come noi, che hanno una mentalità molto applicata sugli ideali, ma che, allo stesso tempo, lo considerano un fatto ineluttabile, connaturato con il corredo biologico del genere umano. La politica, infatti, è stata sempre piena di quello che Francesco Guicciardini definiva il particulare. E figuriamoci se gente navigata, quale noi siamo, gente che ha raccontato la politica della Campania in generale, e di ognuna della province campane, a partire da quella casertana, si fa impressionare o non consideri un fatto fisiologico, così come è successo nei secoli dei secoli, che in politica si pensi anche agli affari propri; per l’appunto, al proprio particulare e, dato che siamo in tema, saltando da Guicciardini al suo omologo Nicolò Machiavelli, che per il perseguimento del particulare, dei fatti propri, o anche di una semplice affermazione del proprio prestigio, si possa ravanare in quei “mezzi“, il cui uso è giustificato dal “fine”. Oddio, Machiavelli provava ad operare una sintesi tra la politica nobile, quella dei fini, e la politica del particulare, più abituata a distribuire gomitate, attraverso “mezzi” poco leciti, poco ortodossi o, comunque, non degni certo di un cavaliere di cappa e di spada.

LE TRATTATIVE CON I TRASFORMISTI VELARDIANI È L’ANTITESI DELLA DAMNATIO MEMORIAE

Non ci scandalizziamo, dunque, per nulla, se in queste ore, sia Antonio Trombetta che Lina Tartaglione, stanno trattando con quelli che, dopo esserci stati per sei anni, sono scesi dal carro di Antonello Velardi. L’abbiamo vista cento, mille volte, in tanti altri contesti e anche in epoche diverse da quella attuale, questa scena. Ma, soprattutto, l’abbiamo studiata, visto e considerato che non il sottoscritto, non Casertace, ma eminentissimi storici ed intellettuali, soprattutto meridionali – capito dottor Trombetta? – hanno sostenuto che la tara che impedisce al Sud di questo Paese di rendere omogenea la cifra del proprio sviluppo a quella di altre regioni del Nord, ma anche del Centro (tutte, nessuna esclusa, a prescindere dal fatto che siano governate dalla destra o dalla sinistra), è costituita dal trasformismo, cioè da un’espressione degenerata, in quanto invasiva, del particulare di cui prima, piaga apertasi fin dagli ultimi anni, sin dall’ultimo decennio del Diciannovesimo secolo, sin dagli anni successivi all’Unità d’Italia e a quella perfezionata con la Breccia di Porta Pia.

Però, la giostra gira ancora così e non è che ogni volta noi possiamo star qui a questionare su tutto, in quanto disperderemmo anche la possibilità di perseguire e di realizzare qualche obiettivo concreto. Ma se lei, dottore Antonio Trombetta, fa lo spiritoso, adducendo come motivazione il rifiuto di una damnatio memoriae ad un possibile impiego di riciclati provenienti dall’area di Velardi, così come si va prefigurando con la lista organizzata da Gerardo Trombetta da un lato, ma anche con il nome imbarazzante di Giuseppe Golino dal lato di Lina Tartaglione, noi non possiamo esimerci da una risposta che è lunga, ragionata, proprio in segno di rispetto nei suoi confronti e nei confronti della sua competitor.

Non basta chiudere unilateralmente e assertivamente la stagione di Velardi, come non basta affermare come fa il citato Golino che, nell’ultimo anno della precedente amministrazione ha rotto con Velardi, con la sua protesi Angela Letizia. Non basta. perché è rimasto, infatti, all’interno della giunta comunale e ha condiviso l’esperienza politico-amministrativa del Velardi fino all’ultimo giorno, fino al momento in cui in 14 sono andati a firmare dal notaio.

Non tema, dottor Antonio Trombetta: lei ci conosce poco, ma se domanda un po’ in giro, potrebbe apprendere che noi di Casertace, come scriviamo da anni e anni, siamo un partito a sé stante, non aggregato e non aggregabile per fatto genetico. Semmai, siamo noi ad aggregare persone ed idee attorno ad una visione della politica in cui ‘sto cavolo di particulare, del curare i fatti propri, della propria famiglia dei propri amici ecc., rappresenti il 30, il 40, diciamo anche il 60%, ma non il 110% (altro che bonus casa), così come capita oggi in provincia di Caserta e nella città di Marcianise, andando ben al di là della cifra fisiologica connaturata con il genere umano e già teorizzata dai politologi del Rinascimento, Machiavelli e Guicciardini in testa.

