IL FOCUS. Questi di Fdi della Campania manderanno la Meloni a sbattere: Marco Nonno sbraita e vuol rientrare in consiglio regionale ma una parte della sua condanna è definitiva, rendendolo decaduto e pure incandidabile

18 Maggio 2023 - 20:05

Abbiamo deciso di scrivere questo articolo nel momento in cui siamo venuti a conoscenza dell’indiscrezione che racconta di una surreale convocazione del consiglio regionale per sancire la riammissione dell’espondente di Fratelli d’Italia, all’indomani dell’annullamento della sentenza che lo riguarda, da parte della Corte di Cassazione. Ma questa ha annullato l’assoluzione, non la condanna che, per i motivi che vi andiamo a spiegare con il cucchiaino, è passata in giudicato, è divenuta definitiva e integra tutte le previsioni, ma proprio tutte, della legge Severino.

CASERTA (gianluigi guarino) Mi hanno raccontato, ma io non ci credo – almeno fino in fondo – , che il mio amico Gennaro Oliviero, presidente del consiglio regionale, abbia già deciso, insieme ai capigruppo, di porre all’ordine del giorno della prossima seduta del consiglio regionale, che si svolgerà di qui a poco, la reintegra del consigliere di Fratelli d’Italia, Marco Nonno.

Ora, è vero che, qui da noi, non bisogna mai farsi condizionare nel racconto e nella valutazione dei fatti, dalla cifra apparente di imporanza e di ancora più apparente autorevolezza, di una istituzione. Nella specie, stiamo parlando della Regione Campania, del presidente, della giunta, delle commissioni, del consiglio regionale e, per quanto riguarda la struttura burocratica, di dirigenti strapagati anche 10-12mila euro al mese. La Regione Campania che, ricordiamo, per popolazione rivaleggia con il Lazio, che la precede di poco nella classifica che assegna la palma di seconda area regionale più popolosa d’Italia, dopo la Lombardia.

Ma si compie un errore, se si affrontano fatti riguardanti la Regione Campania pensando di avere a che fare con persone di alto profilo culturale.

Capita, conseguentemente, che rimane sorpreso chi non conosce bene le cose della Regione Campania. Rivolgendosi a noi di Casertace, questi neofiti potrebbero evitare di restare depistati.

LA CANDIDATURA DI MARCO NONNO RESTA UNA MACCHIA PER GIORGIA MELONI, DELMASTRO E FRATELLI D’ITALIA

Di Marco Nonno ci siamo già occupati in un articolo pubblicato a febbraio (clikka e leggi). In quell’occasione, ci dedicammo soprattutto a valutare il comportamento della dirigenza politica di Fratelli d’Italia, di chi esercitò la potestà quando, nell’estate del 2020, il partito di Giorgia Meloni formò la sua lista per le Regionali nella circoscrizione comprendente Napoli e la sua area metropolitana. Sempre nell’articolo menzionato formulammo, naturalmente invano, una domanda a chi, in quel periodo, ricopriva la carica di commissario provinciale, nello specifico ad Andrea Delmastro Delle Vedove, divenuto poi sottosegretario alla Giustizia. Chedemmo di sapere se, all’atto della preparazione della lista di Fratelli d’Italia, il commissario provinciale avesse correttamente chiesto, ma soprattutto avesse acquisito da Marco Nonno e, a questo punto, va aggiunto, anche dagli altri aspiranti, i due fondamentali certificati: quello del casellario giudiziale, contenente eventuali condanne passate in giudicato, cioè definitive, e quello dei carichi pendenti, rubrica di tutti i procedimenti penali aperti a carico di un determinato cittadino. Giusto per fare un esempio, se uno ha subito una condanna in primo grado per un qualsiasi reato, questa non viene menzionata nel certificato del casellario giudiziale, ma sarà presente dentro a quello dei carichi pendenti.

La domanda formulata a Delmastro, non era certo oziosa, men che meno speciosa e, ancor di meno, tendenziosa, visto e considerato che, purtroppo, noi, questo nostro giornale, non lo abbiamo aperto anche a Napoli e nella sua provincia o area metropolitana, che dir si voglia. Perché, se ci fosse stato un Napolice attivo, non avremmo avuto bisogno di porgere la domanda ad Andrea Delmastro, ma ce la saremmo sbrigata da soli; avremmo ricostruito noi la vicenda e col cavolo che sarebbe stata tacitata, così come invece capitato, dal silenzio pigro e spesso anche colpevole degli organi di informazione partenopei, la circostanza della condanna del candidato di Fdi Marco Nonno a 8 anni e qualche mese, per i reati di devastazione e resistenza a pubblico ufficiale.

