La Domenica di Don Franco: “Il Vangelo di oggi è il primo quadro di un trittico sulle tre tentazioni più comuni: la sessualità, la ricchezza, il potere”

3 Ottobre 2021 - 09:26

XXVIl Domenica del TO / B – Domenica 3 ottobre 2021

MISTERO DI COMUNIONE: I DUE SARANNO UNO!

Prima lettura: I due saranno una sola carne (Gn 2,18). Seconda lettura: Gesù è coronato di gloria a causa della morte (Eb 2,9). Terza lettura: L’uomo non separi ciò che Dio ha unito (Mc 10,2).

La radice di ogni male: la “sklerokardìa”    Da sempre l’omelia è un problema, una fatica: presentarsi ogni domenica ai fedeli, annunciare parole più grandi di noi, con la vergogna magari di predicare bene e di praticare male! Davvero gli esami non finiscono mai! Questa domenica poi il compito è ancora più difficile a motivo dell’argomento: il divorzio, l’indissolubilità, il matrimonio, l’amore. I problemi umani e sociali sono tanti, e una predica non risolve nulla in pochi minuti; noi preti parliamo di situazioni che non viviamo sulla nostra pelle; perciò dobbiamo essere sempre rispettosi, per non imporre sulle spalle degli altri leggi e pesi (Mt 23,4) che nessuno di noi riesce a sopportare! Il Vangelo di oggi è il primo quadro di un trittico destinato a richiamare l’attenzione dei fedeli per tre domeniche, sulle tre tentazioni più comuni: la sessualità, la ricchezza, il potere. Il primo richiamo riguarda la “fedeltà matrimoniale”, parole impopolari, se pensiamo alle mille situazioni drammatiche, nelle quali si trovano le persone, e alcune senza nessuna colpa! In nessun campo, come in quello dell’etica sessuale, l’uomo è tentato di farsi una morale tutta sua! Sostenere l’indissolubilità del matrimonio, oggi, è un paradosso, una sfida, quasi un’offesa al buon senso; quel ripetere queste esigenti parole di Gesù può far credere che la chiesa sia più un giudice severo che una madre comprensiva. Ci sono situazioni in cui due sposi si chiedono, con ragione: vale ancora la pena insistere? Non ci si ama più! Può Dio esigere una convivenza che è un supplizio, pericoloso anche per i figli? La logica umana risponde subito che è meglio il divorzio, la convivenza… Premesso che ogni persona va rispettata, va anche detto che queste parole del Signore non possono essere annullate, ma proclamate, anche a costo di essere “una voce nel deserto”. Cerchiamo di approfondire, a partire dalla Bibbia.

Prima lettura   Finita la creazione, Dio “contemplò quanto aveva fatto, ed ecco, era molto buono” (Gn 1,31). In realtà non tutto era buono perché l’uomo non era felice. Dio ne intuì la ragione: “Non è bene che l’uomo sia solo” (Gn 2,28). Adamo era nel paradiso ma questo non gli bastava. La solitudine dell’uomo era una sconfitta per Dio. All’uomo non bastava neppure Dio per riempire la sua solitudine: aveva bisogno di un suo ‘simile’ (Gn 2,18). Dio si rimette all’opera e crea la donna: l’uomo era stato formato dalla terra ma la donna è formata dall’uomo! Obiettivo del racconto biblico non è insegnare da dove viene la donna, ma rispondere a problemi esistenziali: chi è la donna? perché esiste la bipolarità sessuale? perché uomo e donna sentono l’attrattiva fisica? la donna è inferiore all’uomo? Quali possono essere i messaggi? > La donna è ‘simile’ all’uomo e gli è data come ‘aiuto’; simile e aiuto sono i due termini più significativi di tutto il brano e per la loro comprensione dobbiamo ricorrere al testo originale ebraico: וֹּֽדְּגֶנְּכ רֶז ֵ֖ע (Gn 2,18). Keneghdò viene tradotto con simile, in realtà significa “come contro di lui”. La donna è stata posta da Dio di fronte all’uomo, non per essere dominata ma per avere con lui un dialogo, un confronto anche duro, perché l’amore comporta anche tensioni. Donna e  uomo diventano, in questa prospettiva, aiuto l’uno per l’altra. Senza l’uomo o senza la donna non c’è piena realizzazione e completezza. > Non è bene che l’uomo sia solo … וֹּ֑דַ בְּ ל םֵָ֖ דָ אָּֽ ה ות֥ ֹיֱה וב֛ ֹא־טֹל (Gn 2,18). Dio non ci crea come isole, ma come canali che sanno ricevere e donare acqua. Il simbolismo della “costola”, l’esclamazione gioiosa di Adam, sottolineano l’uguaglianza, la diversità, la complementarità tra i due esseri umani. Il fine di questa unione è l’amore, grazie al quale si possono spezzare i legami antichi, abbandonare la casa paterna, formare una sola carne. Essere coppia non significa essere in due, ma essere una realtà nuova: non 1+1=2 ma 1×1=1. > Si riteneva che lo scopo primario dell’incontro sessuale era la procreazione. L’enciclica Casti connubii (1930) sosteneva la tradizionale tesi che il fine primario del matrimonio era la procreazione e l’educazione dei figli; oggi è venuta a cadere la gerarchia dei fini matrimoniali: il can. 1055 §1 del Nuovo Codice equipara il bonum coniugum e la generatio et educatio prolis. Ci si sposa per fare figli, certo, ma anche per realizzare insieme il progetto di vita.