Noi scegliamo e non ci facciamo scegliere.

Non tema, Antonio Trombetta, perché noi non ci spostiamo in base alle necessità e agli obiettivi del momento. Le nostre idee erano queste nel 2015, le nostre idee e la nostra posizione sono queste nel 2023. Siete voi politici che ondeggiate in base alle convenienze del momento.

LA CULTURA DELLA SCONFITTA VERO VALORE DI ONESTÀ

Per cogliere l’obiettivo di portare la politica locale a spendere il 40% delle proprie giornate a fare gli interessi dei cittadini (fermo restando il 60%, che va accettato, dedicato ai cavoli propri) e, dunque, come al contrario succede oggi, non solo quelli dei propri parenti, dei propri raccomandati, di certe imprese che si aggiudicano gare d’appalto sistematicamente e sistemicamente truccate, occorre, caro dottore Trombetta e cara dottoressa Lina Tartaglione, possedere la serena, pacificata cultura della sconfitta, che, per farla breve, è esattamente il contrario della cultura del trasformismo, sistema “inventato” proprio per spendere ogni azione, lecita o anche illecita, allo scopo di stare sempre dalla parte dei vincitori e, dunque, di alimentare una tensione alla vittoria purchessia, costi quel che costi.

Un atteggiamento dominante, questo, nel contesto generale del nostro Paese, abitato da “tipo italico”, che quel gran genio di Ennio Flaiano definì come straordinariamente capace di correre sempre e comunque in soccorso dei vincitori, ma, addirittura, pensiero unico in larga parte del Sud e vera quintessenza a Marcianise, così come stanno ampiamente dimostrando le pessime trattative di questi ultimi giorni, che suscitano in noi grande allarme. La cultura della sconfitta è una delle valenze più importanti di civiltà e di onestà. Un vero segnalatore di disinteresse rispetto alle forme più estreme e deteriori del clientelismo e delle più becere lottizzazioni. Chi, infatti, desidera vincere, per forza e ad ogni costo, non ha, nella stragrande maggioranza dei casi, nel cuore e nella testa gli interessi della comunità e l’obiettivo di stare sempre al di qua delle norme contenute nel Codice Penale, in quello Civile e in quello amministrativo. Piuttosto, è pronto o pronta a tutto pur di sedersi, non già a governare, bensì a comandare.

La cultura della sconfitta è, dunque, la migliore tra le culture della vittoria. Perché, un politico che non è disposto a tutto pur di vincere, che non è disposto a imbarcare i trasformisti che hanno banchettato con Velardi e che oggi cercano una nuova collocazione, ma sa al contrario apprezzare un risultato non fausto, sa godere anche di una sconfitta, quando questa è arrivata perché ha tentato di seminare qualche valore, di tracciare qualche linea non superabile, è predisposto a lavorare per un percorso, pur graduale, di miglioramento della specie, in modo da poter dire a se stesso e a chi lo affianca nella potestà di governo e di indirizzo, che dal giorno del proprio insediamento non si penserà solo ai fatti propri, ma anche al popolo.

E lo si farà lavorando con dedizione su questo aggregato (il popolo) in modo da instillare una nuova mentalità, quella della cittadinanza tout court, prim’ancora che di una cittadinanza attiva, concetti che, sulla carta, rappresenterebbero l’essenza, il distillato più prezioso della democrazia rappresentativa, ma che sono totalmente sconosciuti alle genti indigene, che considerano normale un modello relazionale tra politica e popolo di tipo feudale e che, dunque, neppure ai tempi del cosiddetto ancien regime, sbrecciato a intermittenza dalle rivoluzioni, si è configurato nei termini in cui si configura qui da noi, e a Marcianise in particolare.

Quindi, altro che damnatio memoriae, caro candidato Trombetta: Velardi e il velardismo devono essere, al contrario, presenti e non precipitati nell’oblio del ricordo. Il faccione perennemente torvo dell’ex sindaco non deve fare la stessa fine che l’imperatore Caracalla fece fare al viso di suo fratello Geta, che, dopo il suo assassinio, ordito dal suo congiunto, vide sparire, letteralmente raschiato, il suo volto dalla tempera antichissima che ritrae l’intera famiglia dei Severi e che viene indicato nelle scuole, almeno in quelle che ho frequentato io, come l’esempio concreto, plastico ed emblematico di cosa fosse, a quel tempo, la damnatio memoriae.

