La Domenica di Don Galeone: ” La terra di missione non è più oltremare, è qui, fra noi, uomini e donne dell’Occidente, che abbiamo smarrito anche l’alfabeto del sacro”

3 Luglio 2022 - 10:32

3 luglio 2022 ✤ XIV domenica del tempo ordinario (C)

Il Vangelo è liberatore, ma non può essere imposto!

Prima lettura: Ecco, io farò scorrere verso di essa, come un fiume, la prosperità (Is 66, 10).  Seconda lettura: Porto le stigmate di Gesù nel mio corpo (Gal 6, 14).   Terza lettura: La vostra pace scenderà su di lui (Lc 10, 1).

«Il Signore designò altri 72 discepoli e li inviò a 2 a 2 avanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi» (v.1). Così inizia il Vangelo di questa domenica e quest’informazione è sorprendente perché, poco prima, Gesù ha già inviato i 12 apostoli ad annunciare il regno di Dio e a curare i malati, raccomandando loro di non prendere nulla con sé, «né bastone, né bisaccia, né pane, né denaro, né 2 tuniche» (Lc 9,1). Chi sono adesso questi 72 che compaiono all’improvviso e che non verranno più ricordati in seguito? Una missione strana la loro, anche perché è difficile immaginare Gesù che va dietro a ben 36 coppie incaricate di preparargli il terreno! È il racconto di un’iniziativa di Gesù e riletta dall’evangelista come catechesi alle sue comunità.

Siamo in Asia Minore, nella seconda metà del I secolo. I cristiani continuano a impegnarsi nell’annunzio del Vangelo, tuttavia sono numerosi gli interrogativi che si pongono: Dio rivela il suo Vangelo mediante visioni, sogni, apparizioni o c’è bisogno che qualcuno lo proclami? Il messaggio di salvezza è destinato a tutti o è riservato ad alcuni privilegiati? Che metodi dobbiamo usare per convincere le persone ad accettarlo? Come presentarci agli uomini e che cosa dobbiamo dire loro? Basteranno le parole o saranno necessari dei segni? Che fare se veniamo rifiutati? La nostra opera sarà coronata da successo? A queste domande Luca risponde narrando un invio di discepoli in missione. Il suo non è il reportage di un cronista, ma un testo teologico in cui sono impiegati anche degli artifici letterari. Prendiamo in esame i più significativi: > una prima attenzione va data ai numeri 72 e 2, a motivo del valore simbolico dei numeri in Oriente. Sono chiamati in causa non i 12 apostoli ma i 72 discepoli, per dire la chiesa intera: 72 erano le nazioni della terra, secondo la tradizione giudaica (Gn 10). Il numero 72 è certamente simbolico. Richiamandosi all’elenco che si trova in Genesi 10, gli antichi avevano stabilito che i popoli del mondo erano 70 o 72. Nel giorno della festa delle capanne, nel tempio di Gerusalemme venivano immolati 70 vitelli per impetrare da Dio la conversione di ognuna delle nazioni pagane. Dicendo che Gesù ha inviato 72 discepoli (v.1), l’evangelista vuole affermare che la salvezza non è un privilegio riservato a qualcuno, ma è destinata a tutti, nessuno escluso; > “li inviò a 2 a 2”. I messaggeri sono inviati a coppie; questo indica che l’annuncio del Vangelo non è lasciato all’inventiva dei singoli, ma è opera di una comunità. Chi parla in nome di Cristo non agisce in modo indipendente, è in comunione con i fratelli di fede.