Indissolubilità    La indissolubilità è ben più che una legge: è il cammino della felicità. Spesso l’indissolubilità è compresa e vissuta come un obbligo, imposto dal di fuori, che limita la libertà degli sposi. Domandate cosa essa significa, e vi sentirete dare una definizione negativa: “Indissolubilità è impossibilità di separarsi”. Ma Gesù ha abolito la legge; la sua nuova legge è l’amore. Indissolubilità significa che non si finisce mai di conoscersi e di amarsi. Sposarsi significa vivere insieme questo sviluppo, è aiutarsi a inventarsi continuamente. Quando una persona è amata, cambia, fiorisce, si sviluppa. Gli sposi si sono amati un tempo perché avevano sperimentato che uno trasformava l’altra, che la vita era tutta differente, che il tempo trascorreva diversamente da quando si erano uniti. Ma poi sono tentati di riposare sulla loro unione: hanno smesso di amarsi, di chiamarsi reciprocamente alla vita.

L’uomo non separi ciò che Dio ha unito …   Come spesso capita, i correttivi fanno più male che bene: il rimedio è indicato nella indissolubilità “giuridica”. Lui si dedica agli affari, molto più libero da quando si è legato indissolubilmente; lei, delusa, si volge verso i figli o una professione. Morire inconsciamente è quello che sappiamo fare meglio di ogni altra cosa! Se non ci si scrive più, si finisce per non avere più voglia di scriversi; se non ci si parla più, si finisce per non avere più nulla da dirsi; se non ci si guarda più, si finisce per non vedersi più. Non sono le liti, la povertà, neppure le infedeltà che uccidono un matrimonio: è l’abitudine. Gli uomini vivono di “invenzioni” che presto diventano “convenzioni”. Padre Laurentin ha scritto che “il formalismo mantiene indefinitamente delle coppie effimere, distrutte, senza ombra di speranza”. L’indissolubilità non è una legge ma un programma, non è una negatività ma una possibilità, non è fondata sul contratto ma sulle esigenze dell’amore, non è una firma ma è una scelta, non è imposta da un’autorità civile o religiosa, ma è la conseguenza di un amore vero.

… ma Dio li ha davvero uniti?    Il matrimonio è fondato sul consenso, ma oggi la psicologia dimostra che molti consensi, apparentemente liberi, sono inconsciamente viziati. K. Rahner si chiedeva in una riunione internazionale di teologi a Roma: “Senza una certa maturità intellettuale e morale, un  matrimonio può dichiararsi indissolubile?”. Le tre cause classiche previste dalla legge civile per chiedere il divorzio (adulterio, percosse, ingiurie gravi) non significano niente; un matrimonio può esistere e resistere nonostante le percosse o l’infedeltà; ma bisogna anche riconoscere che a volte un matrimonio non è mai esistito o non esiste più. La morte del corpo scioglie gli sposi, ma la morte dell’amore, debitamente documentata, scioglie ugualmente gli sposi. “L’uomo non separi ciò che Dio ha unito”. Ma siamo sicuri che Dio li ha uniti? E Dio unisce gli sposi senza amore? Di quante coppie si potrebbe dire: “Padre, perdona loro, non sanno quello che fanno!” (Lc 23,34). La fedeltà a un amore, a una persona, è una bella qualità umana; la fedeltà a un errore si chiama ostinazione, e nessuno può farne una virtù! L’uomo avrà il cuore duro finché durerà la storia; finché siamo nella storia, sono necessarie le leggi, e queste leggi devono essere adattate alla natura fragile e provvisoria dell’uomo. Lasciamo aperto il problema di come va regolato il divorzio nella legge civile. Abbiamo bisogno di leggi, ora, ma guai a farne leggi assolute: esse sono tutte relative, semplicemente perché l’uomo cambia.