Il faccione torvo deve essere effigiato oggi e in futuro, ad ogni incrocio stradale di Marcianise, tipo quelli di Mao Zedong dopo la rivoluzione culturale, come monito e come struttura identificativa di tutto quello che in politica e nell’amministrazione della cosa pubblica non bisogna fare. Di tutto ciò che in politica e nell’amministrazione della cosa pubblica rappresenta il male, il brutto, l’assertivo di un regime che (ripetiamo questo episodio per l’ennesima volta, in quanto emblematico a nostro avviso), l’allora sindaco Antonello Velardi ha sintetizzato nella risposta sprezzante, rifilata ad una giovane donna, ad una ragazza di Marcianise che chiedeva ragione delle due o tre file di sedie riservate ai vip amici suoi, per uno spettacolo, previsto all’interno di un festeggiamento pubblico di qualche anno fa.

Non tanto Velardi, ma il sindaco pro tempore di Marcianise, a cui quella ragazza esprimeva il suo rilievo, tentando di esercitare la sua funzione di cittadina non le dette – leggete bene, caro dottore Antonio Trombetta, cara dottoressa Lina Tartaglione – una spiegazione, ma le chiese, con un tono tra il poliziesco e l’irridente: “Ma tu a chi sei figlia? a chi appartieni?”, come se ci fosse una variabile censuaria – elevata a massima forma rappresentativa di una città in quanto asserita da quello che doveva essere il primo dei suoi cittadini – a stabilire il diritto o il non diritto di una persona (il contenuto del cui pensiero non conta dunque nulla), che, ribadiamo, prova, naturalmente invano, ad essere anche cittadino. Roba da governo dei latifondisti messicani.

Questa è la mentalità, questa è la cultura che ha prodotto firme false, falsi permessi, una pazzesca procedura di gestione finalizzata al tentativo di costruire il nuovo Palazzetto dello Sport, l’Interporto, i tutor e potremmo continuare per ore.

Quindi, ripetiamo, caro dottore Trombetta, non damnatio memoriae ma memoria viva, solida; memoria che non può non rappresentare il fulcro delle campagne elettorali sua e di Lina Tartaglione.

Ecco perché chi ha affiancato e avallato Velardi non può candidarsi con chi si dichiara in discontinuità.

Per questo motivo, e non certo perché quelli di Velardi ci stanno antipatici, o hanno scritto male di noi o, ancora, ci hanno guardati storto, che un progetto politico di alternativa a quel sistema non può contenere al suo interno, se vuole risultare credibile ai nostri occhi, chi è stato in giunta, chi è rimasto in maggioranza fino all’ultimo giorno, chi ha condiviso, senza staccarsi prima e, ripetiamo, fino all’ultimo secondo di vita dall’Amministrazione – Velardi, chi ha avallato, in silenzio, la cultura delle firme false, quella dei permessi falsi, quella de materiali “falsi” che si volevano usare nel cantiere del Palazzetto dello sport, quella del tutor illegali e rimossi dal viceprefetto vicario, quella dei rapporti con l’Interporto, dei “veni vedi, vici” di Leroy Merlin.

Chi ha avallato, chi ha appoggiato tutto ciò, non può far parte di un progetto alternativo, che diverrebbe una contraddizione in termini e come cedimento, ab origine, a quella cultura che cerca di rimanere a galla, consolidando se stessa attraverso posizioni più defilate, ma non tanto defilate da non consentire di mettere in atto il ricatto elettorale.

Sono o non sono, caro dottore Antonio Trombetta e, per evitare che lei, facendoci scompisciare dalla risate, ci tacci di partigianeria, aggiungiamo anche cara dottoressa Lina Tartaglione, argomenti seri che certo lei, nel suo scritto del giorno di Pasqua non ha saputo riscontrare in maniera autorevole o, quanto meno, concettualmente dignitosa, perdendo già la sua prima occasione con la storia?

IL POST DI ANTONIO TROMBETTA: https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=pfbid02dtStzKDKX1pPCKTBDPNwGB3qjPJxGcB2hUucCTEAEbs3oEoWLNhSFi6QYexZHpJvl&id=100007946328792