I primi missionari – Pietro e Giovanni (At 8,14), Barnaba e Paolo (At 13,1) – non solo andavano a 2 a 2, ma erano anche «inviati» e sentivano di rappresentare la loro comunità. Nella Bibbia ritorna sovente questo elemento numerico della coppia. Giovanni invierà 2 discepoli dal Signore; Gesù incaricherà 2 discepoli a preparare il suo ingresso in Gerusalemme; 2 saranno gli angeli che annunziano alle donne la risurrezione. Il significato è chiaro: nella doppia testimonianza c’è garanzia di verità come stabiliva la legge del Deuteronomio (17,16). Il cristianesimo non è un’esperienza intimistica, ma una testimonianza fondata su un evento; > lo scopo dell’invio: preparare le città e i villaggi alla venuta del Signore. Gesù giunge dopo i suoi messaggeri di ieri e quelli di oggi. Il compito affidato a ogni apostolo non è quello di presentare sé stesso, ma preparare gli uomini ad accogliere Cristo nella loro vita. Come Giovanni Battista: non era lui il messia ma doveva preparare la venuta del messia; > il lupo è il simbolo della violenza, della tracotanza. L’agnello indica la mansuetudine, la debolezza, la fragilità; può scampare dall’aggressione del lupo solo se il pastore interviene in sua difesa. I rabbini dicevano che il popolo d’Israele era un agnello circondato da 70 lupi (i popoli pagani) che lo volevano divorare. Gesù applica questo paragone ai suoi discepoli: dice che devono comportarsi da agnelli (v.3). Gesù ha salvato il mondo comportandosi da agnello, non da lupo; >  scelta dei mezzi: Gesù li enuncia in modo negativo: né borsa, né bisaccia, né sandali (v.4). L’apostolo deve resistere alla tentazione di ricorrere al potere per diffondere il Vangelo e per costruire il regno di Dio. La chiesa perde di credibilità quando vuole competere con i poteri politici ed economici. Non sempre la chiesa ha camminato – povera, mite, indifesa – a fianco degli ultimi. Chi – come Francesco d’Assisi – lo ha fatto, ha il suo nome scritto nei cieli; > cosa devono annunciare i discepoli? L’obbligo di partecipare alla messa nelle feste di precetto, il rispetto e sottomissione alla gerarchia ecclesiale, i castighi di Dio per chi non osserva i comandamenti? Niente affatto. Il Vangelo è bella notizia! Cosa devono fare i discepoli lo indica lo stesso Gesù: “Curate i malati e dite: È vicino il regno di Dio!”. Appaiono qui le 2 dimensioni fondamentali del cristianesimo: quella orizzontale (il servizio fraterno) e quella verticale (annunciare il Vangelo). Questo è il vero ritratto della chiesa, così come la vuole il Signore. Dobbiamo ancora scendere molti gradini dal nostro piedistallo, per riprendere questo filo semplice del viaggio evangelico nel mondo, che è stato, purtroppo, tante volte una crociata sanguinaria, una forzata acculturazione, un’orgogliosa propaganda; > “io vi mando come agnelli in mezzo ai lupi”. Molti cattolici considerano il mondo come una immensa regione oscura in cui mandare i missionari a diffondere la luce del Vangelo. Da questo mondo, avvolto nelle tenebre del peccato e della morte, emerge ai loro occhi, bianca vetta luminosa, la chiesa, alla quale tutti devono guardare, se vogliono salvarsi, perché “nulla salus extra ecclesiam”. Il segno dell’amore di Dio nel mondo sarebbe la chiesa e solo la chiesa. Questa concezione teologica provoca nei credenti forme di narcisismo collettivo, di superbia storica, di aggressività polimorfa. Esiste un altro modo di concepire la salvezza del mondo, che a noi pare più evangelico: Dio ama tanto il mondo intero da mandare suo Figlio, e illumina “ogni uomo che viene in questo mondo”. Allora, i cristiani non devono considerarsi dei salvatori privilegiati.

Europa: terra di missione!   Le navi, che un giorno salparono cariche di missionari, oggi, ritornano nei nostri porti con nuovi missionari di colore. Perché il Primo Mondo è diventato ultimo nella fede. La terra di missione non è più oltremare, è qui, fra noi, uomini e donne dell’Occidente, che abbiamo smarrito anche l’alfabeto del sacro. Terra di missione sono i condomini delle metropoli dove si respirano drammatiche povertà e indifferenze; sono i quartieri a rischio dove i bambini crescono in fretta e molto male, e i giovani sono già vecchi di disperazione e senza futuro; sono le tante famiglie, dove non c’è più amore e tenerezza, dove si dà tutto ai figli in beni materiali, ma non si è capaci di dialogo. Le parole serie, i messaggi educativi scivolano via nel grande fiume della chiacchiera universale. Testimoniare! È questa la grande scommessa dell’Occidente, che 2000 anni di cristianesimo non sono riusciti a convertire. Buona vita!