A cose fatte, purtroppo, non ci resta altro da fare, per capire come siano andate effettivamente le cose, che formulare la domanda a chi, in quel periodo, ha rappresentato Giorgia Meloni a Napoli.

Guardate, noi abbiamo la ferma intenzione di ritornare ancora e, se necessario, ancora, ancora e poi ancora, ancora e ancora, su questa vicenda, avendo noi la testa dura almeno come quella che dice di avere Giorgia Meloni. Perché, il partito della premier ha il dovere di dire che, avendo acquisito regolarmente, così come è previsto dalle norme e anche dal regolamento interno al partito, il certificato dei carichi pendenti di Marco Nonno, ha deciso di candidarlo lo stesso, ritenendo, evidentemente, che 8 anni di carcere per devastazione e resistenza a pubblico ufficiale non rappresentassero un fatto sufficiente per comunicare a Nonno che, almeno per quel giro, la sua candidatura non sarebbe stata il massimo dell’opportunità. In alternativa, Fratelli d’Italia, attraverso quello che ne fu il responsabile politico pro tempore Andrea Delmastro Delle Vedove, ha il dovere di confessare l’errore, ammettendo che il commissario provinciale ha dimenticato, all’atto della presentazione della lista di Fratelli d’Italia, di controllare se tutti quanti i candidati avessero presentato i certificati richiesti. E deve ammettere che, dimenticandoselo, lui, Delmastro, ma soprattutto il suo partito, ripetiamo rappresentato in tutto e per tutto da Giorgia Meloni, oggi presidente del Consiglio, ha finito per candidare una persona condannata a più di 8 anni, seppur con sentenza non definitiva, ma comunque pesante nella sua formulazione del primo grado. E l’aveva fatto per effetto della pressione e della sponsorizzazione del solito Michele Schiano, con il quale molto, troppo Delmastro si è accompagnato nel suo periodo napoletano, finendo per blindate, in questo modo, la candidatura, poi puntualmente ottenuta, dallo stesso Schiano per un seggio a Montecitorio, nel quale l’ex consigliere regionale, prima forzista, poi deluchiano, poi meloniano, siede placidamente e comodamente dal mese di ottobre.

Naturalmente, non è che da uno che si è mosso in una certa maniera in sede di pre-candidatura, ti puoi aspettare una dichiarazione sincera, in sede di proclamazione degli eletti. Ed, infatti, Nonno, della sua condanna, non ha fatto, a suo tempo, alcuna menzione nel momento in cui è stato chiamato a riempire il modulo apposito nel quale ogni consigliere regionale eletto deve autocertificare se sia stato o meno destinatario di condanne penali.

Fatto sta che in questa storia disonorevole – ma figuriamoci, l’onore istituzionale e la reputazione sono l’ultima cosa che preme ai nostri politici – un condannato a 8 anni ha fatto il consigliere regionale per diversi mesi, con tanto di lauto stipendio. Questo non è avvenuto in quanto la legge Severino lo proibisse, come poi andremo a vedere, ma per la sconcertante ed inquietante decisione del partito di Fratelli d’Italia, di candidarlo comunque. Solo quando è arrivata la sentenza di secondo grado, pronunciata dalla Corte di Appello di Napoli, gli Uffici di presidenza del consiglio regionale, sono venuti a conoscenza dello status dei carichi pendenti di Marco Nonno. A quel punto necessariamente, visto e considerato che si è attivata una procedura obbligatoria per legge e, conseguentemente, la Corte d’Appello ha comunicato, secondo i dettami della Severino, alla Prefettura di Napoli e, attraverso questa, al Governo ed al Consiglio regionale, l’emissione di quella sentenza che, mentre assolveva Nonno, in riforma del verdetto di primo grado per il reato di devastazione, lo condannava a 2 anni per resistenza a pubblico ufficiale.

La comunicazione formale era doverosa, perché quella condanna a 2 anni, ridimensionata rispetto a quella di primo grado, era comunque sufficiente a far scattare la sospensione di Marco Nonno dalla carica di consigliere regionale, in quanto i due anni di reclusione, sentenziati dalla Corte di Appello, integravano in pieno la previsione dell’articolo 8, comma 1, lettera b della legge Severino.

