La Domenica di don Galeone: “La preghiera a Dio deve trasformarsi in servizio all’uomo!”

24 Luglio 2022 - 09:01

XVII Domenica tempo ordinario (C) ✤ 24 luglio 2022

Pregare. Una felice necessità!

Prima lettura    Non si adiri il Signore, se parlo (Gn 18,20). Seconda lettura    Con lui Dio ha dato vita anche a voi, perdonando tutti i peccati (Col 2,12). Terza lettura   Quando pregate, dite: Padre nostro! (Lc 11,1).

Dalla Bibbia (Gn 18,20)   Abramo non è solo un modello di fede e di ospitalità – come abbiamo visto la scorsa domenica – ma anche di preghiera. Un giorno – narra la storia – il Signore gli rivela la sua decisione di andare a Sodoma per verificare le voci che gli sono giunte sulla malvagità dei suoi abitanti. In quella città Abramo ha un nipote e si preoccupa di quanto gli può succedere. Si rivolge al Signore e comincia a intercedere affinché Sodoma sia risparmiata, per amore dei giusti che in essa si trovano. Gli parla da amico, la sua preghiera non è un susseguirsi di formule imparate a memoria o lette su un libro, non è una filastrocca ma un dialogo spontaneo e sincero. La scena è descritta con il tipico linguaggio fiorito degli orientali. Sembra di assistere all’incontro fra due mercanti del suq della città vecchia di Gerusalemme: prima scende da cinquanta a quarantacinque giusti, poi a quaranta e, visto che il Signore è disposto a trattare, si fa coraggio e scende non di cinque in cinque, ma di dieci in dieci. Geremia ed Ezechiele oseranno scendere di più, intuiranno che Dio perdonerebbe al suo popolo se incontrasse anche un solo giusto: «Percorrete le vie di Gerusalemme – dice il Signore – osservate bene e informatevi, cercate nelle sue piazze se trovate un uomo, uno solo che agisca giustamente e cerchi di mantenersi fedele, e io la perdonerò» (Ger 5,1; Ez 22,30).

Dal Vangelo (Lc 11,1)    Nessun evangelista insiste tanto sul tema della preghiera quanto Luca che, per ben sette volte, ricorda che Gesù pregava (Lc 3,21; 5,16; 6,12; 9,18; 9,28; 11,1; 22,41). Oltre a queste annotazioni, Luca riporta anche cinque preghiere di Gesù. Di queste voglio ricordare le due, commoventi, pronunciate sulla croce: «Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno» (Lc 23,24) e le sue ultime parole prima di morire «Padre, nelle tue mani affido il mio spirito» (Lc 23,46). Questo dimostra che tutta la vita di Gesù è stata segnata dalla preghiera. La lucidità delle sue scelte, il suo equilibrio psicologico, la sua dolcezza unita alla fermezza si spiegano grazie alla sua preghiera.

Il capitolo 11 del Vangelo di Luca rappresenta una sorta di catechismo sulla preghiera. Nel “Padre nostro” (la versione di Luca è più breve rispetto a quella di Matteo, ma forse è più vicina all’originale), tre note emergono subito: l’intimità, la costanza, l’efficacia. L’intimità appare nella parola iniziale Padre, che echeggia l’aramaico “Abbà … papà”: cadono le distanze, il dialogo con Dio si fa intimo. L’altra nota è quella della costanza: la preghiera non è un’emozione, un’esperienza legata al bisogno; non si deve pregare solo nel momento del pericolo. E infine: l’efficacia: “Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto”. Un’efficacia che, però, a volte non risponde alle nostre attese, perché i pensieri di Dio non sono i nostri (Is 55,8). Pregare è sempre utile, anche quando non si viene accontentati! Questo non significa che Dio si comporta da despota capriccioso. Le parole usate da Gesù ci ricordano che sopra di noi c’è un Padre che dà ai suoi figli sempre cose buone e giuste. Accettare quindi i doni di Dio, anche quando sono imprevisti e sgraditi: “Le tue mani, Signore, sono talvolta mani di gioia e talvolta mani di dolore. Ma sempre mani di amore” (D. Bonhoeffer).

