La Domenica di Don Galeone: “Il predicatore che non inquieta, forse ha fatto sua la mentalità della malvagità!”
19 Settembre 2021 - 16:25

XXV Domenica del TO (B) – 19 settembre 2021
Non la ricerca del primo posto, ma del bene comune!
Prima lettura: Condanniamo il giusto a una morte infame (Sap 2,12). Seconda lettura: Chiedete e non ottenete perché chiedete male (Gc 3,16). Terza lettura: Chi vuole essere il primo, sia l’ultimo (Mc 9,30).
Dal Vangelo Tutti i brani del Vangelo di Marco, che stiamo esaminando in queste domeniche, sembrano avere un dato in comune: la difficoltà di Gesù con i suoi discepoli. Non vogliono accettare un messia condannato e perdente; preferiscono un messia glorioso e vincitore. Alcune notazioni: >
Per diventare come Dio, basta servire il prossimo! Il vangelo di oggi documenta bene la drammatica situazione tra i pensieri di Dio e i pensieri degli uomini (Mc 8,33). Gesù ha appena confidato ai discepoli i suoi pensieri più intimi, la sua necessità di andare incontro alla morte, la sua totale fiducia nell’amore del Padre … ma essi non comprendono. Anzi, lasciano solo Gesù con i suoi pesanti pensieri, rallentano il passo, lontani da lui, cominciano a litigare circa i primi posti da occupare nel regno. Gesù li ha sentiti, tanto la discussione era accesa, e una volta arrivati alla meta, li interroga, ma loro, come scolaretti colti in difetto, tacciono. E allora Gesù consegna la regola d’oro del suo regno, la vera gerarchia della sua chiesa: “Chi vuole essere il primo, si faccia l’ultimo e il servitore di tutti!” (v.35). Noi siamo come gli apostoli: la chiesa delle beatitudini è diventata, a volte, la società dei titoli onorifici, del fasto ostentato, delle etichette e delle precedenze. Noi non accettiamo né un Dio senza gloria né un capo senza prestigio. Gesù ha rivelato un Dio che non vuole essere servito ma che vuole servire, che non chiede genuflessioni ma che si cinge i fianchi a lavare i piedi o a servire a tavola. Uno scandalo! Ma la più grande originalità di Gesù è proprio qui, nella rivelazione di un Dio che lascia tutti i suoi diritti e chiede solo di poter servire. Il cristiano è avvertito: per diventare come Dio, deve solo amare di più, servire di più, perdonare di più. L’onnipotenza di Dio è di amore e non di forza; Dio è Dio non perché è il primo servito ma perché è il primo servitore. Gli apostoli, come noi, messi davanti a questa rivoluzionaria rivelazione, si rifiutano: “Pietro si mise a rimproverare Gesù” (Mt 16,22), e non basta: “No, tu non mi laverai i piedi” (Gv 13,8). Noi aspiriamo sempre a diventare i padroni dell’atomo, i conquistatori dello spazio, gli sfruttatori della materia, gli esploratori del conscio e del subconscio. Gesù, che preferisce lavare i piedi del povero anziché possedere “tutti i regni con la loro gloria” (Mt 4,8), ci sbalordisce con la sua innata nobiltà, e ci rimprovera la nostra innata superbia. Dio è l’essere più debole dell’universo, ma ha una potenza di amore che fa esistere e crescere tutto. Noi cristiani abbiamo messo il nuovo vino evangelico negli otri vecchi delle nostre abitudini. Abbiamo organizzato un culto magnifico, costruito migliaia di chiese in onore di colui che aveva annunciato la distruzione del tempio e la fine dei sacrifici. Veneriamo come sommo sacerdote chi non aveva voluto essere sacerdote. Copriamo di ricchezze chi aveva voluto essere povero. Dio ci ha dato tutto, e noi ci siamo gloriati restituendogli tutto. Lo abbiamo contraddetto sistematicamente, pensando di piacergli di più. Un Dio così non ci piace molto, perciò abbiamo teorizzato la teologia della morte di Dio. Eppure è il Dio vivo e vero, quello del vangelo di Gesù!
Conservarsi capaci di meraviglia, come i bambini! Gesù ha voluto dirci che i bambini sono innocenti? No, sappiamo bene che i bambini possono mostrarsi falsi, litigiosi, crudeli quanto gli adulti. Gesù non idealizza i bambini, però una cosa distingue i bambini dagli adulti: il bambino è per natura fiducioso, disposto a ricevere, capace di lasciarsi guidare. La Bibbia non descrive l’uomo faustiano che tenta nel mondo il suo volo di Icaro, non è il libro del giovane che a vele spiegate naviga come Ulisse, oltre le colonne d’Ercole. La Bibbia è il libro del bambino, dell’uomo e della donna, nella misura in cui dentro di loro il bambino è rimasto vivo. Gesù restò bambino tutta la vita, perché non faceva nulla da se stesso, ma tutto dal Padre e con il Padre. Il bambino diventa un modello perché non ha posizioni da conservare, ruoli da reclamare, privilegi da rivendicare. E’ un essere libero; non c’è ancora in lui quella furbizia, quell’arrivismo che spesso distingue l’adulto. Il bambino è uno che non ha fatto l’abitudine alla vita, ma è capace sempre di porre domande, di meravigliarsi, di sorprendersi. Lo spettacolo più deprimente è quello di un bambino viziato e vizioso, che sa tutto, che ha tutto, che fa tutto. E’ invece commovente trovare alcuni anziani che si sono conservati bambini, non rassegnati alla vita, ancora capaci di meravigliarsi e di ringraziare!
In quel tempo Gesù raccontò questa parabola: Era una famigliola felice e viveva in una casetta di periferia. Ma una notte scoppiò un terribile incendio. Genitori e figli corsero fuori. In quel momento si accorsero che mancava il più piccolo di cinque anni. Che fare? Il papà e la mamma si guardarono disperati. Avventurarsi in quella fornace era ormai impossibile. Ma ecco che lassù, in alto, s’aprì la finestra della soffitta e il bambino si affacciò urlando disperatamente: «Papà!». Il padre gli gridò: «Salta giù!». Sotto di sé il bambino vedeva solo fuoco e fumo nero. «Papà, ma non ti vedo…». «Ti vedo io. Salta giù!». Il bambino saltò e si ritrovò sano e salvo nelle robuste braccia del papà, che lo aveva afferrato al volo. Tu non vedi Dio. Ma lui vede te. Buttati! (dai racconti di Bruno Ferrero).