INTESTAZIONE FITTIZIA & CAMORRA. Clamoroso proscioglimento per Nicola Schiavone Monaciello, il noto imprenditore Vittorio Scaringia e altri. La Dda paga dazio a un’indagine tra le più strane della storia

14 Giugno 2023 - 14:03

Un anno fa erano stati dissequestrati 50 milioni di euro di beni al cui elenco si può accedere in calce all’articolo. Il gup non ha accolto la richiesta di rinvio a giudizio formulata dai pm dell’Antimafia e ha accolto quella di non luogo a procedere presentata dagli avvocati difensori. Oltre a Schiavone e a Scaringia, prosciolti la moglie del primo, la madre del secondo e altri congiunti di Monaciello

CASAL DI PRINCIPE/AVERSA – Poco più di un anno fa, era il 24 giugno del 2022, il tribunale del Riesame di Napoli dissequestrava il ricco patrimonio appartenente a congiunti diretti di Nicola Schiavone detto Monaciello, l’imprenditore di Casal di Principe – padrino di battesimo di Nicola Schiavone, figlio di Francesco Sandokan Schiavone – al centro di un’importante inchiesta sui rapporti tra le sue imprese, più o meno un agglomerato di scatole cinesi, e grandi uffici degli apparati pubblici italiani, a partire dalla Rete Ferroviaria Italiana (Rfi), storico braccio operativo delle strutture e infrastrutture fisiche prima delle Ferrovie dello Stato, poi di Trenitalia.

Che questa indagine soffrisse di alcuni errori che a nostro avviso abbiamo più volte spiegato e documentato, compiuti dalla Dda di Napoli, ai come in questa occasione controllata a vista, quasi commissariata dall’allora procuratore della Repubblica Giovanni

Melillo, oggi super procuratore Direzione nazionale antimafia, era un fatto arcinoto ai nostri lettori.

Al riguardo ribadiamo un solo concetto: tra la giornata del 3 aprile 2019, quella delle perquisizioni a largo spettro, compiute dai carabinieri del Nucleo investigativo di Caserta tra le città di Roma e Casal di Principe, e il momento dell’emissione del provvedimento cautelare contenente arresti, ma anche sequestri di beni e comunque contestazioni di capi di imputazione provvisoria, sono trascorsi bene tre anni e un mese.

In questi tre anni tutti i protagonisti della vicenda hanno appreso in pratica ufficialmente di essere indagati dalla Dda di Napoli e in tre anni di cose, di comportamenti, di adattamenti comportamentali, diciamocela tutta, di inquinamenti di prove se ne possono fare a iosa.

Quell’ordinanza del maggio 2022 l’abbiamo sempre ritenuta incoerente rispetto alle modalità con cui la Dda si era mossa. Troppo tempo era trascorso dal momento delle perquisizioni e in questi tre anni la formulazione dei capi d’imputazione provvisoria non era stata rafforzata, alimentata da elementi che, poi, potessero felicemente resistere alle diverse fasi del procedimento.

È chiaro che il gup Linda Comella del tribunale di Napoli, chiamata a decidere sulla richiesta di rinvio a giudizio sempre presentata dalla Dda relativa alla parte del procedimento sull’intestazione fittizia, aggravata dall’aver favorito gli interessi del clan dei Casalesi – ai sensi dell’articolo 416 bis comma 1 del codice penale, già articolo 7 della legge 152 del 1991 – di beni da 50 milioni di euro (case a Posillipo e tante altre cose da veri nabbabbi che potete leggere in calce all’articolo) che, oltre a coinvolgere i congiunti di Schiavone Monaciello, ha interessato anche l’imprenditore di Aversa Vittorio Scaringia che di Monaciello è amico da tempi remoti, abbia letto le motivazioni con le quali il Riesame sancì il dissequestro di tutti i beni il 24 giugno dello scorso anno.

E avendolo letto, non ha potuto non valutare ciò che la riforma Cartabia prevede quale comportamento da tenere, non vincolante, ma comunque conta nella carriera di un magistrato, di associare un rinvio a giudizio ad una “ragionevole previsione di condanna“.

E allora è successo ciò che in passato non succedeva quasi mai e che, invece, nell’ultimo anno, numeri alla mano, si sta verificando sovente. Di fronte alla richiesta di rinvio a giudizio formulata a carico di tutti gli imputati il gup ha accolto la richiesta di non luogo a procedere presentata dagli avvocati difensori e ha sentenziato il proscioglimento per lo stesso Nicola Schiavone Monaciello, per la moglie, la giuglianese Teresa Maisto, per Vittorio Scaringia e la madre Anna Maria Zorengo, difesi dall’avvocato Mario Griffo, per gli altri congiunti di Monaciello, ovvero Oreste, Amelia e Pasquale Gianluca.

L’ELENCO DEI BENI INIZIALMENTE SEQUESTRATI