Gesù pregava. Spesso desiderava lasciare quelle folle volubili e interessate, quegli apostoli litigiosi e limitati; si ritirava in un luogo solitario, davanti al Padre, tutto solo. Lui non aveva nulla da chiedere, né pane né perdono, né protezioni né favori. Quando tornava dalla preghiera, era luminoso e rinnovato, tanto che gli apostoli si chiedevano: “Cosa è accaduto? Dov’è stato?”. A pregare! Se anche noi sapessimo pregare così! Un giorno gli apostoli hanno avuto più coraggio: “Signore, insegna anche a noi a pregare!”. E Gesù ha insegnato una preghiera che somiglia alla sua: “Sia santificato il tuo nome, il tuo regno, la tua volontà”, ma l’ha adattata alle nostre necessità: “Dacci il pane quotidiano, perdona i nostri peccati, dacci forza nelle tentazioni”. Una preghiera non da recitare a memoria, ma da meditare con il cuore, e da calare nella vita. Gesù ha impiegato una notte intera per dire solo “Sia fatta la tua volontà!”. A noi, quanto tempo occorrerà? Non si può dire un vero “Padre nostro” senza morire ai nostri cattivi progetti e risorgere alla volontà di Dio.

Come pregare? Come Gesù: poche parole e a lungo. Se dicessimo bene “Padre”, non dovremmo dire il resto. Allora facciamo silenzio, tranquilli, seduti di fronte a Gesù. Pregare significa morire e risorgere. Facciamo un esempio. Una mamma viene in chiesa a pregare perché il suo bambino è malato, e dice a Gesù che il suo bambino non deve morire, che se morisse non glielo perdonerebbe mai. Ma se questa donna resta a pregare, si attaccherà a Gesù che prega e si staccherà dal figlio per cui prega. Quando si alzerà, resterà lei stessa stupita: “Signore, te lo affido, ho più fiducia in te che in me. Tu sai ciò che è bene per lui, meglio di me!”. Cosa è successo? Niente, è morta alla sua volontà ed è risorta alla volontà di Dio. Anche di fronte alle suppliche più accorate, spesso egli tace, lascia che gli avvenimenti seguano il loro corso apparentemente assurdo. Tutto procede come se egli non esistesse e il suo inspiegabile silenzio fa esclamare: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Sal 22,2). Vorremmo un Dio compiacente, che si facesse garante dei nostri sogni. Egli invece tenta di liberarci dalle nostre illusioni, di strapparci dalle meschinità, dai desideri vani, per coinvolgerci nei suoi progetti. La preghiera diviene così una lotta con il Signore, come quella sostenuta da Giacobbe, per un’intera notte, presso il fiume labbok (Gn 32,23). Ne esce vincitore chi si arrende a Dio!

Gesù non ha fatto pregare i suoi apostoli, prima che essi glielo domandassero; non ha organizzato processioni né adorazioni né scuole di preghiera … ma pregava notti intere, tanto che alla fine gli hanno chiesto: “Insegnaci a pregare!”. Che bel metodo di educare i figli! Gesù non ha costretto nessuno a pregare, ma pregava bene e in loro presenza, senza vergogna. Non ha detto: “Andate in chiesa a pregare, io resto in casa per lavoro!”. Pregare, quindi, davanti e con i figli, e non per dare loro il “buon esempio” ma per intima convinzione! Nella chiesa primitiva i catecumeni lo apprendevano direttamente dalla bocca del vescovo. Era la sorpresa, il regalo che egli faceva a chi gli aveva chiesto di diventare cristiano. Lo consegnava ai catecumeni otto giorni prima del loro battesimo e questi, durante la celebrazione della notte di Pasqua, lo restituivano, cioè lo recitavano per la prima volta insieme alla loro comunità.

Oggi stanno tramontando nel popolo cristiano abitudini di devozioni come le preghiere del mattino e della sera, e tante altre pratiche di culto; una certa premura per i problemi dell’uomo ha ridotto i tempi per la preghiera comunitaria. Va bene così, è un progresso spirituale: la preghiera a Dio deve trasformarsi in servizio all’uomo! Viene in mente, a riguardo, un grande testimone del Vangelo, Charles de Foucauld: dopo essere stato nella trappa, in clausura rigorosa, si recò a Nazaret per meglio vivere in contemplazione sui luoghi terreni di Gesù. Ma un giorno, mentre era tutto immerso nella sua contemplazione, dalla stanza vicina, alla sua sentì un gemito; lasciò la preghiera, si recò nella stanza vicina e vi trovò un musulmano moribondo e attorno a lui una povera famiglia in pianto. E allora Charles si chiese: “Che diritto ho io di rimanere isolato nella mia preghiera? Io devo essere come uno di loro!”. Come uno di loro! Fu il suo nuovo programma di vita: si recò a vivere nel Sahara in una tribù di primitivi e ivi consumò la sua esistenza. Buona vita!