LA LEGGE SEVERINO: SOSPENSIONE, DECADENZA E LA DISCIPLINA CHE CAMBIA A SECONDA DEI REATI

Calma, un passo alla volta. Gli articoli 7 ed 8 della Severino riguardano proprio le cariche di presidente della Regione, di assessore e di consigliere regionale. Parallelamente alla speculare normativa applicata con gli articoli 10 e 11 per i sindaci, i presidenti delle Province, gli assessori comunali e provinciali, i consiglieri comunali e provinciali, la Severino ha statuito una sorta di impianto biunivoco: basta, infatti, una condanna in primo grado per un determinato blocco di reati, per far scattare la sospensione. I reati in questione sono quelli compiuti contro la pubblica amministrazione, dall’articolo 314 in poi del Codice penale. Dunque la concussione, il peculato, la corruzione diversamente connotata, l’abuso d’ufficio, ecc. Lo stesso discorso vale per i reati regolati dall’art. 416 bis del Codice penale, cioè l’associazione a delinquere di stampo mafioso o camorristico, l’associazione finalizzata al trafficio di stupefacenti, quella finalizzata al traffico degli essere umani e per i reati di terrorismo.

Per tutti quanti gli altri reati, a condizione che non siano colposi, la Severino, all’art. 8 comma 1, lettera b per quanto riguarda i consiglieri regionali, così come all’articolo 10, comma 1, lettera b per sindaci, assessori, consiglieri comunali, presidenti della Provincia ecc., sancisce che la sospensione dalla carica subentra in caso di condanna riportata in secondo grado, cioè in Corte di Appello, che conferma quella o parte di quella comminata in primo grado, a condizione che la condanna sia non inferiore ai due anni. Il reato di devastazione, come del resto quelli di omicidio, stupro, pedofilia, ecc., non fa parte, scusateci l’ironia, mai dovuta come in questo caso, di quel blocco elencato dall’articolo 8 comma 1 lettera a della Legge Severino che, a sua volta, si collega all’art. 7, il quale, per gli stessi reati, stabilisce addirittura l’incandidabilità, quando questi diventano sentenza definitiva. Per cui, quando la Corte di Appello di Napoli ha condannato, in riforma della sentenza di primo grado, Marco Nonno alla pena di 2 anni di reclusione, per un reato non colposo, come è, in tutta evidenza, la resistenza a pubblico ufficiale, ha informato, con il giro descritto prima, la Regione, che a quel punto si è svegliata e ha sospeso Marco Nonno.

LA SENTENZA DELLA CASSAZIONE

Qualche giorno fa – e qui torniamo al mio amico Gennaro Olivero – la Corte di Cassazione ha emesso la sua sentenza sulla vicenda di Marco Nonno, annullando con rinvio i due anni di reclusione comminati dalla Corte di Appello di Napoli che dovrà rifare il processo, ovviamente impegnando una sezione diversa da quella che ha emesso la sentenza annullata dai giudici della Corte suprema.

Secondo quello che ci hanno raccontato, Marco Nonno, uno evidentemente abituato a fare i blitz, sarebbe piombato l’altro giorno nell’aula in cui stava svolgendosi il consiglio regionale, affermando quello che ha definito il proprio diritto a ritornare in carica.

Ora, se effettivamente l’ufficio di presidenza ha riunito la “capigruppo” per mettere all’ordine del giorno il reintegro di Nonno, allora qui bisogna acquistare una quantità industriale di orecchie d’asino o, in alternativa, di camicie di forza. Una sentenza della Corte di Cassazione va, infatti, compresa e interpretata con la massima attenzione. E, se è vero, come è vero, che gli Ermellini romani non hanno ancora pubblicato le motivazioni, è ancor più vero che nel dispositivo della sentenza vengono scritti con chiarezza un paio di concetti, che uno studente da 20, massimo 23 all’esame di Diritto processuale penale o Procedura penale, che dir si voglia, li illustra in scioltezza.

Alla Corte di Cassazione sono arrivati due ricorsi. Uno presentato dalla Procura Generale della Corte di Appello di Napoli, che ha impugnato la sentenza, ritenendola errata, in quanto errata sarebbe stata l’assoluzione di Marco Nonno per il reato più grave, quello di devastazione. Concentratevi un attimo: la Procura Generale non ha impugnato tutta la sentenza della Corte di Appello – ripetiamo roba da studenti di media preparazione, ma solo la parte riguardante l’assoluzione per il reato di devastazione.

Dall’altra parte, gli avvocati difensori di Marco Nonno che, probabilmente, in caso di condanna a un anno e 11 mesi non avrebbero presentato ricorso, proprio perché quel verdetto di secondo grado avrebbe comunque permesso, diventando definitivo, al loro assistito di rimanere in carica da Consigliere regionale, hanno ugualmente impugnato la sentenza, ovviamente nella parte relativa alla condanna per resistenza a pubblico ufficiale.