Fedeli all’amore non all’errore     La questione è l’atto di ripudio, che la legge di Mosè permetteva al marito qualora “avesse trovato in lei qualcosa di indegno” (Dt 24,1); su questo “qualcosa di indegno” i giuristi ebrei avevano opinioni diverse: per qualcuno si trattava dell’adulterio (al solito è preso in considerazione solo quello della donna!), per qualche altro poteva trattarsi anche della minestra scotta o dell’alito cattivo! Gesù non nega la possibilità di divorziare, ma ne individua la causa: la “sklerokardìa” o durezza di cuore, origine di ogni male e di ogni divisione. All’origine non era così, come leggiamo in Genesi 2: Dio sogna per la prima coppia un’unità assoluta; quando all’orizzonte dell’uomo solitario appare la donna, l’uomo dice: “Questa volta è vita della mia vita”, e nasce un legame che neppure la morte spegne, perché “forte come la morte è l’amore” (Ct 8). Il matrimonio cristiano non è solo un contratto, la sanatoria di un errore, una sistemazione sociale, la somma di due patrimoni … ma un sacramento che va scelto e preparato. Il cristiano ha il diritto/dovere di vivere il sesso e l’eros, ma il sesso da solo è biologia, e l’eros da solo è egoismo.

Il rifiuto di ogni disuguaglianza     Il tema del divorzio nel giudaismo al tempo di Gesù si poneva in maniera diversa da oggi. Il diritto a divorziare era esclusivamente dalla parte dell’uomo. I casi nei quali la donna poteva chiedere il divorzio erano molto rari e di difficile applicazione. Ed a complicare di più le cose, il rabbino Hillel interpretava la legge di Mosé (Dt 24,1) in maniera tale che qualsiasi cosa dispiacesse al marito, gli dava il diritto di ripudiare la moglie. La domanda dei farisei non era la domanda sul divorzio, così come ora si pone, ma la domanda sulla disuguaglianza di diritti tra l’uomo e la donna. Cioè, i farisei domandavano se i privilegi dell’uomo fossero praticamente illimitati, come sosteneva la scuola teologica di Hillel. Ebbene, Gesù non tollera questo: ogni disuguaglianza di diritti è direttamente contraria al Vangelo. Inoltre, si deve ricordare che i cristiani – per lo meno fino al sec. VIII – si sono sposati come tutti i cittadini dell’Impero (J. DussVon-Werdt). E in quanto all’indissolubilità, il papa Gregorio II nel 726 permette il divorzio, come risulta in una lettera dello stesso papa (Migne, PL 89,525). Gesù argomenta a favore dell’uguaglianza di diritti ricorrendo al progetto originale di Dio: che l’uomo e la donna “non sono due, ma una sola carne”, cioè si fondono in un’unità che equivale ad una perfetta  uguaglianza in dignità e diritti, al di là delle differenze. La differenza è un fatto. L’uguaglianza è un diritto.

“Usa e getta”. Meglio: “Usa e rammenda”    Nessuno deve trasformarsi in giudice degli altri, peggio, in giustiziere della vita eterna, nessuno deve distribuire premi ai buoni e castighi ai cattivi, perché è difficile distinguere i giusti dagli ingiusti. Il comando di Gesù: “Non giudicate” vale per tutti, preti compresi, perciò dobbiamo accogliere, ascoltare, curare con profondo rispetto e con infinita delicatezza. Il giudizio spetta a Dio, perché lui ci ama. E poiché ci ama, non giudica nessuno! Più che lanciare condanne contro divorziati e separati, vorrei indicare come Gesù non si limita a condannare divorzi e separazioni, ma suggerisce anche come fare per non rompere un matrimonio; insomma Gesù fa opera di prevenzione più che di repressione. Anche nel matrimonio è entrata la mentalità di “usa e getta”, come se il matrimonio fosse un qualunque apparecchio elettronico o un elettrodomestico comune. Ma il matrimonio non appartiene alla sfera dell’avere, delle cose, del possesso, ma dell’essere, della vita, dei sentimenti. Cosa si potrebbe fare? Un’arte semplice, dimenticata ma necessaria: il rammendo. Alla mentalità di “usa e getta” occorre sostituire quella di “usa e rammenda”. Ce lo ricorda anche l’apostolo Paolo: “Non tramonti il sole sopra la vostra ira”  (Ef 4,26). Il segreto è saper ricominciare, la vita ricomincia ogni mattina. Volerlo tutti e due, perché “domani è un altro giorno”.