Un attimo di attenzione ancora: nel suo dispositivo la Cassazione scrive di aver accolto i motivi del ricorso presentati dalla Procura Generale, mentre ha respinto quelli presentati dalla difesa di Marco Nonno. Qui non occorre nemmeno uno studente di Giurisprudenza, ma uno qualsiasi che partecipa ad un concorso per impiegato di categoria B o C e si sottopone a un test di logica psico-attitudinale. Se la Cassazione ha accolto il ricorso della Procura Generale e ha respinto quello della difesa di Marco Nonno, cosa è rimasto in vita nei due certificati, casellario giudiziale e carichi pendenti, dell’esponente sospeso di Fratelli d’Italia? Andiamo per ordine: il reato di devastazione che, cumulato a quello di resistenza a pubblico ufficiale, era costato a Nonno una condanna a più di 8 anni di carcere, va ridiscusso in Corte di Appello. In pratica, la Cassazione ritiene valide le ragioni esposte dalla Procura Generale la quale, a questo punto, ritiene, a buona ragione, di potersi giocare delle valide carte in un nuovo processo di secondo grado, affinché Nonno non venga assolto, bensì di nuovo condannato per l’incolpazione più grave. Sulla parte relativa ai due anni per resistenza a pubblico ufficiale, la Procura Generale non ha messo becco, non facendone alcuna menzione nel proprio ricorso. Gli avvocati difensori di Marco Nonno, invece, non hanno, ovviamente, messo becco nell’assoluzione del loro assistito per il reato di devastazione e hanno presentato, al contrario, ricorso per chiedere l’assoluzione o, in subordine, l’annullamento con rinvio alla Corte d’Appello, della sentenza che condanna Nonno a 2 anni per la resistenza a pubblico ufficiale.

PERCHE’ MARCO NONNO DECADE E DIVENTA ANCHE INCANDIDABILE

Ora, se la Cassazione ha accolto il ricorso della Procura e respinto quello della difesa, non riteniamo, almeno si spera, che l’Ufficio di presidenza del Consiglio regionale abbia bisogno di un disegnino per capire cosa passa già in giudicato, cioè cosa arriva, cosa approda, cosa emigra dal certificato dei carichi pendenti a quello del casellario giudiziale di Marco Nonno. E’ chiaro che la condanna a 2 anni per resistenza a pubblico ufficiale diventa definitiva, nel momento in cui la Cassazione si è pronunciata, respingendo l’unico ricorso presentato per il suo annullamento, cioè quello dei difensori di Marco Nonno.

Altro che convocazione del consiglio regionale: trattandosi di una condanna definitiva ad “almeno due anni di reclusione per reato non colposo” si passa dalla previsione dall’articolo 8, comma 1, lettera b, che sancisce la sospensione, all’art. 8, comma 6 che così recita: “Chi ricopre una delle cariche indicate all’articolo 7, comma 1 – come abbiamo scritto prima è compresa quella di consigliere regionale (n.d.d.) – decade da essa di diritto dalla data del passaggio in giudicato della sentenza di condanna”. La condanna di Marco Nonno è, indubbiamente, passata in giudicato già da diversi giorni. Trattandosi di un verdetto con pena inferiore ai 3 anni e, ammesso e non concesso che Nonno sia arrivato a questo processo da incensurato, il consigliere regionale e i suoi avvocati farebbero bene ad occuparsi di problemi un po’ più seri di quello sollevato nei giorni scorsi e consistente nella pretesa di rientrare nel consiglio regionale. Devono occuparsi della procedura di esecuzione di una pena passata in giudicato. Non abbiamo letto il dispositivo della condanna a due anni, formulata a suo tempo dalla Corte di Appello, per cui non possiamo dare la certezza che i giudici napoletani abbiano accompagnato il loro verdetto anche ad una sospensione condizionale della pena.

E’ certo, invece, che questa condanna è definitiva ed è certo, anche, che questa condanna definitiva, essendo pari “ad almeno due anni” non solo fa decadere Nonno dalla carica di consigliere regionale, ma lo rende anche incandidabile, ai sensi dell’articolo 7, comma 1, lettera b della stessa legge Severino. E, siccome ci siamo pure stufati di scrivere con il cucchiaino, l’ennesimo articolo follemente lungo, in quanto reso necessario dall’incredibile notizia che abbiamo ricevuto su una presunta convocazione del consiglio regionale, invitiamo l’Ufficio di presidenza, a partire dal mio amico Gennaro Oliviero, a leggersi con attenzione le norme della Severino. Prima di farlo, però, leggessero o facessero leggere ad un avvocato penalista il dispositivo della sentenza della Corte di Cassazione.

Mannaggia, quando scriviamo queste cose, il proverbiale marziano arrivato sulla Terra per sbaglio è portato a pensare che ci stiamo occupando di un consiglio di condominio. Purtroppo, invece, non è così.